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Parvum ego, Iugurtha, te, amisso patre, sine spe, sine opibus, in regnum meum accepi, existumans non minus me tibi, quam si genuissem, ob beneficia carum fore; neque ea res me decepit. Nam, ut alia egregia et magna a te facta omittam, novissime rediens Numantia, meque regnumque meum gloria honoravisti tuaque virtute nobis Romanos ex amicis amicissimos fecisti. In Hispania nomen familiae nostrae renovatum est: postremo - quod difficillimum inter mortales est - gloria invidiam vicisti.Nunc, quoniam mihi natura finem vitae facit, per hanc dexteram, per regni fidem te moneo obterstoque ut hos filios meos, qui tibi genere propinqui, beneficio meo fratres sunt, caros habeas.Non exercitus neque thesauri praesidia regni sunt, sed amici; quos neque armis cogere neque auro parare queas: officio et fide pariuntur. Quid autem amicius quam frater fratri? Equidem ego regnum vobis trado: firmum, si boni eritis; sin mali, imbecillum. | Io accolsi te, o Giugurta, da piccolo, nel mio regno, dopo che avevi perso il padre, senza speranze, senza risorse, ritenendo che ti sarei stato non meno caro per i favori che se ti avessi generato; e questa cosa non mi ha ingannato. Infatti, per non parlare delle altre egregie e grandi imprese da te compiute, tornando recentemente da Numanzia tu hai onorato me e il mio regno con la gloria e hai fatto i Romani da amici a amicissimi con il tuo valore. In Spagna il nome della nostra famiglia vive una nuova giovinezza: infine - cosa difficilissima tra gli uomini- hai vinto l'invidia con la gloria. Ora, poichè la natura pone termine alla mia vita, ti prego e ti scongiuro, per questa destra e per la fede del regno, di avere cari questi miei figli che ti sono cugini per nascita e fratelli per mia benevola scelta. Nè gli eserciti nè i tesori costituiscono le difese del regno, ma gli amici, che non si ottengono con le armi, né si comprano con l'oro: si acquistano con i favori e la lealtà. Che cosa c'è di più amico che un fratello per il fratello? Per quanto mi riguarda vi affido il regno: esso sarà stabile se sarete giusti, debole se malvagi. |
Quis ignoret ter munus gladiatorium a me datum esse et quinquies filiorum meorum aut nepotum nomine? Quibus muneribus depugnare cerneres hominum circiter decem milia. Bis Athletarum undique accitorum spectaculum populo praebui meo nomine et tertium nepotis mei nomine. Venationes bestiarum africanorum meo nomine aut filiorum meorum et nepotum in Circo aut in Foro aut in amphitheatris populo dedi sexies et vicies,quibus confecta sunt tria milia et quigentae.Quid plura dicam?navalis proelii spectaculum populo dedi trans Tiberim,cavato solo,in longitudinem mille et octingentos pedes, in latitudinem mille et ducentos. In quo triginta rostratae naves triremes aut biremes inter se conflixerunt. Quibus in classibus pugnaverunt, praeter remiges,milia hominum tria circiter. | Chi riuscirebbe ad trascurare per la terza volta i ludi dei gladiatori da me concessi e a nome dei miei cinque figli o dei nipoti? A questi ludi riusciresti tranquillamente a scorgere lottare circa dieci mila uomini. Per due volte ho concesso a nome mio e a nome del mio terzo nipote un ludo di atleti nominati da qualsiasi posto. Ho concesso al popolo a nome mio o dei miei figli e nipoti nel Circo o nel Foro o negli anfiteatri ventisei ludi di caccia di belve africane, in cui sono stati trafitti tre mila e cinquecento. Che raccontare ancora? Ho concesso alla popolazione un ludo di battaglia navale oltre il Tevere, solo solcato , in lunghezza mille e ottocento piedi, in larghezza mille e duecento. Dentro ciò trenta navi rostrate triremi o biremi combattono fra loro. In codeste flotte lotteranno, tranne i rematori, quasi tremila uomini. |
Duae maxime et in hac re dissidentsectae, Epicureorum et Stoicorum, sedutraque ad otium diversa via mittit.Epicurus ait: "non accedet ad rempublicam sapiens, nisi si quidintervenerit"; Zenon ait: "accedet ad rempublicam, nisi si quid impedierit." Alterotium ex proposito petit, alter ex causa; causa autem illa late patet. Si res publica corruptior est quam ut adiuvari possit, si occupata est malis, non nitetur sapiens in supervacuum nec se nihil profuturus inpendet; si parum habebit auctoritatis aut virium nec illum eritadmissura res publica, si valetudo illumimpediet, quomodo navem quassamnon deduceret in mare, quomodonomen in militiam non daret debilis, sic ad iter quod inhabile sciet non accedet.Hoc nempe ab homineexigitur, ut prosit hominibus, si fieripotest, multis, si minus, paucis, siminus, proximis, si minus, sibi. Nam cum se utilem ceteris efficit, commune agit negotium. Quomodo qui se deteriorem facit, non sibi tantummodo nocet, sed etiam omnibus iis, quibus melior factus prodesse potuisset ; sic quisquis bene de se meretur, hoc ipso aliis prodest, quod illis profuturum parat. | Riguardo questo fatto soprattutto due scuole filosofiche sono in disaccordo, degli Epicurei e degli Stoici, ma entrambe invitano al tempo libero in una diversa maniera. Epicuro dice: “ Non darti alla politica, a meno che accada qualcosa”. Zenone dice: “ Datti alla politica a meno che non ti capiti qualcosa”. Una scuola cerca il tempo libero per principio, l’altra per un motivo particolare. Quel motivo però comprende molte possibilità: se lo stato è più corrotto di quanto possa aiutare, se è occupata da persone malvagie, non si sforzi invano il saggio, né si adoperi con la prospettiva di non averne alcuna utilità; se ne avrà abbastanza di autorità o degli uomini né se lo stato non ha intenzione di accoglierlo, se la salute glielo impedisce; come un marinaio non varerebbe una nave sfasciata, come il debole non si arruolerebbe, così non si da ad un viaggio che sa impraticabile. Costui appunto si distingue dagli uomini, afficnhè possa giovare agli uomini, se può accadere, a molti, se di meno a pochi; se ancora di meno ai più vicini, se ancora di meno a se stesso. Infatti come si dimostra utile ad alcuni, bada all’attività comune. Come chi si rende peggiore, non nuoce soltanto a se stesso, ma anche a tutti quelli ai quali avrebbe potuto aiutare divenuto migliore; così chiunque se rende un buon servizio a se stesso, costui giova agli altri, poiché gli prepara ciò che gli sarà utile |
Augustus victoria Actiaca revertebatur. Occurrit ei inter gratulantes corvum tenens, quem instituerat haec dicere: "Ave Caesar, victor, imperator". Miratur Caesar officiosam avem et viginti milibus nummorum emit. Exemplum sutorem pauperem sollicitavit ut corvum institueret ad parem salutationem, qui, impendio exhaustus, saepe ad avem non respondentem dicere solebat: "Opera et impensa periit". Aliquando, tamen, corvus coepit dicere dictatam salutationem.Itaque, cum quodam die Augustus transiretet eam salutationem audivisset, respondit: "Satis talium salutatorum domi habeo". Tum corvo superfuit memoria verborum et illa verba, quibus dominus queri solebat, addidit: "Opera et impensa periit". Ad quod Caesar risit emique avem iussit plurimo.Da Macrobio | Augusto era reduce dalla vittoria di Azio. Fra coloro che lo festeggiavano, gli venne incontro un tale che teneva un corvo, che aveva ammaestrato a dire queste parole: “Salve Cesare, vincitore, comandante”. Cesare Augusto si meraviglia dell’uccello deferente e lo compra per ventimila sesterzi. L’esempio spinse un povero ciabattino ad insegnare ad un corvo lo stesso saluto; questi, esausto per lo sforzo, era solito dire all’uccello che non ne voleva sapere di rispondere: “Morì di fatica e di sacrifici [Fatica e sacrifici sprecati]”. Tuttavia, finalmente, il corvo cominciò a pronunciare il saluto (che gli era stato) detto ripetutamente. Perciò, quando un giorno, Augusto, passando di lì, udì quel saluto, rispose: “A casa ne ho abbastanza di simili persone che mi adulano”. Allora tornò alla mente del corvo il ricordo delle parole e aggiunse quelle parole con cui il padrone era solito lamentarsi: “Morì di fatica e di sacrifici.” Udendo ciò, Cesare rise ed ordinò di comprare l’uccello a caro prezzo. |
Post aliquot regni annos Nicotris, Babyloniae pulcherrima regina, in gravem morbum incidit et brevi e vita excessit. Suae reginae nutu atque arbitrio, administri in eius sepulcro verba haec scripserunt:" Thesaurus maximus et pretious hic iacet. Babyloniae reges futuri, cum in gravi pecuniarum inopia eritis, sepulcrum hoc recludite atque thesaurum accipite. Attamen si aliquis sine summa necessitate sepulcrum violaverit, suae avaritiae poenas solvet".per multus autem annos Nicotridis sempulcrum nemo violavit, donec Persae Darium regem creaverunt. Qui, divitiarum avidissimus, mox sepulcrum reginae reclusit et thesaurum festinanter quaesivit. Sed nihil invenit: nam reginae cadaver tantum aderat, apud quod in parva tabula Darius lectitavit: "homo turpis et pecuniae cupidissimus es, ideoque rex indignus es". | Dopo diversi anni di regno Nicotri, bellissima regina di Babilonia, si ammalò di un grave morbo e in poco tempo perse la vita. Per volere e indicazione della loro regina, i ministri scrissero queste parole sul suo sepolcro: "un enorme e caro tesoro qui giace. I futuri sovrani di Babilonia, quando saranno in grave carenza di soldi, spalanchino codesta tomba e prendano codesto tesoro. Però se qualcuno senza grande bisogno avrà profanato la tomba, espierà le colpe della sua avarizia". Per parecchi anni nessuno profanò la tomba di Nicotri, sino a che elessero Dario re della Persia. E questo, molto avido di pecunie, dischiuse la tomba della regina e cercò affannosamente la fortuna. Però non trovò niente: difatti c'era unicamente le spoglia della regina presso cui Dario lesse in un modesta tavola: "sei un uomo vile e molto bramoso di ricchezze, e così sei un sovrano immeritevole." |
Marcus Cato, ortus municipio Tusculo, adulescentulus, priusquam honoribus operam daret, versatus est in Sabinis, quod ibi heredium a patre relictum habebat. Inde hortatu Lucii Valerii Flacci, quem in consulatu censuraque habuit collegam, ut Marcus Perpenna narrare solitus est, Romam demigravit in foroque esse coepit. Primum stipendium meruit annorum decem septemque. Quinto Fabio Marco Claudio consulibus tribunus militum in Sicilia fuit. Inde ut rediit, castra secutus est Cai Claudii Neronis, magnique opera eius existimata est in proelio apud Senam, quo cecidit Hasdrubal,frater Hannibalis.Quaestor obtigit Publio Africano consuli. Aedilis plebi factus est cum Caio Helvio. Praetor provinciam obtinuit Sardiniam, ex qua Quintum Ennium poetam deduxerat, quod non minoris aestimamus quam quemlibet amplissimus Sardiniensem triumphum. | Marco Catone, nato nel municipio di Tusculo, da giovinetto, prima che si dedicasse alle cariche pubbliche, abitò nel territorio dei Sabini, poiché là possedeva un fondo ereditato dal padre. Di là, su esortazione di Lucio Valerio Flacco, che ebbe come collega nel consolato e nella censura, si trasferì a Roma e cominciò l’attività politica. Militò per la prima volta a 17 anni. Durante il consolato di Quinto Fabio Massimo e Marco Aurelio fu tribuno militare in Sicilia. Quando ritornò di là, seguì l’esercitto di Claudio Nerone e la sua azione fu molto apprezzata nel combattimento presso Senigallia, in cui cadde Asdrubale, fratello di Annibale. Come questore toccò al console Publio Africano. Divenne edile della plebe insieme a Caio Elvio. Come pretore ottenne la provincia della Sardegna, dalla quale in epoca precedente, tonando dall’Africa in qualità di questore, aveva portato con sé il poeta Quinto Ennio, cosa che noi non stimiamo meno di qualsiasi pur magnifico trionfo sardo. |
Carthaginienses a Regulo duce, quem ceperant, petiverunt, ut Romam proficisceretur et pacem a Romanis obtineret ac permutationem captivorum faceret. Ille Roma cum venisset, inductus in senatum nihil quasi Romanum et uxorem a complexu removit et senatui suasit, ne pax cum Poenis fieret; dixit enim illos fractos tot casibus spem nullam habere; se tanti non esse, ut tot milia captivorum propter unum se et senem et paucos, qui ex Romanis capti erant, redderentur.Itaque obtinuit. Nam Afros pacem petentes non admiserunt. Ipse Carthaginem rediit, offerentibusque Romanis, ut eum Romae tenerent, negavit se in ea urbe mansurum esse, in qua, postquam Afris servierat, dignitatem honesti civis habere non posset. Regressus igitur ad Afri- cam omnibus suppliciis extinctus est. | I Cartaginesi domandarono al generale Regolo, che avevano imprigionato, di tornare Roma e ottenere la pace dai Romani e svolgere il baratto dei prigionieri. Essendo giunto a Roma, portato in senato in niente come un romano sia staccò la coniuge dall'avambraccio sia consigliò il senato affinchè la tregua non venisse svolta con i Cartaginesi; affermò difatti che questi, stremati da talmente tante sfortune, non avevano nemmeno una speranza; che loro non erano così tanti che tante migliaia di prigionieri fossero restituiti per uno vecchio e per i pochi che erano stati catturati tra i Romani. Così ottenne. Infatti non ammisero i Cartaginesi che chiedevano la pace. Egli stesso tornò a Catagine e, poichè i romani gli offrivano di tenerlo a Roma, disse che lui non sarebbe rimasto in quella città, nella quale, dopo che aveva servito gli Afri, non avrebbe potuto avere la dignità di un onesto cittadino. Ritornato dunque in Africa fu ucciso con tutti i supplizi. |
Graecia Europae parva terra est, sed fama Graecorum totum mundum peragravit et vere nos filii Graeciae sumus. Industria eximium ornamentum Graecorum erat et, quia non fecundam humum habebant, imprimis commercia maritima exercebant et mercaturae dediti erant. Corinthus, Graeciae oppidum, in Isthmo posita, magno navigiorum et nautarum numero nota est. Graeci nautae pelagus animose findebant neque procellarum insidias vel pericula timebant, sed usque ad extremas terras navigabant.Inter Graecos Lacedaemonii arma, proelia, bella praesertim diligebant, Athenarum incolae contra Musas maxime colebant. Divorum domicilium Olympus erat. In viis et plateis Athenarum, Spartae, Corynthi, Thebarum, et in insulis vel in Asiae oris, quo Graeci multas colonias deducebant, magnifica templa divum erant. Etiamnunc in Graecia monumenta antiqua et claras reliquias visere licet. | La Grecia è una piccola terra dell'Europa, però la gloria dei greci si diffuse per tutto il mondo e in realtà noi siamo figli della Grecia. L'operosità era l'esimio accessorio dei greci e, siccome non avevano terra feconda, svolgevano per prima cosa gli scambi marittimi ed si dedicavano al commercio. Corinto, città della Grecia, posizionata nell'Istmo, era conosciuta per l’enorme quantità di naviganti e navi. I naviganti greci solcavano in modo continuo il mare e non avevano paura dei rischi delle tempeste o i pericoli, ma si estendevano sino alle terre più lontane. Fra i greci gli spartani preferivano armi, combattimenti e guerre, i cittadini di Atene invece veneravano essenzialmente le muse. L'Olimpo era la casa degli dei. Nelle strade e nelle piazze di Atene, Sparta, Corinto e Tebe, sulle isole o spiagge dell'Asia, ove i greci stabilirono alcune colonie, c’erano sublimi templi degli dei. Pure adesso in Grecia è possibile osservare antiche e celebri rovine. |
Ne gloriari libeat (1) alienis bonis,suoque potius habitu vitam degere,Aesopus nobis hoc exemplum prodidit. (2)Tumens inani graculus superbiapinnas, pavoni quae deciderant, sustulit (3),seque exornavit (4). Deinde, contemnens suosimmiscet se ut pavonum formoso gregi.illi impudenti pinnas eripiunt avi,fugantque rostris. Male mulcatus graculusredire maerens coepit ad proprium genus,a quo repulsus tristem sustinuit notam.Tum quidam ex illis quos prius despexerat‘Contentus nostris si fuisses sedibuset quod Natura dederat voluisses pati,nec illam expertus esses contumeliamnec hanc repulsam tua sentiret calamitas’Note(1) Ne…libeat = finale negativa(2) I primi quattro versi vanno costruiti come segue : Aesopus prodidit nobis hoc exemplum ne libeat gloriari alienis bonis et potius [libeat] degere vitam suo habitu(3) tollo, is, sustŭli, sublātum, ĕre.(4) Graculus tumens inani superbia, sustulit pavoni pinnas quae deciderant et se exornavit | Esopo ci ha tramandato questo esempio affinché non piaccia vantarsi di beni altrui e piuttosto (piaccia) trascorrere la vita nella propria condizione.Una cornacchia, gonfia di vana superbia portò via le penne che erano cadute a un pavone e se (ne) ornò. In seguito disprezzando i suoi simili, si mescolò ad un bel branco di pavoni. Essi strapparono le penne all’uccello sfrontato e lo fecero fuggire a colpi di becco. Malconcia, la cornacchia tutta rattristata cominciò a ritornare dai suoi simili, respinto dai quali dovette subire uno spiacevole rimprovero. Allora, una di quelle [cornacchie] che prima aveva disprezzato [disse]:“Se ti fossi accontentata dei nostri territori e se tu avessi accettato ciò che la natura ti aveva dato, non saresti incorsa in quella vergogna, né la tua sventura sperimenterebbe questo rifiuto". |
Cyrus, Persarum rex, subacta Asia et universo Oriente, Scythis bellum indixit. Erat eo tempore Scytarum regina Tamyris, quae adventu hostium minime territa putavit faciliorem sibi pugnare fore intra regni sui terminos atque, quamvis posset prohibere, hostibus permisit transitum Oaxis fluminis. Itaque Cyrus cum omnibus copiis flumen traiecit et in Scythia castra posuit. Dein postero die, simulato metu, rex castra movit sed ibi magnam copiam vini et ea quae epulis erant necessaria reliquit.Quod cum reginae nuntiatum esset, illa aduluscentulum filium, ut regem insequeretur, cum tertia parte copiarum misit. Cum in Cyri castra pervenisset adulescens, rei militaris ignarus, permisit suos milites, voluptate adductos atque hostium oblitos, vino se onerare. His rebus cognitis, Cyrus per noctem revertit, ebrios repente petivit omnesque Scytas cum reginae filio interfecit. Ita Scythas prius ebrietate quam bello victi sunt. | Ciro, re dei Persiani, sottomessa l'Asia e tutto l'oriente, fece guerra agli Sciti. A quel tempo Tamiri era regina degli Sciti, la quale per niente spaventata dalla venuta dei nemici ritenne che sarebbe stato più facile per lei combattere tra i confini del suo regno e, sebbene potesse proibirlo, permise ai nemici il passaggio del fiume Oasse. Così Ciro passò il fiume con tutte le truppe e pose l'accampamento nella Scizia. Poi il giorno dopo, finto il timore, il re mosse l'accampamento ma lasciò lì una grande abbondanza di vino e ciò che era necessario per pranzi solenni. Essendo stata la cosa annunciata alla regina, quella mandò il figlio giovane con un terzo delle truppe, per inseguire il re. Essendo il giovane giunto nell'accampamento di Ciro, inesperto di arte della guerra, permise che i suoi soldati, spinti dal piacere e dimentichi dei nemici, si riempissero di vino. Sapute queste cose, Ciro tornò durante la notte, improvvisamente assalì gli ubriachi e uccise tutti gli Sciti col figlio della regina. Così gli Sciti furono vinti prima dall'ebbrezza che dalla guerra. |
O me perditum! O afflictum! Quid nunc rogem te ut venias, mulierem aegram, et corpore et animo confectam? Non rogem? sine te igitur sim? Opinor sic agam: si est spes nostri reditus, eam confirmes et rem adiuves; sin, ut ego metuo, transactum est, quoquo modo potes ad me fac venias. Unum hoc scito: si te habebo, non mihi videbor plane perisse. Sed quid Tulliola mea fiet? Iam id vos videte; mihi deest consilium. Sed certe, quoquo modo se res habebit, illius misellae et matrimonio et famae serviendum est.Quid? Cicero meus quid aget? Iste vero sit in sinu semper et complexu meo. Non queo plura iam scribere; impedit maeror. Tu quid egeris, nescio: utrum aliquid teneas, an, quod metuo, plane sis spoliata. | Oh me disperato, rovinato! Che cosa (c'è), dunque? Dovrei supplicarti di venire, donna sofferente e consumata nel corpo e nell'animo? Che io non ti supplichi? Che io, dunque, stia senza di te? Suppongo (che) agirò così: se c'è speranza di un nostro ritorno, incoraggiala e asseconda la situazione; se invece, come io temo, non c'è più nulla da fare, in qualunque maniera puoi, fai in modo di venire da me. Sappi questa sola cosa: se ti avrò, non mi sembrerà di essere completamente perduto. Ma che cosa ne sarà della mia Tulliola? Voi ormai vedete ciò, mi manca il senno. Ma certamente, in qualunque modo stiano le cose, bisogna aver cura di quella poveretta sia per quanto riguarda il matrimonio sia la fama. Che cosa? Che cosa fa il mio Cicerone? Costui in verità vorrei che fosse sempre sulle mie ginocchia e fra le mie braccia. Non posso ormai scrivere di più, me lo impedisce la tristezza. Io non so che cosa tu abbia fatto: (se) tieni qualche cosa, o, cosa che temo, sei stata completamente saccheggiata. |
Tum Sabinae mulieres, quarum ex iniuria bellum ortum erat, crinibus passis scissaque veste, ausae se inter tela volantia inferre, ex transverso impetu facto dirimere infestas acies, dirimere iras, hinc patres, hinc viros orantes, ne se sanguine nefando soceri generique respergerent, ne parricidio macularent partus suos, nepotum illi, hi liberum progeniem. "Si adfinitatis inter vos, si conubii vos piget, in nos vertite iras; nos causa belli, nos volnerum ac caedium viris ac parentibus sumus; melius peribimus quam sine alteris vestrum viduae aut orbae vivemus." Movet res cum multitudinem tum duces; nec pacem modo, sed civitatem unam ex duabus faciunt.Regnum consociant; imperium omne conferunt Romam.da Tito Livio (estratti da 1.13, 1-2) | Allora le donne Sabine, dall’offesa contro le quali era scoppiata la guerra, con i capelli scompigliati e con la veste lacerata, osarono gettarsi nel bel mezzo dei giavellotti che volavano, dato l’assalto laterale, rompere le schiere nemiche, interrompere le ire, pregando da una parte i padri e dall’altra i mariti affinché non le cospargessero con il sangue scellerato del suocero e del genero e affinché non macchiassero con il parricidio la loro prole, quelli la discendenza dei nipoti e questi dei figli. “Se vi rincresce la parentela fra di voi e il matrimonio, volgete le vostre ire contro di noi; noi siamo la causa della guerra, delle ferite e della morte per i mariti e i genitori; meglio morire piuttosto che vivere da vedove o da orfane, senza uno di voi due". Il fatto commuove allora i comandanti e la folla. Non soltanto fanno la pace, ma di due città una sola. Uniscono i due regni; trasferiscono a Roma tutto il comando. |
Advenit deinde maximi discriminis dies, quo Caesar Antoniusque productis classibus pro salute alter, in ruinam alter terrarum orbis dimicavere. [...] Ubi initum certamen est, omnia in altera parte fuere, dux, remiges, milites, in altera nihil praeter milites. Prima occupat fugam Cleopatra. Antonius fugientis reginae quam pugnantis militis sui comes esse maluit, et imperator, qui in desertores saevire debuerat, desertor exercitus sui factus est. Illis etiam detracto capite in longum fortissime pugnandi duravit constantia et desperata victoria in mortem dimicabatur.Caesar, quos ferro poterat interimere, verbis mulcere cupiens clamitansque et ostendens fugisse Antonium, quaerebat, pro quo et cum quo pugnarent. At illi cum diu pro absente dimicassent duce, aegre summissis armis cessere victoriam. | Giunse, alla fine, il giorno del grandissimo conflitto, nel quale Cesare e Antonio, condotte avanti le flotte, combattevano l’uno per la salvezza, l’altro per la rovina del mondo. […] Quando iniziò la lotta, da una parte c’erano tutti, il comandante, i rematori, i soldati, dall’altra nulla, eccetto i soldati. Per prima cosa Cleopatra fugge (lett. “si impadronisce della fuga”). Antonio preferì essere compagno della sua regina che fuggiva piuttosto che dei suoi soldati che combattevano, e il comandante, che aveva il dovere di accanirsi contro i disertori, diventò disertore del suo esercito. A quelli, infatti, pur essendo privati del capo, perdurò la fermezza del combattere a lungo molto valorosamente e combattevano, persa la speranza di vittoria, fino alla morte. Cesare, a quelli che poteva uccidere con la spada, desiderando calmarli con le parole e gridando e dichiarando che Antonio era fuggito, chiedeva per chi e con chi stessero combattendo. Ed essi, avendo combattuto a lungo per un comandante assente, abbassate a malincuore le armi, desistettero dalla vittoria (concessero la vittoria). |
Solonem accepimus, unum ex illo numero sapientium ,Atheniensium leges scripsisse, Tarquinio Prisco romae regnante , anno regni tricesimo tertio. servio autem tullio regnante ,Pisistratus athenis tyrannus fuit, solone exulante sponte sua. postea Pytagoras samius in italiam venit, tarquinii filio regnum obtinente. eodem tempore athenis occisus est ab harmodio et aristogitone hipparchus pisistrati filius.ducentesimo deinde et saxagesimo anno ub urbe condita, tradunt multi rerum scriptores victos esse persas ab atheniensibus pugna marathonia,miltiade duce.postea xermes.rex persarum, ab atheniensibus et omnibus graecis ,themistocle duce,navali proelio apud salaminam victus ,fugatus est. paulo post romae,menenio Agrippa Horatio Pulvillo consulibus, bello Veienti, apud fluvium Cremeram, Fabii sex cum trecentis patriciis familiaribus suis, circumventi ab hostibus, occisi sunt. | Siamo a conoscenza che Solone, uno di quei celebri saggi, abbia steso le leggi degli Ateniesi nel tredicesimo anno del regno, durante il governo di Tarquinio Prisco a Roma. Durante il comando di Servio e Tullio, Pisistrato ad Atene divenne sovrano assoluto, poichè Solone fu esiliato per suo volere. Poi Pitagora di Samo giunse in Italia, ricevette il potere il figlio di Tarquinio. In quel medesimo tempo ad Atene venne ucciso da Armodio e Aristogitone Ipparco, figlio di Pisistrato. Nel duecentosessantaseiesimo anno dalla fondazione di Roma, parecchi storici affermano che i Persiani vennero sconfitti dagli Ateniesi nella battaglia di Maratona dal generale Milziade.Poi Serse, re dei Persiani, dagli Ateniesi e da tutti i Greci, insieme al generale Temistocle, venne sconfitto in uno scontro marittimo a Salamina e posto in fuga. Subito dopo a Roma, sotto i consoli Agrippa e Pulvillo, durante la guerra di Veio, vicino il fiume Cremera,circondati dai nemici, vennero uccisi sei dei Fabi con 300 parenti patrizi. |
Illae fabellae, quae, etiamsi originem non in Aesopo acceperunt (nam videtur earum primus auctor Aesiodus fuisse), nomine tamen Aesopi maxime celebrantur, ducere animos solent praecipue rusticorum et imperitorum, qui et simplicius quae ficta sunt audiunt, et, capti voluptate, facile iis quibus delectantur consentiunt. Liquide et Menenius Agrippa plebem cum patribus in gratiam traditur reduxisse nota illa de membris humani corporis ad versus ventrem discordantibus fabula.Et Horatius ne in poemate quidem umile generis huius usum putavit in illis versibus: “Quod dixit volpe aegroto cauta leoni”. Proximas fabulis vires habet similitudo. Ut, si animum dicas excolendum esse, similitudine utaris terrae, quae neglecta spinas ac dumos, culta fruttus creat: aut, si ad curam rei publicae horteris, ostendas apes formicasque, non modo muta sed etiam parva animalia, in commune tamen laborare. Ex hoc genere dictum illud est Ciceronis: “Ut corpora nostra sine mente, ita civica sine lege suis partibus uti non potest”. | Quelle famose favole, che, pur non avendo avuto inizio con Esopo (sembra infatti che l’iniziatore sia stato Esiodo), tuttavia sono conosciute per lo più sotto il nome di Esopo, fanno di norma grande impressione sull’animo dei non acculturati e dei non smaliziati, che ascoltano con maggior ingenuità i racconti di fantasia e, presi dal piacere, si lasciano trascinare da ciò da cui sono dilettati. Tant’è vero che, si narra, Menenio Agrippa ottenne la riconciliazione tra plebe e senato proprio con la famosa favola delle membra del corpo umano in discordia con il ventre. E Orazio non reputò troppo dimesso l’uso di questo genere neppure in poesia con quei versi: “Cosa che l’astuta volpe disse al leone malato”. Efficacia assai simile a quella delle favole ha la similitudine. Esempio: se vuoi dire che il carattere va coltivato, usa la similitudine della terra, che trascurata produce spine e rovi, coltivata produce frutti; oppure, se vuoi esortare ad aver cura della cosa pubblica, fa vedere come le formiche e le api, benché animali non solo privi di voce ma anche piccoli, tuttavia fatichino per l’interesse della comunità. A questo genere appartiene anche il famoso detto di Cicerone: “Come il nostro corpo non può far funzionare le sue membra senza la mente, così la comunità non può far funzionare le sue parti senza la legge”. |
Olim Syriae orae a Phoenicibus, peritis nautis callidisque mercatoribus, habitabantur. Phoenices agros non colebant, quia eorum terra frugifera non erat, sed ex ligno procerarum arborum, quae in regione crescebant, neves exstruebant. Quia periti animosique nautae erant, pelagus peragrabant, asperos ventos tempestatesque saevas non timebant, in remotas regiones Oceani magna cum audacia saepe navigabant. In eorum peregrinationibus multas colonias in insulis Mediterranei condiderunt.Inter Phoenicum colonias eminebat Carthago, in Africa posita. Phoenices etiam industrii mecatores erant et cum multis nationibus mercaturam faciebant: ex Britannis Hispanisque metalla, ex Graecis vasa, ex Afris ebur, ex Indis gemmas margaritasque importabant. | Un tempo le coste della Siria erano abitate dai Fenici, esperti naviganti e abili mercanti. I Fenici non coltivavano la terra, poiché la loro terra non era fertile, ma col legno degli alti alberi, che crescevano nella regione, costruivano le navi. Poiché erano naviganti esperti e coraggiosi, attraversavano il mare, non temevano i forti venti e le tempeste violente, navigavano spesso con grande coraggio nelle remote regioni dell'Oceano. Nei loro viaggi fondarono molte colonie nelle isole del Mediterraneo. Tra le colonie fenicie spiccava Cartagine, posta in Africa. I Fenici erano anche attivi mercanti e facevano commercio con molti popoli: importavano dai Britanni e dagli Spagnoli i metalli, dai Greci i vasi, dagli Africani l'avorio, dagli Indiani le gemme e le pietre preziose. |
Primus Horatius procedebat et Curiatiorum spolia prae se gerebat ; cui soror virgo, quae uni ex Curiatiis despondebatur, obvia ante portam Capenam fuit: repente super umeros fratris cognovit paludamentum sponsi sui quod ipsa confecerat, tum crines solvit et flebiter sponsum mortuum appellat. Movet feri iuvenis animum comploratio cororis in victoria sua et in tanto gaudio publico . Strinxit itaque gladium , simul verbis increpuit et transfixit puellam." Abi hinc cum immaturo amore ad sponsum " inquit, " tu quae tuorum fratrum mortuorum memoriam deposuisti vivique fratris et patriae. Sic mortem occumbent cunctae Romanae mulieres quae lugebunt hostem." | Orazio procedeva per primo e portava davanti a se la spoglia dei curiazi; ad egli la giovane sorella, la quale era promessa a uno dei curiazi, si fece incontro davanti la porta di Capena.Improvvisamente riconobbe subito sulle spalle del fratello il mantello del suo promesso sposo, che lei stessa aveva tessuto. Allora sciolse i capelli e in lacrime chiama il promesso sposo morto. Il lamento della sorella commuove l'animo del famoso giovane nella sua vittoria e nella gioia della folla. Strinse quindi la spada contemporaneamente rimproverò con parole e trafisse la ragazza. " Vattene di qui con l'immaturo amore verso lo sposo" disse " Tu che abbandonasti la memoria dei tuoi fratelli morti, del fratello vivo e della patria. Così muoiono tutte le mogli romane che piangeranno il nemico." |
Etruscis in urbe per pontem Sublicium irrumpentibus, Horatius Cocles extremam pontis illius partem occupavit totumque hostium agmen infaticabili pugna sustinuit donec, post tergum suum, pons ipse abrumperetur. Postea, abrupto ponte, cum patriam periculo imminenti liberatam vidit, salutis petendae gratia, in Tiberim flumen se misit. Cuius fortitudinem admirati, dii immortales ei incolumitatem donaverunt. Cum enim de loco maxime edito se deiecisset, nec quassatus est nec pondere armorum pressus nec telis, quae undique iaciebantur, laesus.Sic in tutum natandi facultas ei data est. Unus ille itaque oculos tot civium, admiratione stupentium, atque tot hostium inter latitiamo et metum haesitantium in se convertit. Illo die unus Cocles, hostes repellendo, suos propugnando, urbis servandae rationem invenit. Itaque et Cocles, hostes repellendo, suos propugnando, urbis nostrae tulerunt. Quapropter Etrusci, discendentes, dicere potuerunt: “Romam vicimus, ab Horatio victi sumus”. | Stando gli Etruschi irrompendo nella città per il ponte Sublicio, Orazio Coclite occupò l’estrema parte di quel ponte e sostenne con una instancabile battaglia tutta la schiera dei nemici finchè alle sue spalle lo stesso ponte fu rotto. Poi, rotto il ponte, quando vide la patria liberata dal pericolo imminente, per cercare la salvezza si tuffò nel fiume Tevere. Avendo ammirato la sua forza, gli dei immortali gli donarono l’incolumità. Infatti essendosi allontanato dal luogo massimamente elevato, né fu scosso, né oppresso dal peso delle armi, né ferito dalle frecce, che erano scagliate da ogni parte. Così gli fu data la facoltà di nuotare in sicurezza. Pertanto quello solo attirò su di sé gli occhi di tanti cittadini, stupiti per l'ammirazione, e di tanti nemici tentennanti tra gioia e paura. Quel giorno, il solo Coclite, scacciando i nemici, proteggendo i suoi, scoprì il modo di salvare la città. Perciò sia Coclite scacciando il nemico, sia il Tevere combattendo a favore, protessero la nostra città. Perciò gli Etruschi andandosene poterono dire: "Abbiamo vinto Roma, da Orazio siamo stati vinti". |
Alcestim Peliae et Anaxibies Biantis filiae filiam complures proci petebant in coniugium; Pelias vitans eorum condiciones repudiavit et simultatem constituit ei se daturum, qui feras bestias ad currum iunxisset et Alcestim in coniugio avexisset. Itaque Admetus ab Apolline petiit, ut se adiuvaret. Apollo autem, quod ab eo in servitutem liberaliter esset acceptus, aprum et leonem ei iunctos tradidit, quibus ille Alcestim avexit. Et illud ab Apolline accepit, ut pro se alius voluntarie moreretur.Pro quo cum neque pater neque mater mori voluisset, uxor se Alcestis obtulit et pro eo vicaria morte interiit; quam postea Hercules ab inferis revocavit. | Parecchi erano gli spasimanti che sognavano le nozze con Alcesti, figlia di Pelia, e Anassibia, figlia di Biante. Pelia declinò le loro richieste e decise il patto che avrebbe dato la figlia a chi avesse asservito al medesimo carro delle belve selvagge e su quello avesse portato Alcesti alla cerimonia nuziale. Allora Admeto pregò Apollo di sostenerlo. Apollo, che venne venerato in modo benevolo da lui durante il suo periodo di schiavitù, gli diede già aggiogati un cinghiale e un leone, con cui lui trasportò Alcesti. Ricevette pure da Apollo codesto regalo: che qualcuno avesse la possibilità di morire al suo posto. Quindi, quando ne suo padre ne sua madre vollero morire per lui, si offrì sua moglie Alcesti e si scambiò a lui in morte; poi Ercole la fece rievocare dagli inferi. |
Ferunt Scythas illos penitissimos, qui sub ipsis septentrionibus aetatem agunt, corporibus hominum vesci et “antropophagi” nominari. Homines in eadem regione unum oculum in frontis medio habent et appellantur Arimaspi, alii item sunt homines apud eandem caeli plagam singulariae velocitatis, vestigia pedum habentes non ante sed retro porrecta. Praeterea traditum est in ultima quidam terra, quae Albania dicitur, gigni homines qui in pueritia canescant et plus cernant oculis per noctem quuam interdiu; item est compertum et creditum Sauromatas, qui ultra Borysthenen fluvium longe colunt, cibum capere semper diebus alternis.Traduntur etiam homines in Illyriis interimere quos diutius oculis iratis viderint, iique ipsi mares feminaeque, pupillas in singulis oculis binas habere. | Si dice che quelli Sciti più interni, che trascorrono la vita a Nord, si nutrissero con i corpi degli uomini e fossero chiamati “antropofagi”. Gli uomini della stessa regione hanno un solo occhio in mezzo alla fronte e sono chiamati Arimaspi, altri, allo stesso modo, presso la stessa regione sono uomini di singolare velocità, avendo i piedi allungati non avanti ma indietro. In seguito si tramandò che gli uomini generati nell’ultima terra, che si chiama Albania, invecchiano nella giovinezza e vedono di più nella notte che durante il giorno; allo stesso modo fu noto e creduto che i Sarmati, che abitano da lungo tempo oltre il fiume Boriatene, prendessero il cibo sempre in giorni alterni. Si tramanda anche che gli uomini uccidano in Illiria coloro che avranno visto più a lungo con gli occhi adirati, e quelli stessi, maschi e femmine, abbiano entrambe le pupille in ciascun occhio. |
Marcus Piso, praeclarus Romanus orator, servo suo, qui domesticis negotiis praeerat, saepe praeceperat ut solum ad interrogata responderet. Olim Piso, cum nonnullos amicos ad cenam invitaret vellet, inter quos quendam Clodium, illius domum servum misit, qui eum ad convivium invitaret; quod servus diligenter fecit. Cum cenae hora iam instaret, ceteri convivae aderant, aberat solus Clodius. Tum Piso, cum eum diu exspectavisset, servum arcessivit eique iratus: "Hodie - inquit - ministerio tuo defuisti, quod praecepta mea neglexisti: nam si Clodium invitavisses, is certe nunc adesset." Cui servus: "Eum invitavi - respondit - sed convivium renuit, quia interesse non poterat." Tum Piso: "Cur id mihi statim non dixisti?".Et oboediens servus: "Quod me non interrogavisti!" | Marco Pisone , famosissimo oratore romano, ordinava spesso al suo servo, che sovraintendeva agli affari di casa, di rispondere solo se interrogato. Una volta Pisone, volendo invitare a pranzo qualche amico, tra i quali un certo Clodio, mandò il servo, che invitasse quello a pranzo; il servo fece ciò diligentemente. Essendosi avvicinata già l’ora di pranzo, restanti presenti al banchetto, era assente solo Clodio. Allora Pisone, dopo che aveva aspettato a lungo, chiamò il servo e disse a lui arrabbiato: <Oggi sei venuto meno a un tuo incarico, poiché hai disobbedito ai miei ordini: infatti se tu avessi invitato Clodio, lui certamente sarebbe stato presente>. A cui il servo rispose: <L’ho invitato ma ha rifiutato l’invito, poiché non poteva venire>. Allora Pisone: <Perché non me l’hai detto subito?>. E il servo obbediente: <Perché non mi hai interrogato!>. |
Missus Hannibal in Hispaniam primo statim adventu omnem exercitum in se convertit: Hamilcarem iuvenem redditum sibi veteres milites credere, eundem vigorem in vultu vimque in oculis, habitum oris lineamentaque intueri. Dein brevi effecit, ut pater in se minimum monumentum ad favorem conciliandum esset. Numquam ingenium idem ad res diversissimas, parendum atque imperandum, habilius fuit. Itaque haud facile discerneres, utrum imperatori an exercitui carior esset: neque Hasdrubal alium quemquam praeficere malle, ubi quid fortiter ac strenue agendum esset, neque milites alio duce plus confidere aut audere.Plurimum audaciae ad pericula capessenda, plurimum consilii inter ipsa pericula erat. Nullo labore aut corpus fatigari aut animus vinci poterat. | Annibale inviato in spagna si accattiva subito col primo arrivo gli animi dei soldati. Infatti ai veterani sembrava che fosse tornato Almilcare da giovane, poichè vedevano nel volto lo stesso vigore e negli occhi la forza, la stessa espressione del viso e i lineamenti. in seguito, Annibale in breve tempo ottenne il risultato che il padre fosse di pochissima importanza per accattivarsi il favore dei soldati. Nn ci fu mai una stessa indole più adatta alle cose più opposte, ad ubbidire e a comandare, così che difficilmete si poteva discernere a quale dei due fosse più caro, al generale o all'esercito. nè Asdrubale stesso preferiva mettere qualunque altro al comando, quando qualcosa si dovesse fare valorosamente o arditamente, nè i soldati confidavano di più in un altro generale. Era di grandissima audacia per affrontare i pericoli, di grandissima saggezza tra i pericoli stessi, con nessuna fatica poteva essere affaticato il corpo o essere vinto l'animo. |
Postquam se maior pars agminis Romanorum in magnam convallem demisisset, undique Eburones subito se ostenderunt novissimosque premebant et primos prohibebant ascensu atque iniquissimo nostris loco proelium committebant. Tum demum Titurius, qui nihil ante providisset, trepidabat et concursabat cohortesque disponebat. At Cotta, qui animo providisset haec pericula in itinere, nulla in re communi saluti deerat; in pugna militis quoque officia praestabat.Cum propter longitudinem agminis non facile duces per se omnia obire possent, imperaverunt ut milites impedimenta relinquerent atque in orbem consisterent. Quod consilium tamen incommode accidit; nam et nostris militibus spem minuit et hostes ad pugnam alacriores effecit, quod summo timore putarent hunc iussum ut desperationis signum. Praeterea vulgo milites a signis discesserunt et clamore et fletu omnia completa sunt. | Dopo che la maggior parte della legione discese in un enorme bacino, da tutte e due le parti di quella valle si rivelano improvvisamente e iniziarono ad attaccare le retroguardie e fermare i primi nella ascesa ed incalzare battaglia in un luogo piuttosto svantaggioso per i nostri. Quindi finalmente Titurio, come chi non si attendeva niente prima, si agitava, si muoveva qua e là, preparava le coorti. Però Cotta, che aveva pensato alla possibilità di un assalto durante la camminata e per questa motivazione non era stato l'artefice dell'avvio, non conservo niente per la salvezza di ciascuno, svolgeva sia le mansioni di generale nel convocare ed stimolare i militari sia di soldato, nella battaglia.Non potendo consegnare comandi opportuni per l'estensione della schiera , Titurio comandò che si diffondesse la voce perché abbandonassero le valigie e si ordinassero in cerchio. L'ordine si tramutò in un danno, abbassò ai nostri militari la speranza rendendo più cattivi gli avversari in battaglia, poiché sembrava che ciò fosse fatto con grande paura e disperazione. I soldati si allontanarono dalle insigne, tutto si riempì di lacrime e urla. |
Rex Xerxes, etsi apud Salamina male rem gesserat, tamen tantas habebat reliquias copiarum, ut etiam tum his opprimere posset hostes. Iterum ab eodem gradu depulsus est. Nam Themistocles, verens ne bellare perseveraret, certiorem eum fecit id agi, ut pons, quem ille in Hellesponto fecerat, dissolveretur ac reditu in Asiam excluderetur, idque ei persuasit. Itaque qua sex mensibus iter fecerat, eadem minus diebus XXX in Asiam reversus est seque a Themistocle non superatum, sed conservatum iudicavit.Sic unius viri prudentia Graecia liberata est Europaeque succubuit Asia. Haec altera victoria, quae cum Marathonio possit comparari tropaeo. Nam pari modo apud Salamina parvo numero navium maxima post hominum memoriam classis est devicta. | Anche se a Salamina aveva compiuto male l’impresa, re Serse disponeva di tante altre truppe da poter ancora sconfiggere con esse i nemici: per la seconda volta fu respinto dalla sua posizione. Temistocle, infatti, temendo che egli volesse perseverare nel combattere, lo avvertì di un piano per distruggere il ponte, che egli aveva costruito, e impedirgli il ritorno in Asia, e lo persuase di ciò. Così, per la stessa strada che aveva percorso in sei mesi, Serse ritornò in Asia in meno di trenta giorni e dichiarò non sconfitto da Temistocle, ma salvato. Così la Grecia fu liberata dall’abilità di un solo uomo e l’Asia cedette all’Europa. Questa seconda vittoria si può paragonare al trionfo di Maratona. Allo stesso modo, infatti, presso Salamina la flotta più grande a memoria d’uomo, fu sopraffatta da un piccolo numero di navi. |
Spes unica imperii populi Romani L. Quinctius trans Tiberim contra eum ipsum locum ubi nunc navalia sunt quattuor iugerum colebat agrum quae prata Quinctia vocantur. Ibi ab legatis —seu fossam fodiens palae innixus seu cum araret operi certe id quod constat agresti intentus—salute data in uicem redditaque rogatus ut quod bene verteret ipsi reique publicae togatus mandata senatus audiret admiratus rogitansque 'satin salve?' Togam propere e tugurio proferre uxorem Raciliam iubet.Qua simul absterso pulvere ac sudore velatus processit dictatorem eum legati gratulantes consalutant in urbem vocant; qui terror sit in exercitu exponunt. Nauis Quinctio publice parata fuit transuectumque tres obuiam egressi filii excipiunt inde alii propinqui atque amici tum patrum maior pars. Ea frequentia stipatus antecedentibus lictoribus deductus est domum. | Lucio Quinto, unica speranza del dominio del popolo romano, coltiva un campo di quattro iugeri, che sono chiamati prati quinzi, oltre il Tevere, di fronte a quello stesso luogo dove oggi ci sono i cantieri navali. Lì, sia che stesse scavando una fossa appoggiato a una vanga sia che stesse arando, certamente intento, cosa che è evidente, all’opera agricola, dopo aver dato il saluto e averlo ricevuto in cambio, gli fu chiesto dagli ambasciatori di sentire, dopo aver indossato la toga, gli ordini del senato affinché ciò risultasse bene a lui stesso e alla repubblica, stupito e domandando "Tutto a posto?", ordina alla moglie Racilia di portare in fretta fuori dalla capanna la toga. E rivestito di quella (toga), cacciata via la polvere e il sudore, avanzò, gli ambasciatori, rallegrandosi, lo salutano come un dittatore, lo richiamano in città, riportano che nell’esercito c’è terrore. Fu preparata per Quinto una nave a spese dello Stato e, usciti incontro a lui che passava, seguirono i tre figli, in seguito si avvicinarono gli altri parenti ed amici, in quel momento la fazione più nobile tra i senatori. Scortato da quella folla, precedendolo le guardie, fu condotto in patria. |
Sine dubio post Leuctricam pugnam Lacedaemonii se numquam refecerunt neque pristinum imperium recuperarunt cum interim numquam Agesilaus destitit quibuscumque rebus posset patriam iuvare. Nam cum praecipue Lacedaemonii indigerent pecunia ille omnibus qui a rege defecerant praesidio fuit; a quibus magna donatus pecunia patriam sublevavit. Atque in hoc illud in primis fuit admirabile cum maxima munera ei ab regibus ac dynastis civitatibusque conferrentur quod nihil umquam domum suam contulit nihil de victu nihil de vestitu Laconum mutavit.Domo eadem fuit contentus qua Eurysthenes progenitor maiorum suorum fuerat usus; quam qui intrarat nullum signum libidinis nullum luxuriae videre poterat contra ea plurima patientiae atque abstinentiae: sic enim erat instructa ut in nulla re differret cuiusvis inopis atque privati. | Senza dubbio dopo la battaglia di Leuttra gli Spartani non si risollevarono più né recuperarono il potere di prima, anche se Agesilao nel frattempo non mancò mai di aiutare la patria per quanto gli fosse possibile. Infatti, avendo gli Spartani bisogno soprattutto di denaro, quello fu di protezione per tutti coloro che si erano ribellati al re: la grande ricchezza donata da questi risollevò la patria. E in questa situazione lui soprattutto fu degno di ammirazione, pur essendogli stati versati tributi grandissimi dai re e dai signori e dai cittadini, non riunì per questo mai nulla nella sua casa, né cambiò nulla del suo stile di vita e abbigliamento spartano. Si accontentò della stessa casa che Euristene, il progenitore dei suoi antenati, aveva utilizzato: chi entrava non poteva vedere nessun segno di sfrontatezza, alcun lusso, per lo più invece (segni) di moderatezza e integrità: così, infatti, era costruita che in nessun punto era diversa da (quella) di un qualsiasi povero o privato. |
Si Gnaeum Pompeium, decus firmamentumque imperii, Neapoli valetudo abstulisset, indubitatus populi Romani princeps excesserat. At nunc exigui temporis adiectio fastigio illum suo depulit : vidit legiones in conspectu suo caesas et ex illo proelio in quo prima acies senatus fuit ipsum imperatorem superfuisse; vidit Aegyptium carnificem et corpus satelliti praestitit. Etiamsi incolumis fuisset, paenitentiam salutis acturus erat : quid enim erat turpius quam Pompeium vivere beneficio regis? M.Cicero si illo tempore quo Catilinae sicas devitavit, quibus pariter cum patria petitus est, concidisset, si, liberata re publica, servator eius, si denique filiae suae funus secutus esset, etiamtunc felix mori potuit: non vidisset strictos in civilia capita mucrones nec divisa percussoribus occisorum bona, nec caedes nec latrocinia, bella, rapinas, tantum Catilinarum.M. Catonem si a Cypro redeuntem mare devorasset, nonne illi bene actum foret? Hoc certe secum tulisset, neminem ausurum coram Catone peccare. Nunc annorum adiectio paucissimorum virum libertati non suae tantum sed publicae natum coegit Caesarem fugere, Pompeium sequi. | Se a Napoli la salute fosse venuta meno a Gneo Pompeo, gloria e fondamento dell’impero, sarebbe morto senza dubbio come capo del popolo romano. Ma ora l’aggiunta di poco tempo, privò quello della sua gloria: vide le legioni uccise di fronte a se e questo comandante sopravvisse da quella battaglia, nella quale fu la prima difesa del senato. Vide il carnefice degli Egizi e conservò le guardie de corpo. Anche se fosse sopravvissuto, avrebbe vissuto il pentimento della salvezza: che cosa infatti era più turpe che Pompeo vivesse sotto la protezione del re? Marco Cicerone, se fosse morto nel periodo in cui evitò i pugnali di Catilina, dai quali fu ricercato insieme con la patria, se liberato lo stato, fosse morto il suo salvatore, se infine il funerale di sua figlia fosse stato seguito, anche allora potè morire felice: non avrebbe visto sguainate le spade sulle teste dei civili, né spartiti i beni degli uccisi tra coloro che li avevano ucciso, né stragi, né violenze pubbliche, guerre rapine. Se Marco Catone ritornando da Cipro fosse stato divorato dal mare, forse che non sarebbe stato un buon atto di quello? Costui certamente l’avrebbe portato sempre con sé, poiché nessuno osava sbagliare alla presenza di Catone. Ora, l’aggiunta di pochissimi anni, costrinse un uomo, nato non tanto per la sua libertà quanto per quella della repubblica, a sfuggire a Cesare e seguire Pompeo. |
Quieta Gallia, Caesar, ut constituerat, in Italiam ad conventus agendos profiscitur. Ibi cognoscit de P. Clodii caede, de senatusque consulto certior factus ut omnes juniores Italiae coniurarent, dilectum tota provincia habere instituit. Eas res in Galliam Transalpinam celeriter perferuntur. Galli ipsi addunt et adfingunt rumoribus, ut res poscere videbantur; dicunt Caesarem retineri urbano motu neque in tantis dissensionibus ad exercitu venire posse.Impulsi hac occasione, Galli, qui iam ante dolebant se esse subiectos imperio populi Romani, liberius atque audacius de bello consilia inire incipiunt. Indictis conciliis silvestribus ac remotis locis, principes Gallia queruntur de Acconis morte, hunc casum ad ipsos recidere posse demonstrant; miserantur communem Galliae fotunam; deposcunt homines qui belli inituim faciant et sui capitis periculo Galliam in libertatem vindicent. | Poichè la Gallia era tranquilla, Cesare, come aveva stabilito, si recò in Italia per tenere le assemblee giudiziarie. Lì venne a sapere dell'uccisione di P. Clodio e, informato del decreto del senato di arruolare in massa tutti i giovani d'italia, stabilì di fare la leva dei soldati in tutta la provincia. Quegli avvenimenti vennero riferiti rapidamente nella Gallia Transalpina. I Galli per conto loro aggiunsero e gonfiarono dicerie come la situazione sembrava richiedere; dissero che Cesare era trattenuto da una sommossa a Roma e che fra tante discordie non poteva raggiungeer l'esercito. Spinti da questa occasione, i Galli, che già prima si dolevano di essere assoggetati al dominio romano, cominciarono a prendere più liberamente e coraggiosamente decisioni di guerra. Indette assemblee in foreste e luoghi appartati i capi della Gallia si lamentarono della morte di Accone e dichiararono che questa sorte poteva toccare a loro stessi; commiserarono la sorte comune della Gallia; reclamarono uomini che dessero inizio alla guerra e che a rischio della propria vita rendessero alla Gallia la libertà. |
Hunnorum gens, monumentis veteribus nota, ultra paludes Maeoticas glacialem oceanum accolens, omnem modum feritatis excedit. Ita victu asperi sunt ut neque igni neque saporatis cibi indigeant, sed radicibus herbarum agrestium et semicruda cuiusvim pecoris carne vescantur. Aedificia non habent, sed vagi montes perarantes et silvas, pruinas, famen sitimque pati a pueritia adsuescunt. Nemo apud eos agros arat aut serit. Omnes enim sine sedibus fixis, absque lege vel victu stabili, dispalantur cum carpentis in quibus habitant. | Il popolo degli Unni, noto per gli antichi monumenti, che abita presso l'oceano glaciale oltre le paludi Meotiche, supera ogni limite della barbarie. Sono così selvaggi nel nutrirsi che non hanno bisogno né di fuoco né di spezie per i cibi, ma si nutrono con radici di verdure selvatiche e con carne semicruda di qualsiasi animale. Non hanno case, ma percorrendo erranti i monti e i boschi, sono abituati a patire il gelo, la fame e la sete sin dalla fanciullezza. Nessuno ara o semina in quei campi. Infatti vagano tutti qua e là senza sedi fisse, senza legge o genere di vita stabile, con i carri in cui abitano. |
Q. Fulvius, Capua capta, et L. Opimius, Fregellanis ad deditionem compulsis, a senatu triumphandi potestatem petierunt. Sed senatum piguit hoc decernere,non patrum conscriptorum invidia, sed ut lex servaretur qua cautum erat ut triumphus solum de aucto imperio decerneretur. Videlicet parum Romanos decebat de civibus triumphare. Huius legi vero Romanos numquam paenituit. Victoriae, non externo sed domestico cruore partae, lugubres semper existimatae sunt.Nam Gaius Antonius, Lucius Cinna, Caius Marius, Lucius Sulla bella civilia confecerunt: nemo tamen triumphum egit. Senatum piguit taeduitque cuiquam lauream conferre, cum pars civitatis lacrimaret: corona coronandi erant modo qui patriam servaverant atque imperii fines propagaverant. | Quinto Flavio, occupata Capua e Lucio Opimio, costretti i Fregellani alla resa, chiesero al senato la concessione di celebrare il trionfo. Ma al senato non piaceva concederlo, non per astio dei senatori, ma era osservata una legge per la quale era garantito che il trionfo fosse decretato solo per l'accrescimento del dominio territoriale. Naturalmente era poco decoroso che i Romani celebrassero il trionfo sui cittadini. I Romani non si pentirono mai di questa legge. Infatti sono sempre state considerate lugubri le vittorie ottenute non dal sangue versato straniero ma da quello patrio. Infatti Gaio Antonio, Lucio Cinna, Caio Mario e a Lucio Silla compirono guerre civili: nessuno tuttavia ottenne il trionfo. |
Dionysius tyrannus per multos annos in Sicilia regnavit: studiosissimus erat non solum rei militaris sed etiam philosophiae atque litterarum. Poetas libenter legebat versusque ipse scribebat. Nobilissimos Siracusanos invitabat ad mensam suam et inter cenam carmina sua legebat. Convivae maximis plausibus laudabant Dionysii ingenium. Quondam Philoxenum, poetam clarissimum, ad cenam invitavit atque novos versus recitavit. Omnes convivae, cupidi tyranni favoris, eius artem celebraverunt.Unus Philoxenum silebat. Tunc Dionysius iratus eum eiecit in carcerem. Sed, ab amicis exoratus postero die illum liberavit e catenis et rursum ad cenam eum invitavit: alios versus egit et eius sententiam exquisivit. Philoxenus tacens, surrexit et mensam reliquit. Interrogaus quo tenderet “In carcerem” respondit. | Il tiranno Dionigi regnò per molti anni in Sicilia: era molto appassionato non solo dell’arte militare ma anche di filosofia e di letteratura. Leggeva volentieri i poeti e egli stesso scriveva versi. Invitava i più nobili Siracusani alla sua mensa e durante la cena leggeva le sue poesie. I commensali lodavano l’ingegno di Dioniso con grandissimi applausi. Una volta invitò a cena Filosseno, famosissimo poeta, e recitò nuovi versi. Tutti i commensali desiderosi del favore del tiranno, esaltarono la sua arte. Solo Filosseno rimaneva zitto. Allora Dionisio irato, lo fece gettare in carcere. Ma, pregato dagli amici, il giorno dopo lo liberò dalle catene e lo invitò di nuovo a cena: recitò altri versi e chiese il suo parere. Filosseno, tacendo, si alzò e lasciò la mensa. Interrogato su dove andasse, rispose: “In carcere”. |
caium gracchum idem furor, qui fratrem tiberium, invasit. seu fraternam necem vindicandi, seu regem potentiam comparandi causa, vix tribunatum adeptus est, cum pessima coepit inire consilia; maximas largitiones fecit; aerarium effudit; legem frumentariam ferendo, plebem adiuvavit. perniciosis gracchi consiliis, quanta poterant contentione, obsistebant omnes boni, in quibus maxime piso, vir consularis. decretum a senatu latum est, ut videret consul opimius, ne quid detrimenti res pubblica caperet.caius gracchus, armata familia, aventinum occupaverat. quamobrem consul ad arma populum vocavit et caium aggressus est; qui, pulsus, dum a templo dianae disiliit, telum intorsit; et cum iam a satellibus opimii comprehenderetur, iugulum servo praebuit; qui dominum, et mox semitipsum super domini corpus, interemit. | Lo stesso furore, che il fratello Tiberio, invase Caio Gracco. Sia per vendicare la morte del fratello, sia per la ragione di volersi confrontare con la potenza del re, aveva appena ottenuto la dignità di tribuno quando iniziò a prendere decisioni pessime; fece grosse elargizioni; scialaquò l'erario; presentando una proposta per una legge sul frumento aiutò la plebe. Alle dannose decisioni di Gracco, con quanto accanimento potevano, si opponevano tutti i nobili, fra i quali soprattutto Pisone, uomo consolare. Venne promulgato dal senato un decreto, per affidare al console Opimio il compito di vigilare sulla sicurezza dello Stato. Caio Gracco, dopo aver armato la truppa, aveva occupato l'Aventino. Perciò il console chiamò il popolo alle armi e Caio fu attaccato; questi, colpito quando usciva dal tempio di Diana, si distorse la caviglia e, stando già le guardie consolari per prenderlo, offrì al servo la gola, che uccise il padrone e subito dopo se stesso sul corpo del padrone. |
Cum Pausanias impietatis crimine delatus esset, ephori iusserunt eum in urbe comprehendi; at ille, cum sensisset insidias sibi parari, in aedem Athenae confugit, ratus hoc modo se posse mortem effugere. Ephori autem, ne illinc excederet, statim valvas eius aedis obstruxerunt tectumque demoliti sunt, ut celeriter sub divo vita decederet. Mater Pausaniae, iam aetate provecta, postquam de scelere filii comperit, in primis ad filium claudendum lapidem ad introitum aedis attulit.Hic, cum semianimis de templo elatus esset, confestim animam efflavit. Sic Pausanias magnam belli gloriam turpi morte maculavit. | Essendo stato Pausania accusato di empietà, gli efori ordinarono di catturarlo in città; ma quello, avendo avvertito che gli erano preparati dei tranelli, si rifugiò nel tempio di Atene, ritenendo che in questo modo potesse sfuggire alla morte. Gli efori, invece, affinché non potesse allontanarsi da lì, subito murarono le porte di quel tempio e distrussero il tetto, affinché a cielo scoperto morisse velocemente. La madre di Pausania, ormai di età avanzata, dopo che venne a sapere del delitto del figlio, tra i primi portò una lapide all’entrata del tempio per rinchiudere il figlio. Questo, quando fu portato fuori dal tempio agonizzante, subito spirò. Così Pausania svilì con una fine infamante una grande gloria militare (di guerra). |
Accepi ab Aristocrito tres epistulas, quas ego lacrimis prope delevi; conficior enim maerore, mea Terentia, nec meae me miseriae magis excruciant quam tuae vestraeque, ego autem hoc miserior sum quam tu, quae es miserrima, quod ipsa calamitas communis est utriusque nostrum, sed culpa mea propria est. Meum fuit officium vel legatione vitare periculum vel diligentia et copiis resistere vel cadere fortiter: hoc miserius, turpius, indignius nobis nihil fuit.Quare cum dolore conficior, tum etiam pudore: pudet enim me uxori meae optimae, suavissimis liberis virtutem et diligentiam non praestitisse; nam mihi ante oculos dies noctesque versatur squalor vester et maeror et infirmitas valetudinis tuae, spes autem salutis pertenuis ostenditur. Inimici sunt multi, invidi paene omnes: eiicere nos magnum fuit, excludere facile est; sed tamen, quamdiu vos eritis in spe, non deficiam, ne omnia mea culpa cecidisse videantur. | Tullio saluta Terenzia e i suoi Tulliola e Cicerone.Ho ricevuto tre lettere da Aristocrito, che io ho quasi cancellato con le lacrime; infatti, mi struggo nella tristezza, mia Terenzia, e i miei tormenti non mi torturano più dei tuoi e dei vostri; invece, io sono più sventurato di te, che sei disgraziatissima, perché le stesse disgrazie sono comuni a entrambi, ma la colpa è soltanto mia. Sarebbe stato mio dovere o di evitare il pericolo accettando un’ambasciata, o di resistere con coscienza o con delle truppe, o di cadere coraggiosamente. Non ci fu nulla per noi di più sventurato, vergognoso, indegno di questo. Per la qual cosa mi struggo con dolore, poi anche nella vergogna: mi vergogno, infatti, di non aver mostrato valore e zelo alla mia ottima moglie, agli amabilissimi figli; infatti, giorno e notte mi passano davanti agli occhi la vostra desolazione e la tristezza e la cagionevolezza della tua salute; tuttavia, si mostra una lievissima speranza di salvezza. Molti sono i nemici, quasi tutti ostili: esiliarci fu importante, escluderci è facile. Ma, tuttavia, finché voi nutrirete speranza, non mi perderò d’animo, affinché non sembri che tutte le cose siano accadute per colpa mia. |
Augustus, cum ruri in villa sua esset atque iniqua febricula laboraret, plurimas noctes inquietas agebat. Praeterea non amplius horas quinque quiescere poterat, cum creber tristisque noctuae cantus eius somnum perturbaret; unde eveniebat ut nocte saepissimae e somno repente excuteretur. Tum imperator lectorem arcessebat ut ille voce submissa somnium conciliaret. Olim Augustus, cum audivisset senatorem, quamvis aere alieno oppressum, artissime dormire esse solitum, confestim misit in urbem servum ut etiam magno pretio senatoris culcitam emeret.Amicis quaerentibus cur tantopere illam culcitam possidere cuperet, Augustus ait: “Culcita in qua homo aere alieno oppressus semper tranquille dormire potuit certe etiam mihi somnum conciliabit”. | Augusto, trovandosi in campagna nella sua villa e soffrendo per un'avversa febbricciola, passava molte notti inquiete. Inoltre non poteva riposare più a lungo di cinque ore, turbando il suo sonno il fastidioso e triste canto di una civetta; in seguito avveniva molto spesso che di notte si scuotesse improvvisamente dal sonno. Allora l'imperatore prendeva un lettore perché quello gli conciliasse il sonno con voce sommessa. Un tempo Augusto, avendo sentito che un senatore, benché carico di debiti, era solito dormire profondamente, subito mandò in città un servo per comprare anche a gran prezzo il materasso del senatore. Agli amici che gli chiedevano perché desiderasse così tanto possedere il materasso, Augusto disse: “Il materasso su cui un uomo carico di debiti ha potuto dormire tranquillamente certo anche a me concilierà il sonno”. |
Cimonem, Miltiadis filium, Athenienses non solum in bello, sed etiam in pace diu desideraverunt. Compluribus enim locis praedia hortosque habebat, sed tantae liberalitatis fuit ut num quam in eis custodes posuerit ut fructus servarent. Hoc faciebat ne quis carpere fructus, quos vellet, impediretur. Semper nummos in promptu habebat, ut statim indigentibus subvenire posset. Saepe, cum aliquem videret haud bene vestitum, suum amiculum dabat, quo frigus aptius tolerare posset.Cotidie ei cena tam copiosa coquebatur, ut apud se advocare posset omnes quos invocatos vidisset in foro: quod facere nullo die praetermisit. Nemini fides eius, nemini opera, nemini res familiaris defuit; multos locupletavit, semper alios adiuvit. Qua re vita Cimonis semper secura fuit eiusque mors ab omnibus civibus acerba putata est. | Gli Ateniesi rimpiansero a lungo Cimone, figlio di Milziade, non solo in guerra, ma anche in pace. Possedeva infatti in parecchi luoghi poderi e orti, ma fu così generoso da non porvi custodi a protezione dei prodotti. Faceva questo per non impedire a nessuno di raccogliere i frutti che voleva. Aveva sempre a disposizione delle monete per poter venire subito in aiuto a chi ne avesse bisogno. Spesso, vedendo qualcuno vestito male, gli dava il suo mantello con il quale potesse sopportare piu adeguatamente il freddo. Ogni giorno si faceva preparare un pranzo così abbondante da poter invitare a casa sua tutti quelli che aveva visto nell'agorà non invitati: e non c'era giorno che tralasciasse di farlo. A nessuno venne meno la sua lealtà, a nessuno il suo aiuto, a nessuno il suo patrionio: ne arricchì molti, aiutò sempre gli altri. Per questo la vita di Cimone fu sempre tranquilla e i suoi concittadini giudicarono dolorosa la sua morte. |
Thrasybulo pro tantis meritis honoris corona a populo data est, facta duabus virgulis oleaginis: quam quod amor civium et non vis expresserat, nullam habuit invidiam magnaque fuit gloria. Bene ergo Pittacus ille, qui in VII sapientum numero est habitus, cum Mytilenaei multa milia iugerum agri ei muneri darent, `Nolite, oro vos, inquit id mihi dare, quod multi invideant, plures etiam concupiscant. Quare ex istis nolo amplius quam centum iugera, quae et meam animi aequitatem et vestram voluntatem indicent.Nam parva munera diutina, locupletia non propria esse consuerunt'. Illa igitur corona contentus Thrasybulus neque amplius requisivit neque quemquam honore se antecessisse existimavit. Hic sequenti tempore cum praetor classem ad Ciliciam appulisset neque satis diligenter in castris eius agerentur vigiliae, a barbaris ex oppido noctu eruptione facta in tabernaculo interfectus est. | Per i suoi grandi meriti, a Trasibulo fu data dal popolo una corona, fatta di due ramoscelli di olivo. Poiché essa era espressione dell'amore dei cittadini e non di imposizione, non gli suscitò alcuna invidia, anzi fu per lui fonte di grande gloria: Bene disse dunque quel famoso Píttaco, che fu annoverato tra i sette sapienti, quando gli abitanti di Mitilene volevano dargli in dono molte migliaia di iugeri di terreno: "Non mi date, vi prego, ciò che molti potrebbero invidiare, parecchi persino desiderare. Perciò di codesti io non voglio più di cento iugeri che stiano ad indicare la mia equità e il vostro affetto". Infatti i doni piccoli sono di solito duraturi, quelli ricchi instabili. Pago dunque di quella corona, Trasibulo né ricercò di più né ritenne che nessuno fosse stato più onorato di lui. Egli, in seguito, in qualità di stratego fece uno sbarco in Cilicia, ma siccome i turni di guardia nel suo accampamento erano fatti con scarsa diligenza, i barbari fecero nottetempo irruzione dalla loro roccaforte e lo uccisero nella sua tenda. |
Ulla si iuris tibi peieratipoena, Barine, nocuisset umquam,dente si nigro fieres vel unoturpior ungui,crederem. Sed tu simul obligastiperfidum votis caput, enitescispulchrior multo iuvenumque prodispublica cura.Expedit matris cineres opertosfallere et toto taciturna noctissigna cum caelo gelidaque divosmorte carentis.Ridet hoc, inquam, Venus ipsa, ridentsimplices Nymphae ferus et Cupidosemper ardentis acuens sagittascote cruenta.Adde quod pubes tibi crescit omnis,servitus crescit nova nec prioresimpiae tectum dominae relinquont,saepe minati.Te suis matres metuunt iuvencis,te senes parci miseraeque nupervirgines nuptae, tua ne retardetaura maritos. | O Barine, se una sola pena per il giuramento violatoti avesse mai colpito,se tu diventassi più brutta per un dente neroo per soltanto un’unghia,io ti crederei. Invece tu, non appena hai impegnatoil tuo capo traditore con delle promesse false, risplendiancora più bella e incedi[da] comune affanno dei giovani.[Ti] giova ingannare le ceneri di tua madresepolta, le costellazioni della notte silenziosacon tutto il cielo e gli dei,privi della gelida morte.Sorride di questo, dico, la stessa Venere, sorridonole ingenue ninfe e il feroce Cupido,sempre mentre affila i dardi infiammatisulla pietra insanguinata.Aggiungi che la gioventù cresce tutta per te,crescono dei nuovi schiavi, né i vecchi,lasciano la casa della loro tiranna spietata,pur avendolo tante volte minacciato.Le madri ti temono per i loro figli,[ti temono] i vecchi padri avari e [temono] le infelici fanciulleda poco spose, che il tuo fascino faccia attardarei loro uomini. |
Androgeus, Minois Cretae regis filius, multa certamina in Athenarum ludis vicerat; quare Athenienses, immerito irati, Androgeum dolo necaverant. Itaque Minos, quia filii mortem vindicare cupiebat, Atheniensibus bellum movet et post victoriam eis nefarium tributum imponit: quotannis athenienses in insulam Cretam septem iuvenes septemque virgines mittere debebant. Illic miseri iuvenes a rege in Labyrintho claudebantur, ubi a Minotauro, monstro Horrendo Minois filio, vorabantur.Tum Theseus, Aegei Athenarum regis filius, cum paucis comitibus Athenis solvit et ad Cretam navigat, ubi Ariadna, Minois filia, amore erga Theseum impulsa (=spinta), rectum iter per Labyrinthum ei ostendit atque licii glomus dinat. Theseus, glomus evolvens, in Labyrinthum intrat, Minotauri conclave invenit, monstrum necat et, licium revolvendo, exitum reperit. Itaque Theseus Athenienses a nefario tributo liberat et cum Ariadna comitibusque victor in patriam revertit. | Androgeo, figlio di Minosse, re di Creta, poichè aveva vinto molte gare nei giochi di Atene, era stato ucciso con un tranello dagli Ateniesi irati.Allora Minosse, poichè voleva vendicare la morte del figlio, mosse guerra agli Ateniesi e dopo la vittoria, impose loro un esempio tributo: infatti ogni anno gli abitanti di Atene dovevano mandare nell'isola di Creta sette fanciulle e sette fanciulli.Quando giungevano a Creta,i poveri fanciulli venivano rinchiusi nel labirinto dal re Minosse, dove venivano divorati dal Minotauro, orribile mostro dal corpo di uomo e dalla tesa di toro.Allora Teseo, figlio di Egeo, re degli Ateniesi, con pochi ma coraggiosi compagni salpa da Atene e si dirige verso Creta dove, con l'aiuto di Arianna, figlia del re, entra nel labirinto, uccide il Minotauro e libera Atene dal nefando tributo. Dopo l'impresa Teseo con i compagni ed Arianna, innamorata di lui, fugge da Creta e ritorna vittorioso in patria. |
Pullus gallinaceus escam in sterquilinio quaerebat, sed margaritam repperit. Tum argutis verbis dixit: << O pulchra et pretiosa gemma, loco indigno vero iaces! Sed, si homo, pretii tui cupidus, aliquando venustatem tuam viderit, ad pristinum splendorem formam tuam reducet. Ego, autem, cibum , non divitias, diligo: mihi igitur utilitatem non praebes et formam tuam neglego>>. Phaedrus pulli fabellam scripserat hominibus, qui eius fabularum vim non intellegebant. | Un galletto era in cerca di qualcosa da divorare in un letamaio, però trovò una perla. Dunque afferma divertenti vocaboli: "Oh preziosa e graziosa perla, giaci in un luogo veramente disonorevole! Se mai un uomo avido avesse notato il tuo valore, saresti già ritornata alla bellezza di un tempo. Io, dopo, preferisco il cibo, non le pecunie: io dunque l'utilità non prendo e oltraggio la tua bellezza". Fedro evidenzia gli uomini nella favola del galletto, che non si accorgono della forza delle favole. |
Nemo dubitet quin natura providerit ut et nomine et omnia animalia appetant aliquid agere semper. Facile est hoc cernere in primis puerorum aetatulis. Facere enim non possunt omnes veteres philosophi quin de pueris considerent, quod in pueritia facillime naturae voluntas possit cognosci. Videmus igitur ne infantes quidem interdici posse quominus se moveant. Cum vero paulum pueri processerunt, lusionibus delectantur eaque cupiditas agendi aliquid adolescit una cum aetatibus.Tamen omnes saepe placidissima quiete frui velimus. Licet perpetuum somnum nobis concedatur: si id accidit, mortis instar putemus. Quin etiam intertissimi homines, singulari segnitia praediti, tamen et corporee t animo moventur semper et aut quaerunt quempiam ludum aut sermonem aliquem requirunt; cum non habeant ingenuas ex doctrina oblectationes, circulo aliquos et sessiunculas consectantur. Quid autem dicam de viris optime institutis? Gerendis negotiis orbati sint: numquam paratas voluntates capient! Nam aut privatim aliquid facere malunt boni viri aut rei publicae student aut totos se ad studia doctrinae conferunt. Illi etiam curas, sollicitudines, vigilias perferunt, ingenii acie fruuntur nec ullam voluptatem requirunt. | Nessuno dubita che la natura abbia provveduto affinché sia gli uomini sia tutti gli animali desiderino fare sempre qualcosa. È facile capire ciò nei primi anni di vita dei bambini. Infatti non possono fare a meno tutti i vecchi filosofi che riflettono sui bambini, che nella fanciullezza la volontà si possa conoscere in modo molto semplice. Vediamo dunque che non si può certamente impedire i bambini di muoversi. Ma quando i bambini diventano un po’ più grandi, si rallegrano con i giochi e quel desiderio di fare qualcosa cresce insieme all’età. Tuttavia tutti vogliamo sempre godere di un riposo tranquillissimo. È lecito che ci sia concesso il sonno eterno: se ciò accade, la riteniamo come la morte. Ma anzi, gli uomini che stanno sempre senza far nulla, dotati di una singolare inerzia, tuttavia si muovono sempre sia nel corpo che nell’animo e o chiedono qualche gioco o esigono un qualche discorso; quando non hanno i naturali diletti dal sapere, seguono qualche convegno e delle sedute. Che cosa però potrei dire degli uomini istruiti egregiamente? Sono ridotti all’inattività dall’occuparsi degli affari: non raggiungono mai piaceri preparati! Infatti gli uomini onesti o preferiscono fare qualcosa privatamente o si occupano dello stato o si danno completamente agli studi del sapere. Quelli sopportano preoccupazioni, sollecitudini e veglie, godono di un acuto ingegno e non cercano nessun piacere. |
Agamemnon et Menelaus, Atrei filii, cum ad Troiam oppugnandam coniuratos duces ducerent, in insulam Ithacam ad Ulixem, Laertis filium, venerunt, cui erat responsum, si ad Troiam ivisset, post vicesimum annum, solum, sociis perditis, patriam revisurum esse. Itaque, cum sciret ad se oratores venturos esse, insaniam simulans, pileum sumpsit et equum cum bove iunxit ad aratrum. Eum Palamedes ut vidit, sensit simulare atque Telemachum filium eius cunis sublatum aratro subiecit et ait: <<simulationem depone,inter duces Graecos veni>>.Tunc Ulixes fidem dedit se venturum esse, ex eo die Palamedi infestus fuit. | Agamennone e Menalao, figli di Atreo, portando i generali uniti in giuramento per conquistare Troia, mandarono i legati presso Ulisse, figlio di Laerte, nell'isola di Itaca, a cui fu profetizzato che se fosse andato a Troia, dopo il ventesimo anno, da solo, avendo perso gli amici, umile sarebbe ritornato in patria. E allora essendo a conoscenza che i legati sarebbero arrivati presso di lui, fingendo pazzia, si mise un pileo e legò un cavallo con un bue all'aratro. Però mentre Palamede lo osservò, comprese l’inganno e tolto dalla culla suo figlio Telemaco lo mise dinnanzi all'aratro e affermò: "Lascia la finzione e vieni tra i comandanti greci." Così Ulisse fece giuramento che sarebbe venuto, ma da quel giorno fu ostile a Palamede. |
Forte in duobus tum exercitibus erant trigemini fratres nec aetate nec viribus dispares (1). Horatios Curiatiosque fuisse satis constat. Cum trigeminis agunt (2)reges, ut pro sua quisque patria dimicent ferro: (3) ibi imperium fore unde victoria fuerit. Nihil recusatur; tempus et locus convenit. Priusquam dimicarent, foedus ictum inter Romanos et Albanos est his legibus, ut, cuiuscumque populi cives eo certamine vicissent, is alteri populo cum bona pace imperitaret.Foedere icto trigemini, sicut convenerat, arma capiunt. Datur signum, infestisque armis, velut acies terni iuvenes, magnorum exercituum animos gerentes, concurrunt.Adattato da Tito Livio, Ab Urbe conditaNote(1) - Tum trigemini fratres dispares nec aetate nec viribus erant forte in duobus exercitibus(2) - propongono(3) - sottinteso « dicunt » | Allora, tre fratelli gemelli non diversi, né per età, né per forza si trovavano per caso in ciascuno dei due eserciti. E’molto noto che si trattasse degli Orazi e dei Curiazi.Quando i comandanti propongono ai tre di lottare per la propria patria ciascuno con la spada, allora dicono che la supremazia ci sarà se ci sarà la vittoria. Tutte le proposte sono accettate; ci si accorda sul tempo e sul luogo. Prima di combattere viene concluso un patto fra Romani e Albani a queste condizioni: che i cittadini di qualunque popolo che avesse vinto il duello, governassero con buona pace sull’altro popolo. Concluso il patto, così come era convenuto, i tre prendono le armi. Dopo aver dato il segnale, con le armi pronte per essere scagliate, formando una schiera a tre, i giovani si lanciano alimentando il coraggio dei (due) grandi eserciti. |
Datames, cum ei nuntiatum esset quosdam sibi insidiari, qui in amicorum erant numero, experiri voluit, verum falsumne sibi esset relatum. Itaque eo profectus est, in quo itinere futuras insidias dixerant. Sed elegit corpore ac statura simillimum sui eique vestitum suum dedit atque eo loco ire, quo ipse consuerat, iussit; ipse autem ornatu vestituque militari inter corporis custodes iter facere coepit. At insidiatores, postquam in eum locum agmen pervenit, decepti ordine atque vestitu impetum in eum faciunt, qui suppositus erat.Praedixerat autem iis Datames, cum quibus iter faciebat, ut parati essent facere, quod ipsum vidissent. Ipse, ut concurrentes insidiatores animum advertit, tela in eos coniecit. Hoc idem cum universi fecissent, priusquam pervenirent ad eum, quem aggredi volebant, confixi conciderunt. | Datame, dopo che venne a sapere che alcuni che erano nella lista dei suoi amici gli ponevano trappole, volle provare se gli fosse stato detto il vero o il falso. Quindi si diresse là dove gli fu riferito che ci sarebbe stato l'attentato. Però scelse un servo di apparenza e di altezza piuttosto simile a sé e gli diede il suo abito e gli comando di circolare là dove lui era abituato a circolare;il medesimo al contrario, iniziò a camminare con divisa e distintivi di militare tra le guardie del corpo. Però i congiurati, dopo che la legione arrivò in quel posto, imbrogliati dalla ubicazione e dall'aspetto, fanno furia contro questo che fu posto invece di Datame. Datame, invece,prima aveva ordinato a quelli con i quali svolgeva il percorso che fossero preparati a fare ciò che egli stesso faceva. Il medesimo, quando vide i congiurati correre , gettò dardi contro questi. Visto che tutti facevano questa stessa azione,i congiurati, prima che raggiungessero quello che volevano attaccare, caddero colpiti. |
Post multos variosque errores Ulixes cum sociis in insulam Aeneriam pervenit, ubi vivebat Circe maga, Solis filia, quae potione homines in feras bestias commutabat. Deinde Eurylochum cum viginti duobos sociis praemisit qui, cum ad pulchras deae aedes accesserunt, leones et lupos non solum minime feroces sed etiam caudas moventes undique viderunt et magam canentem audiverunt. Circe ianuam aperuit et advenas domum invitavit. Postquam omnes Graeci imprudentes intraverant solus Eurylochus dolum timens foris mansit et accubuerant, maga cibos cum potione apposuit et eos in sues convertit.Eurylochus autem qui ut supra diximus, non intraverat, perterritus fugit et rem Ulixi nuntiavit, qui solus ad Circen properavit ensemque stringens magam coegit comitibus speciem humanam reddere.Da Igino | Dopo molte e diverse peregrinazioni, Ulisse approdò con i compagni all’isola Enaria dove viveva la maga Circe, figlia del Sole, la quale con una pozione mutava gli uomini in animali selvaggi. Quindi mandò avanti Euriloco con ventidue compagni, che si avvicinarono al bel tempio della dea, videro leoni e lupi che non solo non erano affatto feroci, ma che muovevano la coda da tutte le parti e udirono la maga che stava cantando. Circe aprì la porta e invitò gli stranieri (a entrare) in casa. Dopo che tutti i Greci imprudentemente, entrarono -il solo Euriloco, sospettando un inganno, si trattenne fuori- e si sdraiarono, la maga servì loro del cibo mescolato a una pozione e li trasformò in maiali. Invece Euricolo che, come abbiamo detto prima, non era entrato, preso dallo spavento si dette alla fuga e raccontò l'accaduto a Ulisse che, da solo, si affrettò [a recarsi] da Circe ed impugnando la spada obbligò la maga a restituire ai compagni le sembianze umane. |
Hannibal per Etruriam ad lacum Trasimenum pervenerat et ibi castra inter lacum et montes posuerat, sed in montium specubus equitatus partem celaverat. Interea exercitus Romanus, iussu Flaminii consulis, ad lacum appropinquabat et, procul, copias Carthaginiensium conspiciebat. At ex improviso densa caligo ex lacu apparuit et omnium locorum prospectum ademit. Repente, Hannibalis iussu, equitatus ac peditatus contra Romanos impetum fecerunt. Horribilis tumultus et magna exercitus Romani clades fuit; consul hostium ictibus cecidit, et tantum pauci per montium passus fugerunt. | Annibale era giunto attraverso l'Etruria al lago Trasimeno e lì aveva posto l'accampamento tra il lago e i monti, ma aveva nascosto parte della cavalleria nelle grotte dei monti. Intanto l'esercito romano, per ordine del console Flaminio, si avvicinava al lago e, da lontano, osservava le truppe dei Cartaginesi. Ma all'improvviso una densa nebbia apparve dal lago e precluse la vista di tutti i luoghi. Improvvisamente, per ordine di Annibale, la cavalleria e la fanteria fecero impeto contro i Romani. Fu un orribile tumulto e una grande sconfitta per l'esercito romano; il console morì sotto i colpi del nemico, e solo pochi fuggirono attraverso i passi dei monti. |
Primo bello Punico Romani diu terra marique cum Carthaginiensibus dimicaverunt , donec ingentem classem instruxerunt et bellum in hostium fines transtulerunt. Manlius Vulso et Attilius Regulus consules, in Africam missi, felici exitu contra Carthaginienses pugnaverunt, eorum agros vicosque vastaverunt, multos milites occiderunt vel ceperunt. Postea Manlius Romam revertit, atilius Regulus autem in Africa mansit neque opes Carthaginiensium, belli diuturnitate debilitatas, urgere cessavit.Tandem hostes, mulis proeliis superati, a Romanorum consule pacem poposcerunt, sed Regulus duras condiciones imposuit. Quare Carthaginienses, ad dasperationem adducti, auxilium a Lacedaemoniis petiverunt, qui in Africam Xanthippum, ducem rei militaris peritum, miserunt. Hic Carthaginiensium milites severa disciplina ad pristinam virtutem reduxit; itaque Poeni Romanorum copias vicerunt et Regulum in carcerem coniecerunt ubi consul orrendi supplicis excruciatus vitam amisit. | Durante la prima guerra Punica i Romani combatterono a lungo contro i Cartaginesi in mare e in terra, finché radunarono insieme un ingente flotta e trasferirono la guerra entro il territorio dei nemici. I consoli Manlio Vulsone e Attilio Regolo, dopo che furono mandati in Africa, combatterono con felice esito contro i Cartaginesi, devastarono i loro campi e villaggi, uccisero o catturarono molti soldati. Dopo, Manlio ritornò a Roma, Attilio Regolo invece rimase in Africa e non cessò di incalzare le forze armate Cartaginesi, indebolite dalla lunghezza della guerra. Alla fine i nemici, vinti in molte battaglie chiesero al console dei Romani la pace, ma Regolo impose dure condizioni. Perciò i Cartaginesi, indotti alla disperazione, chiesero aiuto agli Spartani, che mandarono in africa Santippo, comandante esperto dell’arte della guerra. Questo riportò i soldati dei Cartaginesi al valore di prima con una severa disciplina: pertanto i cartaginesi vinsero le truppe dei romani e gettarono Regolo in carcere, dove il console, torturato con orrende torture, perse la vita. |
Hamilcar ut Carthaginem venit, rem publicam in gravi discrimine invenit. Namque diuturnitate externi mali tantum exarsit intestinum bellum, ut numquam in pari periculo fuerit Carthago nisi cum deleta est. Primo mercennarii milites, quibus Carthaginienses usi erant adversus Romanos, desciverunt, quorum numerus erat viginti millum. Hi totam abalienaverunt Africam, ipsam Carthaginem oppugnaverunt. Quibus malis adeo sunt Poeni perterriti, ut etiam auxilia ab Romanis petierint eaque impetraverint.Sed extremo, cum prope iam ad desperationem pervenissent, Hamilcarem imperatorem fecerunt. Hic non solum hostes a muris Carthaginis removit, sed etiam eo compulit, ut locorum angustiis clausi plures fame quam ferro mortem occumberent. Multa oppida atque urbes patriae restituit; in his Utica, valentissima totius Africae. Neque eo fuit contentus, sed etiam fines imperii propagavit, in tota Africa tantum otium reddidit, ut nullum in ea bellum multis annis esset. | Quando Amilcare giunse a Cartagine trovò lo Stato in grave pericolo. Infatti, a causa della durata della guerra esterna, scoppiò una guerra civile tanto grande che Cartagine non si trovò mai ad essere in un tal pericolo se non quando fu distrutta. Prima di tutto si ribellarono i soldati mercenari, il cui numero era di ventimila, che i Cartaginesi avevano usato contro i Romani. Costoro spinsero tutta l’Africa a ribellarsi e dettero l’assalto alla stessa Cartagine. I Cartaginesi furono talmente atterriti da tali sciagure che chiesero addirittura milizie ausiliarie ai Romani, e li ottennero. Ma alla fine, quando erano quasi ormai giunti alla disperazione, nominarono Amilcare comandante supremo. Costui non solo respinse i nemici dalle mura di Cartagine, ma addirittura li ridusse al punto che, chiusi in luoghi molto angusti, morissero più per fame che per spada. Riconquistò alla patria molte città; tra queste Utica, la più potente di tutta l’Africa. E non fu soddisfatto di ciò, ma ampliò addirittura i territori dell’impero, in tutta l’Africa ristabilì così tanta pace che sembrava che non ci fosse stata alcuna guerra da tanti anni. |
Aegre tolerans urbis vitam strepentem, per agros philosophus libenter ambulabat librum legens. Agricolas arantes, pueros ludentes,haedos salientes laete spectabat. Piscatores,in fluvii ripis sedentes,tempus tranquille absumebant; venatores volitantium avium agmina patienter exspectabant, coelum suspicientes. Errantibus per villas agricolae poma libenter praebebant. Sed philosophum per agros ambulantem agricolae stulti deridebant,librum eius videntes:in campis quoque vita morosa est. | Sopportando malvolentieri la vita rumoreggiante della città un filosofo marciava per i campi liberamente sfogliando un libro. Guardava felice i contadini che aravano i giovani che si divertivano, i capri che salivano. I pescatori, sedendo sulla riva del fiume trascorrevano serenamente il tempo, i cacciatori attendevano meticolosamente gli stormi di uccelli osservando il cielo. I contadini a quelli che marciavano per le case concedevano volentieri i frutti. Però gli stupidi contadini schernivano il filosofo che marciava per i campi, guardando il suo libro: pure nei campi la vita è chiassosa. |
Nec vero quemquam senem audivi oblitum, quo loco thesaurum obruisset; omnia, quae curant, meminerunt; vadimonia constituta, quis sibi, cui ipsi debeant. Quid iuris consulti, quid pontifices, quid augures, quid philosophi senes, quam multa meminerunt! Manent ingenia senibus, modo permaneat studium et industria, neque ea solum in claris et honoratis viris, sed in vita etiam privata et quieta. Sophocles ad summam senectutem tragoedias fecit; quod propter studium cum rem neglegere familiarem videretur, a filiis in iudicium vocatus est, ut, quem ad modum nostro more male rem gerentibus patribus bonis interdici solet, sic illum quasi desipientem a re familiari removerent iudices. | In verità, non ho mai sentito un qualche vecchio che si sia dimenticato in quale luogo avesse sepolto un tesoro; tutte le cose, di cui si occupano, ricordano; gli impegni di comparizione stabiliti, chi deve a loro, a chi essi stessi devono (sono debitori). Che cosa (dire) degli esperti di diritto? Che cosa dei pontefici? Che cosa degli indovini? Che cosa dei vecchi filosofi? Quante cose ricordano! Le qualità naturali restano ai vecchi, purché la diligenza e l’operosità rimangano, e queste non solo negli uomini illustri e stimati, ma anche nella vita privata e tranquilla. Sofocle scrisse tragedie fino alla tarda vecchiaia; dal momento che sembrava che a causa di questa occupazione trascurasse le faccende famigliari, fu trascinato in tribunale dai figli, al punto che, come, secondo nostro costume, si suole interdire l’amministrazione del patrimonio a quei padri di famiglia che lo amministrano male, così i giudici, come se fosse pazzo (uscito di senno), lo esclusero dal patrimonio familiare. |
Fugato omni Gallorum equitatu, Vercingetorix copias reduxit protinusque Alesiam, quod est oppidum Mandubiorum, iter facere coepit celeriterque impedimenta e castris educi et se subsequi iussit. Caesar, impedimentis in proximum collem deductis, duabus legionibus praesidio relictis, secutus quantum diei tempus est passum , circiter tribus milibus hostium ex novissimo agmine interfectis, altero die apud Alesiam castra posuit. Perspecto urbis situ perterritisque hostibus, quod equitatus eorum, cui maxime confidebant, pulsus erat, Caesar, cohortatus ad laborem milites, urbem circumvallare instituit. | Messa in fuga tutta la cavalleria, Vercingetorige fece rientrare le truppe come le aveva disposte in difesa dell'accampamento e fece intraèrendere il cammino verso Alesia, che è la città dei Mandubii e comandò di essere protate fuori le salmeri e dell'accampamento, e di seguirlo. Cesare, ritratti i bagagli sul vicino colle, lasciate due legioni di guardia, seguì per quanto la durata del giorno lo consentì, uccise quasi tremila dei nemici dalla retroguardia; l'altro giorno pose gli accampamenti ad Alesia. Esaminata la posizione della città, spaventati i nemici, poichè erano stati sconfitti dalla cavalleria nella quale le armate soprattutto confidavano, e avendo esortato i soldati al lavoro, Cesare comandò di chiudere la città con un vallo. |
Si tecum patria atque parentes possent loqui, scilicet haec tibi dicerent: "O Caesar, nos te genuimus fortissimi viri, in optima urbe, decus praesidiumque nobis, hostibus terrorem. Quae multis laboribus et periculis ceperamus, ea tibi nascenti cum anima simul tradidimus, patriam maxumam in terris, domum familiamque in patria clarissimam, praeterea bonas artis, honestas divitias, postremo omnia honestamenta pacis et paremia belli. Pro iis amplissimis beneficiis non flagitium a te neque malum facinus petimus, sed ut ei libertatem eversam restituas.Qua re patrata, profecto per gentes omnes fama virtutis tuae volitabit. Namque hac tempestate tamentsi domi militiaque praeclara facinora egisti, tamen gloria tua cum multis viris fortibus aequalis est. Si vero urbem amplissimo nomine et maxumo imperio prope iam ab occasu restitueris, quis te clarior, quis maior in terris fuerit?". | Se la patria e i genitori potessero parlare con te, sicuramente ti direbbero queste cose: "O Cesare, noi uomini fortissimi generammo te nella migliore città, dignità e protezione per noi, terrore per i nemici. Quando sei nato abbiamo tramandato a te insieme alla vita, le cose che avevamo ottenuto con molte fatiche e molti pericoli, la patria più potente sulla terra, la famiglia più famosa nella patria e una casa, inoltre le buone qualità, ricchezze oneste, infine tutti gli ornamenti della pace e i riconoscimenti di guerra. Per questi grandissimi benefici non ti chiediamo scelleratezza né un'azione disonesta, ma che tu restituisca alla patria la libertà espropriata. Fatta quell'azione, fama del tuo valore si diffonderà tra tutte le genti. E infatti in questi tempi, sebbene tu abbia compiuto famosissime imprese in pace e in guerra, tuttavia la tua gloria è uguale a quella di molti uomini coraggiosi. Se invece richiamerai dal declino la città dalla fama larghissima e dal potere così esteso, chi sarà più famoso di te, chi più grande sulla terra? |
Hannibal, Hamilcaris filius, Carthaginiensis. Si verum est, quod nemo dubitat, ut populus Romanus omnes gentes virtute superaverit, non est infitiandum Hannibalem tanto praestitisse ceteros imperatores prudentia, quanto populus Romanus antecedat fortitudine cunctas nationes. Nam quotienscumque cum eo congressus est in Italia, semper discessit superior. Quod nisi domi civium suorum invidia debilitatus esset, Romanos videtur superare potuisse. Sed multorum obtrectatio devicit unius virtutem.Hic autem velut hereditate relictum odium paternum erga Romanos sic conservavit, ut prius animam quam id deposuerit, qui quidem, cum patria pulsus esset et alienarum opum indigeret, numquam destiterit animo bellare cum Romanis. | Annibale, figlio di Amilcare, era Cartaginese. Se è vero, ciò di cui nessuno dubita, che il popolo Romano avrà superato nel valore militare tutti i popoli, si deve ammettere che Annibale fu tanto superiore agli altri generali in astuzia quanto il popolo Romano superò in forza tutti gli altri popoli. Infatti ogni volta che Annibale si scontrò con quello (cioè il popolo dei Romani) in Italia, sempre ne uscì vincitore. E se non fosse stato indebolito dalle ostilità dei suoi concittadini in patria, sembra che avrebbe potuto sconfiggere i Romani. Ma l'ostilità di molti vinse il valore di uno solo. In lui l'odio per i Romani, lasciatogli dal padre come un'eredità era perciò radicato, in tal modo che lasciò la vita prima di quello, tanto che non si fermò mai di combattere con l'animo contro i Romani, nonostante fosse stato cacciato dalla sua patria e avesse bisogno dei soccorsi degli altri. |
M.Cicero Popilium Laenatem,Picenae regionis,rogatu M.Caelii non minore cura quam eloquentia defendit,eumque,causa admodum dubia fluctuantem,salvum ad penates suos remisit,insignem orationem pro eo habendo. Hic Popilius postea rem turpem egit, memoratu dignam; is enim nec verbo a cicerone laesus,ultro M.Antonium rogavit ut ad illum proscriptum persequendum et iugulandum mitteretur: impetratisque detestabilis ministerii partibus,gaudio exsultans Caietam cucurrit et virum,privatim sibi venerandum,iugulum praebere iussit,ac protinus caput Romanae eloquentiae et clarissimam dexteram per summum otium amputavit,eaque sarcina,tamquam opimis spoliis,alacer in urbem reversus est.neque enim scelestum portanti onus succurrit, illud se caput ferre, quod pro capite eius quondam peroraverat. | Marco Cicerone, su preghiera di Marco Celio, tutelò Popilio Lenate, della zona del Piceno, con non minore rapidità che oratoria, e malgrado titubante per un motivo molto oscuro, lo ridiede salvo ai suoi Penati. Dopo ciò Popilio , nonostante non oltraggiato né dalle azioni né dalle parole da Cicerone, domandò senza alcuna motivazione a Marco Antonio di essere rinviato a rincorrere e ad assassinare quello che era stato esiliato: e il compito del biasimevole ufficio, gioendo con allegria si diresse a Gaeta e comandò all'uomo, non dico con che decoro, che avrebbe dovuto celebrare in privato, di donargli la gola, e subito tagliò la testa dell'oratoria e pace romana e la celeberrima mano destra con molta e limpida calma, e con quel peso, come con un ricco tesoro, si rivolse velocemente in città. E difatti, reggendo l'orribile peso, non gli servì pensare che stava trascinando quel capo che un giorno aveva parlato in sua difesa. Inadatto scritto per giudicare codesta brutalità, dato che non vi è un altro Cicerone che possa dolersi abbastanza dignitosamente questa disgrazia di Cicerone. |
Clarissima exempla insignissimae humanitatis et veri amoris erga suos dominos non raro servi ostenderunt.In bello Punico secundo,cum romani Grumentum,Lucaniae urbem,acrius obsiderent,plurimi servi statim ad hostes velocius fugerunt,et paulo post urbs cecidit atque milites romani eam ferro ignique vastaverunt.Tum servi qui celeriter fugerant,quia viae sibi notissimae erant,in eam domum,apud quam servierant,advolaverunt.Ibi suam bonam dominam vivam facile invenerunt atque eam ligaverunt et secum audacius pertraxerunt.Tum romani milites,qui in urbe crudeliter irruppeant,quaesiverunt:"Quo mulieres adducitis?"Quibus strenui servi responderunt"saevissima nostra domina est,quae mox magnae perfidiae poenam solvet".Deinde eam ex urbe evexerunt et maxima cura celaverunt;ita a certo interitu dulcissimam dominam servaverunt.At servi fidelitatis tantae praemium acceperunt:nam grata domina eos manumisit atque iis magnam ditissimi patrimonii partem donavit. | Non di rado i servi manifestarono illustre prove di eccellente umanità e affetto verso i loro padroni. Nella seconda guerra punica Grumento, aspramente, accerchiò i romani nella città della Lucania, subito molti schiavi scapparono più rapidamente dai nemici, e in seguito la città cadde e i soldati romani la distrussero con fuoco e ferro . Quindi i servi che erano scappati rapidamente, poichè le vie erano da loro molto conosciute, si nascosero in quella dimora nella quale avevano lavorato. Qua incontrarono senza difficoltà la propria padrona legata e viva ,la condussero valorosamente con loro. Dunque i soldati romani che avventarono brutalmente in città, domandarono: dove conducete quelle donne? A questi gli schiavi eroici risposero: è la nostra padrona assai atroce, che salderà con la condanna la sua colpa maligna. Dopo la trascinarono via dalla città e la rintanarono con massima attenzione, così salvarono la affettuosissima padrona da morte certa. Però i servi guadagnarono un premio per la tanta lealtà: infatti la grande signora li liberò e gli diede una grande porzione del ricchissimo patrimonio. |
Post proelium apud Pharsalum Cato cum reliquis Pompeianis in Africam recesserat, quoniam adhuc sperabat libertatem se servaturum esse. At cum eius acies profligatae sunt Thapsi anno quadragesimo sexto ante Christum natum, sensit se in victoris potestatem statim venturum esse. Tum a vita excedere statuit. Frusta amici eum incitaverunt ut Caesari se submitteret: nam dicebant posthac omnes honorifice tractaturos esse Catonem. At ille nulla ratione a proposito aversus est.Bis Phaedonem legit, in quo Plato Socratem de animi immortalitate disserentem inducit.Supremo tempore cum fidissimis amicis cenavit atque cum iisdem sermones habuit. Inde servus quidam gladium portavit quo Cato pectus sibi transfixit. | Dopo la battaglia a Farsalo Catone con i rimanenti Pompeiani si era ritirato in Africa, poichè sperava che lì avrebbe preservato la libertà. ma quando le sue schiere furono sconfitte a Tapso nel 46 a.C., comprese che subito lui sarebbe andato nel dominio del trionfatore. Così decise di morire. Invano i compagni lo invitarono a sottomettersi a Cesare: difatti affermavano che nell'avvenire tutti avrebbero trattato in modo onorevole Catone. Però quello non fu distolto per nessun motivo dal suo proposito. Lesse due volte il Fedone nel quale Platone racconta che Socrate narra dell'immortalità dell'anima. Nell'ultimo momento banchettò con i compagni ed ebbe con quelli un dialogo. Dopo uno schiavo portò una spada con la quale Catone si trafisse il petto. |
Ipse eorum opinionibus accedo, qui Germaniae populos nullis aliis aliarum nationum conubiis infectos propriam et sinceram et tantum sui similem gentem exstitisse arbitrantur. Unde habitus quoque corporum, tamquam in tanto hominum numero, idem omnibus: truces et caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum valida: laboris atque operum non eadem patientia, minimeque sitim aestumque tolerare, frigora atque inediam caelo solove adsueverunt. | Personalmente aderisco con le opinioni di quelli che credono che i popoli della Germania non siano infetti da rapporti con persone di altra stirpe e che si siano conservati una etnia propria, autonoma, con caratteristiche proprie. Per ciò pure il carattere fisico,nonostante talmente cospicua sia la popolazione, è simile in ognuno: occhi azzurri e fieri, chiome rosse, fisico enorme, adatto soltanto all'offensiva. Non allo stesso modo è la resistenza alla fatica e al lavoro; non tollerano la sete e il caldo, però sopportano il freddo e la fame grazie clima e alla povertà del suolo. |
Post regem Romulum, Numa Pompilius rex creatus est, qui bella quidem non gessit, sed multum Romae civitati profuit. Ille enim, cum leges moresque constituisset, annum descripsit in decem menses et infinita Romae sacra ac templa aedificavit. Morbo decessit quadragesimo et tertio imperii anno. Ei successit Tullus Hostilius, qui bella reparavit et copias ingentes paravit ut Albanos vinceret, qui ab urbe Roma duodecimo miliario absunt; idem Veintes et Fidenates bello superavit, urbemque Romama ampliavit, postquam ei Caelium montem adiecerat.Idem Tullus, cum triginta et duos annos regnavisset, fulmine ictus est et cum domo sua arsit. Post hunc, Ancus Marcius, Numae ex filia nepos, suscepit imperium. Cum is contra Latinos dimicavisset, Aventinum montem civitati adiecit et Ianiculum, apud ostium Tiberis civitatem supra mare sexto decimo miliario ab urbe Roma condere optabat, at vicesimo et quarto anno imperii morbo decessit. | Dopo il re Romolo, venne dichiarato re Numa Pompilio, che in realtà non fece nemmeno le guerre, però fu molto utile allo stato di Roma. Quello infatti, avendo stabilito le leggi e le tradizioni, divise l'anno in dieci mesi e edificò a Roma numerosi santuari e templi. Morì per una malattia nel quarantatreesimo anno dell'impero.Tullo Ostilio gli succedette, il quale recuperò le guerre e organizzò molte truppe per sconfiggere gli Albani, che distano dodici miglia dalla città Roma; il medesimo sovrano primeggiò in guerra contro i Veienti e i Fidenati e allargò la città Roma, dopo che aveva aggiunto il monte Celio. Il medesimo Tullo, avendo governato per trentadue anni, fu colpito da un fulmine e bruciò con lasua casa. Dopo di lui prese il potere Anco Marzio, nipote di Numa Pompilio da parte di una figlia. Essendosi scontrato con i Latini,aggiunse alla città il colle Aventino e il Gianicolo; aveva intenzione di edificare una città sul mare presso la foce del Tevere a sedici miglia dalla città Roma, però nel ventiquattresimo anno di regno perì a causa di una malattia. |
Hac oratione ab Diviciaco habita omnes qui aderant magno fletu auxilium a Caesare petere coeperunt. Animadvertit Caesar unos ex omnibus Sequanos nihil earum rerum facere quas ceteri facerent sed tristes capite demisso terram intueri. Eius rei quae causa esset miratus ex ipsis quaesiit. Nihil Sequani respondere, sed in eadem tristitia taciti permanere. Cum ab his saepius quaereret neque ullam omnino vocem exprimere posset, idem Diviacus Haeduus respondit: hoc esse miseriorem et graviorem fortunam Sequanorum quam reliquorum, quod soli ne in occulto quidem queri neque auxilium implorare auderent absentisque Ariovisti crudelitatem, velut si coram adesset, horrerent, propterea quod reliquis tamen fugae facultas daretur, Sequanis vero, qui intra fines suos Ariovistum recepissent, quorum oppida omnia in potestate eius essent, omnes cruciatus essent perferendi. | Tenuto questo discorso da parte di Diviziaco, tutti coloro che erano presenti iniziarono a chiedere aiuto a Cesare con un gran pianto. Cesare si accorge che i soli Sequani tra tutti non facevano nessuna di quelle cose che facevano gli altri ma tristi, a capo chino, guardavano a terra. Meravigliato chiese egli stesso quale fosse il motivo di quell’atteggiamento. I Sequani non risposero nulla ma silenziosi rimasero nella medesima tristezza. Poiché più volte chiese loro e non riuscendo a cavare nulla da loro, lo stesso Diviziaco eduo rispose: “ Per questo motivo la sorte dei Sequani è più misera e triste degli altri, perché essi soli neppure si lamentarono di nascosto né osarono implorare aiuto e temerono la crudeltà dell’assente Ariovisto come se fosse presente, anche se ai restati tuttavia fu lasciata la possibilità di fuga, in verità i Sequani avevano ricevuto nei loro territori Ariovisto, essendo tutte le fortificazioni in suo possesso, dovevano sopportare tutte le torture. |
Prodigia multa nuntiata sunt: Lanuvii in aede Iunonis corvos nidum fecisse; in Apulia palmam viridem arsisse; Mantuae visum esse stagnum cruentum effusum ex mincio amni; Calibus, in parva Campaniae urbe, et Romae in foro boario sanguine pluisse; in vvico Insteio fontem sub terra fluxisse tanta vi aquarum ut seriae doliaque, quae eo loco erant, provoluta sint; tacta esse fulmiine in Capitolio atrium publicum, in Sabinis publicam viam et portam, qua in urbem Gabios aditus erat.Etiam alia multis locis miracula vulgata erant: hastam Martis in Marrucinis clamasse; ex muliere Spoleti factum esse virum; Hadriae aram in caelo speciesque hominum circum eam cum candida vveste visas esse. Romae quoque, in ipsa urbe, visum esse examen apium in foro, quod mirabile est quia rarissimum. Haec prodigia cum per ora omnium pervulgarentur, ex aruspicum responso supplicatio decem dierum in omnibus fanis indicta est. | Furono annunciati molti prodigi: a Lanuvio alcuni corvi avevano fatto il nido nel tempio di Giunone; in Apulia una palma giovane aveva preso fuoco; a Mantova fu visto un lago di colore rosso sangue sgorgare dal fiume Mincio; a Cale, una piccola città della Campania, e a Roma nel mercato dei buoi era piovuto sangue; nel vico Insteio era sgorgata da sottoterra una fonte con così tanta forza delle sue acque che delle botti e delle giare, che si trovavano in quel luogo, sarebbero volate via; fu colpito da un fulmine un atrio pubblico nel Campidoglio; tra i Labiri una via pubblica e la via d’accesso alla città di Gabi. Furono resi noti anche altri prodigi in molti luoghi: a Preneste l’asta di Marte si mosse in avanti spontaneamente; in una campagna un bue parlò; tra i Marrucini un bambino aveva gridato nel grembo materno; a Spoleto una da donna divenne uomo; ad Andria fu visto in cielo un altare e delle figure di uomini con delle vesti bianche intorno a quello; anche nella stessa città di Roma fu visto uno sciame d’api nel foro, il che è un fatto eccezionale perché rarissimo. Quando questi prodigi furono divulgati per bocca di tutti, dal responso degli aruspici fu indetta in ogni tempio una preghiera di dieci giorni. |
Cum leo annis gravaretur neque cibum vi comparare sibi posset, dolum composuit; cum languorem simulavisset, ceterae belvae in eius speluncam salutatum intrabant et ab illo statim vorabantur. Cum vulpes quoque ad leonem venisset, ante speluncam stetit et frustra ab eo sollicitata est ut intraret. interrogata cur propius non accedisset, respondit: "intravissem, nisi plurima animalium intrantium vestigia vidissem, nullum autem evadentis". Docet fabella stultos facile dolis allectari, callidos autem frustra tentari. | Poiché un leone era gravato dagli anni e non poteva procurarsi del cibo, ideò un imbroglio: avendo finto un malessere, le altre bestie accedevano nella sua caverna per salutarlo e immediatamente erano sbranate da quello. Una volta essendo pure arrivata da un leone una volpe, stette dinanzi alla caverna e fu invano sollecitata da lui ad entrare. Chiesto il perché non entrasse più vicina, disse: entrerei se non avessi notato molti cadaveri di animali che sono entrati, però senza uscire. La favola insegna che gli stolti facilmente sono indotti in imbroglio, al contrario gli astuti sono allettati invano. |
Alexandro, Philippi filio, magna audacia ac rei militaris peritia fuerunt: iuvenis enim cum patre contra Graecos admirabili cum virtute pugnaverat hostiumque manus debellaverat. Post patris mortem Graecarum civitatum legatos Corinthum convocavit bellumque contra Persas indixit. Persarum rex tunc Dareus erat immensumque imperium regebat, sed otium mollitiesque valde militum vires enervaverant. Alexander igitur Macedoniae regimen Antipatro committit et primis veris diebus cum parvo sed strenuo exercitu in Asiam velificat.Contra Dareum multa gessit proelia semperque victor fuit. In omnibus pugnis clara fortitudinis et virtutis exempla Graecis atque hostibus praebuit magnaque patravit. Omnia castra ac frequentia oppida expugnavit et postremo Babyloniam, Asiae caput, occupavit. Interim Dareus, dolosi principis fraude, vitam amisit omnesque Asiae urbes in Alexandri potestatem venerunt | Alessandro, figlio di Filippo, ebbe grande audacia e perizia nelle cose militari: da adolescente difatti aveva lottato con il padre contro i Greci con straordinario valore e aveva sterminato schiere di avversari. Dopo il decesso del padre chiamò a Corinto i legati delle città Greche e dichiarò la guerra contro i Persiani. Al tempo il re dei Persiani era Dario e comandava un enorme impero, però l'ozio e le comodità avevano infiacchito molto la potenza dei soldati. Quindi Alessandro affida il regno di Macedonia ad Antipatro e nei primi giorni di primavera, con un piccolo ma forte esercito, si dirige in Asia. Contro Dario svolse parecchi scontri e fu sempre trionfatore. In qualsiasi scontro offrì modelli di evidente valore e potenza ai Greci e agli avversari e portò a termine grandi gesta. Espugnò ogni accampamento ed un enorme numero di città e in conclusione dominò la capitale dell'Asia, Babilonia. Nel frattempo Dario, a causa dell'imbroglio di un principe traditore, morì e ogni città dell'Asia passò sotto il potere di Alessandro. |
In principatu commutando civium nil praeter domini nomen mutant pauperes. Id esse verum, parva haec fabella indicat. Asellum in prato timidus pascebat senex. Is hostium clamore subito territus suadebat asino fugere, ne possent capi. At ille lentus 'Quaeso, num binas mihi clitellas impositurum victorem putas?' Senex negavit. 'Ergo, quid refert mea cui serviam, clitellas dum portem unicas?' | Quando nei governi cambiano le forme di potere, per miseri non muta niente, tranne il nome del padrone. E codesta corta favola attesta che questo è vero. Un anziano, che aveva timore di tutto, faceva camminare in un prato il suo asinello. Mentredi colpo venne impaurito dal rumore dei nemici. Cosí iniziò a urlare l’asino a scappare: ‘Se no ci catturano’, gli affermava.Però l’asino,proseguendo sereno a camminare: ‘Dimmi’, rispose, ‘pensi forse che il vincitore mi metterà due carichi?’. L'anziano negò. ‘Dunque che mi interessa chi servirò, porterò sempre un solo carico?’. |
Darius in fuga cum aquam turbidam et cadaveribus inquinatam bibisset, negavit umquam se bibisse iucundius. Numquam videlicet sitiens biberat. Nec esuriens Ptolemaeus ederat; cum in longo itinere ei cibum suppeditari iussisset et in casa panis cibarius datus esset, nihil fuit illo pane iucundius. Socratem tradunt, cum usque ad vesperum contentius ambularet quaesitumque esset ex eo, qua re id faceret, respondisse se, quo melius cenaret, deambulare.Denique cum tyrannus Syracusanorum Dionysius apud Lacedaemonois in philitiis cenavisset, negavit se iure illo nigro, quod cenae caput erat, delectatum esse. Tum is , qui illud coxerat: " Minime mirum ; condimenta enim defuerunt . " Quae tandem?" ille dixit. " Labor in venatu, sudor, cursus ad Eurotam , fames, sitis; talibus enim rebus Lacedaemoniorum epulae condiuntur. | Dario avendo bevuto l'acqua torbida e inquinata dai cadaveri in fuga, negò che mai lui bevve con piacere. Giammai aveva bevuto assetato evidentemente. Né Tolomeo aveva mangiato da affamato; avendo comandato che a lui fosse portato il cibo durante il lungo cammino e in una casa essendo stato dato da mangiare del pane comune, niente fosse più piacevole di quel pane. Si tramanda che Socrate, passeggiando più soddisfacentemente fino alla sera ed essendo domandato a lui per quale motivo facesse questo, lui rispose che lui camminava perchè cenasse meglio. E poi il tiranno dei Siracusani Dionisio avendo cenato presso i Lacedemoni nei pasti comuni, negò che lui giustamente fosse compiaciuto da quel brodo nero, che era elemento principale della gena della cena. Allora lui, che lo aveva cucinato:" Niente di sorprendente, sono mancati tutti i condimenti." "E che cosa dunque?" quello disse. "La fatica della caccia, il sudore, la corsa sul fiume Erota, la fame, la sete; infatti con tali cose sono conditi i pranzi dei Lacedemoni". |
Magna Europae paeninsula est Italia, terra laeta et fecunda. In Italia amplae silvae, amenae orae, purae aquae sunt; Italiae incolis frigidae silvarum umbrae et limpidae aquarum undae gratae sunt. Campania, Aemilia, Apulia, Etruria in Italia sunt. Multae in Campania Graecae coloniae sunt: Cumae Graeca clara colonia sunt. In Aemilia, autem, Romae coloniae sunt: Placentia et Mutina Romae coloniae sunt. Clarae sunt Italiae insulae: Sicilia, magna insula, Sardinia, antiqua terra, Corsica et Melita laete insulae Italiae sunt.Italiae terra incolis et advenis amoena et pulchra est. | L’Italia è una grande penisola dell’Europa, terra felice e fertile. In Italia ci sono grandi boschi, coste amene, acque pure; agli abitanti dell’Italia sono gradite le ombre dei boschi freddi e le onde delle acque limpide. La Campania, l’Emilia, l’Apulia, l’Etruria sono in Italia. In Campania ci sono molte colonie greche. Cuma è una famosa colonia greca. In Emilia, poi, ci sono colonie di Roma: Piacenza e Modena sono colonie di Roma. Le isole dell’Italia sono famose: la Sicilia, grande isola, la Sardegna, terra antica, la Corsica e Malta sono floride isole dell’Italia. La terra dell’Italia è amena e bella per gli abitanti e per gli stranieri. |
Pluto, Iovis frater, Inferorum deus erat et in Averno vivebat. Plutonis uxor Proserpina erat, Iovis Cererisque filia: a deo quondam in Sicilia in prato apud urbem Hennam rapta, in Averno cum Plutone vivebat atque regina Inferorum umbrarumque erat. In Averno Tartarus erat, ubi mali improbique homines post mortem poenam suorum scelerum pendebant, in perpetuum a Furiis excruciati; sed etiam Elysii campi erant, ubi boni probique homines perpetuo vitam beatam degebant.Umbrarum iudices erant Minos, Rhaadamanthus et Aeacus. In Avernum umbrae a Mercurio ductae veniebant; nauta Charon autem umbras trans Stygem et Acherontem, Averni fluminia, cumba transvehebat. Ibi, aquam fluminis Lethes bibentes, animae terrenae vitae oblivionem accipiebant. | Plutone, fratello di Giove, era dio degi Inferi e viveva nell'Averno. La moglie di Plutone era Proserpina, figlia di Giove e Cerere: rapita un tempo dal dio in un prato in Sicilia vicino alla città di Enna, viveva nell'Averno con Plutone ed era la regina degli inferi e delle ombre. Nell'Averno c'era il Tartaro, dove gli uomini malvagi e scellerati dopo la morte pagavano la pena dei loro delitti, per sempre tormentati dalle Furie; ma c'erano anche i campi elisi, dove gli uomini buoni e onesti trascorrevano in eterno una vita beata. I giudici delle ombre erano Minosse, Radamanto e Eaco. Le anime venivano condotte nell'averno da Mercurio; il nocchiero Caronte invece trasportava le anime con una barchetta oltre lo Stige e l'Acheronte, fiumi dell'Averno. |
saepe homines,aegri morbo gravati,cum febri iactantur, aquam gelidam bibentes,primo relevantur;deinde autem multo gravius vehementiusque adflictantur. Tali modo haec coniuratio, quae est in repubblica, revelata Catilina poena, vehementius ingravescet, nisi interfecti erunt alii socii, qui cum ipso catilina hoc scelus moliti sunt. Quare secedant improbi, secernant se a bonis, in unum locum se congregent! Denique muro (id quod saepe iam dixi!) a nobis secernantur.Desinant aliquando domi suae consuli insidiari,circumstare tribunal praetoris urbani, malleolos et faces comparare et urbem inflammare. In fronte cuiuscumque scriptum sit quid de repubblica sentiam. Patres conscripti, hoc vobis polliceor: tanta in nobis consulibus erit diligentia, tanta in vobis auctoritas, tanta in civibus Romanis virtus ut, Catilina profecto, totam contra rem pubblicam coniurationem inlustratam atque oppressam videatis. | Spesso gli uomini, ammalati gravemente, sono tormentati dalla febbre, bevendo acqua fredda, dapprima si riprendono, in seguito però si abbattono molto più gravemente e in modo più forte. Allo stesso modo questa congiura, che si trova nella repubblica, attenuata dalla pena di Catilina, sarebbe cresciuta in modo più forte se non fossero stati uccisi gli altri alleati, che misero appunto con Catilina questo delitto. Perciò se ne vadano i malvagi, si separino dagli onesti, si riuniscano in un solo luogo! In seguito siano separati da noi con un muro ( come già io ho spesso detto!). La smettano una buona volta di spiare la casa del console, di circondare la tribuna del pretore urbano, di preparare proiettili incendiari e torce ed infiammare la città. In faccia del quale è scritto ciò che pensa della repubblica. Senatori, vi prometto questo: sarà così tanto lo scrupolo nei nostri consoli, così tanta l’autorità in voi, così tanto il valore nei cittadini romani che, scacciato Catilina, tutta la congiura contro la repubblica sembrerà illuminata e vinta. |
Erat oppidum Alesia in colle summo, admodum edito loco, nec nisi obsidione expugnari poterat. Cuius collis radices duo duabus ex partibus flumina subluebant. Ante id oppidum planities circiter milia passuum III in longitudinem patebat, reliquis ex omnibus partibus colles pari altitudine oppidum cingebant. Gallorum copiae omnem locum compleverant sub oppidi muro in parte collis quae ad orientem solem spectabat, fossamque et maceriam in altitudinem VI pedum praeduxerant.Eius munitionis quae ab Romanis instituebatur circuitus XI milia passuum tenebat. Castra opportunis locis erant ibique castella XXIII facta erant; quibus in castellis interdiu stationes ponebantur; illa noctu excubitoribus ac firmis praesidiis tenebantur. | La città di Alesia si trovava su un alto colle, un luogo piuttosto elevato, e non si poteva espugnare se non con un assedio. Ai piedi di quel colle scorrevano i fiumi da due parti. Davanti a questa città si estendeva una pianura di circa 3000 passi in longitudine; da tutte le altre parti si estendevano intorno colli di uguale altezza. Le truppe dei Galli avevano occupato tutta la zona sotto il muro della città nella parte del colle che volgeva verso oriente, avevano costruito un fossato e una muraglia di 6 piedi in altezza. Il perimetro di quell'opera di fortificazione, che era costruita a causa dei Romani, occupava 11 miglia. Gli accampamenti si trovava in zone vantaggiose e là erano stati edificati 23 avamposti; in quegli avamposti durante il giorno erano collocate le sentinelle; di notte erano difesi da guardie e da sicure guarnigioni. |
Herotodus, Graecus scriptor, iure scribit: “Aegyptus Nili donum est”. Nam Nilus per Africae deserta influit et cum liquidis aquis rubras arenas multasque herbas volvit. Ita Nili aquae non semper liquidae et ceruleae sunt, sed luteae et limosae. Quotannis fluvius e ripis ruit et totum campum diu operit. Tum incolae ad loca altiora confugiunt et agricolarum vici, sicut insulae, ex aquis emergunt. Nili aquae agris fecundum limum donant et cum fluvius decrescit agricolae terra non arant, tamen frumentum serunt, quod copiosum crescit et praecipuum alimentum agricolarum atque incolarum Aegypti est.Quare Nilus sicut deus iure ab Aegyptiis colitur. | Erotodo, scrittore greco, scrive a buon diritto: “L'Egitto è un dono del Nilo”. Infatti il Nilo scorre attraverso i deserti dell'Africa e con limpide acque trascina sabbie rosse e molte erbe. Così le acque del Nilo non sono sempre limpide e azzurre, ma giallastre e fangose. Ogni anno il fiume straripa e occupa tutto il campo a lungo. Allora gli abitanti si rifugiano nei luoghi più elevati e i poderi degli agricoltori, come isole, emergono dall'acqua. Le acque del Nilo danno ai campi il fecondo limo e quando il fiume s ritira gli agricoltori non arano il terreno, ma seminano il frumento, che cresce abbondante ed è l'alimento principale dei contadini e degli abitanti dell'Egitto. Per questo il Nilo è venerato dagli Egiziani come un dio. |
Tito Domitianus frater successit, Neroni aut Caligulae aut Tiberio similior quam patri vel fratri suo. Primis tamen annis moderatus et prudens in imperio fuit; sed mox crudelissimus ac dissolutissimus factus est: nam vitiis libidinis, iracundie, crudelitatis, avaritiae se contaminavit, quare in se odium civium militumque excitavit. Interfecit nobilissimos e senatu, ne voluntati suae obstarent. Expeditiones quattuor duxit, unam adversus Sarmatas, alteram adversus Cattos, duas adversus Dacos.De Dacis Cattisque duplicem triumphum egit, de Sarmatis solum laudem habuit. Mortem occubuit anno imperii quinto decimo ob suorum coniurationem in Palatio et cadaver eius cum ingenti dedecore per vespillones exportatum est domo et ignobilissime sepultum. | Tito successe il fratello Domiziano, simile più a Nerone a Caligola o a Tiberio che a suo padre e a suo fratelo. Per i primi anni nel comando fu moderato e prudente ma presto divenne molto crudele e molto sregolato; infatti fu macchiato dei vizi della libidine, iracondia, crudeltà, e avarizia e per questo attirò verso di sè l'odio dei cittadini e dei soldati. Uccise i più nobili senatori, che si opposero alla sua volontà. Condusse quattro spedizioni una contro i Sarmati l'altra contro i Catti e due contro i Daci. Celebrò il trionfo sui Daci e i Catti, per i Sarmati ebbe soltanto la lode. Morì nel quindicesimo anno d'impero dalla congiura dei suoi sul colle Palatino e con grande vergogna il suo cadavere fu trasportato in patria dai becchini e sepolto in maniera ignobile. |
Cloelia virgo,una ex obsidibus cum castra etruscorum forte haud procul ripa Tiberis essent,frustrata custodes, dux agminis virginum inter tela hostium Tiberim tranavit et obsides sospites omnes ad propinquos restituit. Quod ubi regi Porsennae notum fuit,primo,incensus ira ,oratores romama misit qui cloeliam obsidem deposcerent ,deinde in admirationem versus,promisit ,si riddidissent ,intactam inviolatamquead suos se remissurum .Utrimque consitit fides: et Romani pigus pacis ex foedere resisterunt et apud regem etruscorum nn tuta solum sed honorata etiam virtus fuit :rex virginem laudavit et ei donavit partem obsidum.Pace redintegrata Romani Cloeliae virtutem statua equestri honoraverunt :in Sacra via posita est virgo insidens equo. | Clelia, quando era ragazza, insieme agli assediati, poiché per caso l’accampamento degli Etruschi si trovava non lontano delle sponde del Tevere, elusa la vigilanza delle sentinelle, come guida di una colonna di donne superò il Tevere tra i giavellotti dei nemici e restituì tutti gli ostaggi sani e salvi ai parenti. E quando ciò fu reso noto al re Porsenna, egli dapprima, ardente d’ira, inviò degli ambasciatori a Roma, affinché chiedessero la consegna dell’ostaggio Clelia, in seguito mossa verso l’ammirazione, promise che, se fosse ritornata, l’avrebbe fatta tornare dai suoi parenti intatta ed illesa. Rimase da entrambe le parti la parola data e i romani restituirono la garanzia della pace del patto e presso il re degli Etruschi non solo l’onestà fu protetta ma anche onorata: il re lodò la fanciulla e gli donò una parte degli ostaggi. Dopo che la pace fu rinnovata i Romani onorarono il valore di Clelia con una statua equestre: una ragazza che sedeva su un cavallo fu posta sulla via Sacra. |
Postquam Archidamus, Lacedaemoniorum rex, in Atticam cum magno exercitu irruit, plerique civium agrestium in urbem confugerunt, atque eodem tempore pestilentia gravis Piraei portum occupavit et in cives ingruit, qui intra moenia Athenarum erant congregati. Brevi tempore in cives omnium ordinum morbus et contagio saevit. Nemo non mortifero morbo afficiebatur: nec divites magis quam pauperes, nec viros magis quam feminas pestis iactavit. Tota urbe luctus erat et ingens fletus et gemitus.In animalia quoque incidit morbus: viae ac porticus, ubi homines et animalia iacebant, spectaculum praebebant horribilem. Preces votaque irrita fuerunt, neque medicorum scientia ullum dolorum levamen afferebat. Tanta calamitas populum adeo exacerbavit, ut Athenienses Periclem, qui tunc Argolidis litora cum classe populabatur, Athenas revocaverint. | opo che Archidamo, re degli Spartani, penetrò nell’Attica con un grande esercito, la maggior parte degli abitanti della campagna si rifugiarono nella città, e allo stesso tempo una grave pestilenza invase il porto del Pireo e dilagò tra i cittadini che si erano radunati entro le mura di Atene. In breve tempo il morbo e il contagio (oppure endiadi: il morbo contagioso) si accanirono sui cittadini di tutte le classi sociali. Tutti erano indeboliti dal morbo mortale: e la peste non colpì più i ricchi dei poveri, più gli uomini che le donne. Per tutta la città c’era lutto, sia in (in forma di) grosso pianto che gemiti. Il morbo colpì ogni essere vivente: le strade e i portici, dove uomini e animali giacevano, offrivano uno spettacolo orribile. Le preghiere e le offerte furono inutili, e la scienza dei medici non recava nessun sollievo dal dolore. La calamità esasperò il popolo a tal punto che gli Ateniesi richiamarono Pericle, che allora stava saccheggiando le coste degli Argivi con una flotta, ad Atene. |
Pastores quidam, ut amici carissimi nuptias celebrarent, complures oves ex suis gregibus mactaverant. Cum convivarum magnus numerus epulis adesset atque laetitiae increbresceret, lupus e proxima silva egressus ad domus ianuam accessit ad videndum quid eveniret. Cum tot ovium ossa, quae passim iacebant, vidit, pastore his verbis vituperavit:"Hoc iniustum est: nemo enim impedit quominus vos multas oves comedatis; si autem ego unam ovem sumo, vos statim cum fustibus ac canibus totam silvam pervestigatis ad me capiendum atque interficiendum".Tunc unus ex pastoribus respondit:" Dubium non est quin hoc iustum sit, quia nos nostras oves comedimus, non alienas!" | Certi pastori per celebrare le nozze di un carissimo amico, avevano massacrato parecchie pecore dai propri greggi. Avendo pranzato un enorme numero di invitati e aumentata la letizia, un lupo accesso in casa dalla selva confinante aprì la porta per osservare che cosa trovava. Mentre notò tutte le ossa delle pecore, che giacevano accanto, oltraggiò con codesti vocaboli i pastori: codesto è scorretto, nessuno difatti vi vieta di divorare parecchie pecore se però io ne mangio una, voi immediatamente controllate tutto il bosco con cani e pali per catturarmi e trafiggermi. Così uno fra i pastori disse: "non c’è dubbio che codesto non sia corretto, poiché noi divoriamo le nostre pecore, non quelle di altri. |
Testo latino assente. | Sira, dopo aver narrato le cose fatte di Marco, vuole andare via, ma Quinto dice:”Non mi lasciare!Voglio che tu rimanga qui. Narrami un'altra storia!”Sira:”Che storia vuoi che ti racconti?La storia del lupo e dell’agnello che per caso andarono allo stesso fiume?O la storia del ragazzo che desiderò governare i cavalli che trasportano il carro del Sole per il cielo?”Mentre Quinto tace, Sira continua:”O desideri ascoltare la storia di Achille, comandante dei Greci, che uccise Ettore, comandante dei Troiani, e trasportò il suo corpo morto dietro il carro intorno alle mura della città di Troia?O la storia di Romolo, che edificò le prime mura romane...?Quinto:”...e uccise il fratello Remo perché derideva le mura basse!Ho ascoltato spesso tutte queste storie. Ma ora non desidero ascoltare storie né di uomini né di bestie. Raccontami una storia di qualche mostro feroce, che ha testa di bestia e corpo di uomo e che divora gli uomini vivi!Desidero ascoltare una tale storia”Sira:”Ma ti terrorizzerà un tale mostro, Quinto”Quinto:”Non pensare che io sia un ragazzo timido!Non si addice il timore dei mostri ad un ragazzo romano!”“Ti narrerò la storia di Teseo e il Minotauro” dice Sira e così inizia a raccontare:”Una volta nell’isola di Creta viveva un mostro terribile, dal nome Minotauro, che aveva testa di toro e corpo di uomo. Il Minotauro abitava in un gran labirinto.”Quinto:”Che cosa è un labirinto?”Sira:”E’ un grande edificio che è diviso in più parti da frequenti mura. Nessuno che entra una volta in un tal edificio può di nuovo uscire da lì, sebbene la porta sia aperta. Quel labirinto nel quale il Minotauro era tenuto rinchiuso, era stato costruito da Dedalo, un uomo Ateniese, che già prima di venire dalla città di Atene a Creta, aveva fatto molte mirabili cose. Il Minotauro non mangiava niente tranne gli uomini vivi. E così ogni anno da Atene a Creta erano mandati molti giovani e vergini, che tutti erano divorati da quel ferocissimo mostro nel labirinto. La nave con la quale gli Ateniesi erano trasportati là portava le vele nere, infatti da quel colore si indica la morte.”Quinto:”Per quale motivo gli Ateniesi erano mandati ad una morte certa?”Sira:”Il re Minosse, che allora regnava a Creta, pochi anni prima aveva espugnato la città di Atene con la guerra. Dopo la vittoria della città Minosse, desideroso di oro e sangue, aveva chiesto non solo molto denaro, ma anche uomini vivi dagli Ateniesi. Infatti il re voleva male agli Ateniesi, poiché suo figlio era stato ucciso poco prima da quelli. In quel periodo Teseo, un uomo amante della patria e desideroso di gloria, viveva ad Atene e quello poco fa era venuto ad Atene e non era stato là quando la città era stata espugnata dal re Minosse. Teseo, che già aveva ucciso il padre del Minotauro, un toro bianco, cercando nuova gloria, decise di uccidere anche il Minotauro stesso. E così insieme con altri Ateniesi salì sulla nave ornata di vele nere e partì per Creta. Là andò subito dal re Minosse, che comandò ai soldati di portarlo nel labirinto. Ma Minosse aveva una giovane figlia, a cui era nome Arianna, e quella per prima vide Teseo, iniziò ad amarlo e decise di salvarlo. Dunque Arianna, prima che Teseo entrasse nel labirinto, si avvicinò a lui e così iniziò a parlare:”Contro il Minotauro non posso portarti aiuto...” Teseo disse:”Gli dei mi porteranno aiuto contro quello. Oggi certamente ucciderò il Minotauro e salverò i miei concittadini da quel terribile mostro. Porto una buona spada. Sono pronto al combattimento.” Allora Arianna:”Non dubito di questo, ma poi in che modo troverai l’uscita del labirinto?Nessuno finora trovò da sé la via che porta fuori dal labirinto. Ma io ti porterò aiuto: ecco il filo fatto da Dedalo che ti mostrerà la via. Con l’aiuto di questo filo ritornerai da quel luogo a me.” Dette queste cose, Arianna diede il lungo filo a Teseo; e quello dice:”Aspettami qui alla porta!Non temere!Io non temo la morte. Vado senza timore della morte contro il nemico. Subito ritornerò qui, e non senza di te, Arianna, ritornerò in patria. Là ti condurrò con me e mai ti lascerò. Ti prometto questo.”Allora Teseo, dopo aver preso il filo di Arianna, entrò nel labirinto e senza indugio cercò in mezzo al labirinto l’aspettante Minotauro, che uccise con la spada dopo un breve combattimento. Ucciso il Minotauro, Teseo seguito il filo di Arianna trovò facilmente l’uscita del labirinto. Così Teseo per amore della patria salvò i suoi concittadini dal ferocissimo mostro.Queste sono le cose che sono raccontate sulla morte del Minotauro”Qui Quinto dice:”Continua a raccontare di Teseo e Arianna!Forse Quella ha Seguito Teseo?”Sira:”Teseo uscendo dal labirinto dice”Ho ucciso il Minotauro. Gioite, miei concittadini!Guardate la mia spada sanguinante!Seguitemi al porto!Lì la mia nave è pronta per navigare.” Allora dice guardando Arianna:”E tu mi segui!Vieni con me ad Atene!” Arianna, che non desiderava di più, dice:”Sono pronta per fuggire” e senza indugio sale la nave di Teseo. Teseo slega la nave e con la figlia del re naviga verso Naxus; Ma lì durante la notte in silenzio lasciò Arianna che dormiva e lui stesso partì da Naxus. Al mattino Arianna svegliata dal sonno cercò il fidanzato sulla spiaggia ma non lo trovò. La misera ragazza salì dal basso litorale su un alto scoglio, da dove guardando vide la nave di Teseo lontana nel mare. Allora, sebbene la sua voce non potesse essere sentita da nessuno, Arianna chiamò il suo fidanzato che fuggiva:”Teseo!Teseo!Ritorna da me!” e nessuna risposta le fu data eccetto la voce della stessa che gli scogli duri ridiedero. Poco dopo la nave sparì dalla sua vista e nessuna vela era distinguibile nel mare. Arianna dunque scese sulla spiaggia e correndo qua e là con molte lacrime si strappava i capelli e la veste, come sono soliti fare gli uomini che piangono – così era afflitta la tristissima giovane, che era stata lasciata sola dall’uomo, che amava più di ogni altro, fra le bestie dell’isola come un timido agnello fra lupi ferocissimi”Quinto:”Perché lasciò così la sua amica?”Sira:”Tali sono gli uomini, mio ragazzo. Promettono montagne d’oro alle donne, poi dimenticano le promesse e lasciano le donne senza soldi!Chi dimentica una promessa così facilmente tanto quanto l’uomo che ha amato una donna?Anche io una volta fui lasciata da un fidanzato ricco che mi aveva promesso molte cose. Ma non pensare che lo amassi per il desiderio del denaro, io lo amavo perché credevo fosse un uomo buono. Anche adesso sono afflitta per l’amore di quell’uomo.”Quinto:”Dimentica quell’uomo cattivo che ti ha lasciato tanto bruttamente!”Sira:”Non è facile dimenticare un amore antico, ma tu non comprendi questo, mio Quinto. Ritorno alla narrazione della storia, che quasi mi sono dimenticata, mentre parlo di altre cose.“Lasciata Arianna a Naxus, Teseo navigava verso la sua patria. Nel frattempo suo padre Egeo, re degli Ateniesi, guardava in mare da un alto scoglio. Poco dopo la nave del figlio venne alla sua vista, ma la nave tornando portava le stesse vele nere che portò andando: infatti Teseo dopo la morte del Minotauro aveva dimenticato di cambiare le vele!E così Egeo, pensando che quel colore significava la morte del figlio, senza indugio si gettò dallo scoglio in mare, che dal suo nome ancora oggi è chiamato Mare Egeo.Dopo la morte del re Egeo, suo figlio Teseo fu fatto re dagli Ateniesi e per molti anni regnò su Atene con grande gloria.”Con queste parole Sira finisce la narrazione. |
Capuanus quidam, qui maximas divitias mercaturis sibi paraverat, cupiebat se elegantem et perpolitum hominem praebere apud cives suos. Cum olim in urbem pervenisset philosophus quidam, cuius fama nobilissima erat, eum ad cenam apud se invitavit mercator. Opulentissimum convivium adparaverat, in quo famuli cibos delicatos et equisitos ministrabant et pretiosissima et magnificentissima suppellex in mensa posita erat. Cum iam convivae ebrii essent, dominus imperavit servo ut vinum, quod nobilissimis hospitibus servaverat, praeberet.Tunc servus parvam ampullam adportavit et vinum philosopho ministravit. Cui mercator:"Vinum huius ampullaevetustissimum est. Quomodo id iudicas?". "Optinum-inquit philosophus-atque exquisitum, sed pro aetate sua parvum. | Un Capuano, che si era procurato enormi ricchezze grazie ai commerci, bramava mostrarsi un uomo elegante e pulito presso i suoi concittadini. Allora una volta essendo arrivato in una città un filosofo, la quale fama era illustrissima, il commerciante lo invitò a cena da lui. Aveva allestito un sontuosissimo banchetto, dove gli schiavi offrivano cibi raffinati e gustosi e sul tavolo erano messi ornamenti molto preziosi e magnifici. Quando gli invitati erano già ubriachi, il padrone comandò allo schiavo di servire del vino che aveva tenuto per i più nobili invitati. Così lo schiavo portò una ampolla modesta e versò il vino al filosofo. A questo il mercante " Il vino di questa ampolla è di molto invecchiato, come lo giudichi?” “Ottimo", affermò il filosofo, " e squisito, ma piccolo per la sua età.” |
Fremant omnes licet, dicam quod sentio: bibliothecas me hercule omnium philosophorum unus mihi videtur XII tabularum libellus, si quis legum fontis et capita viderit, et auctoritatis pondere et utilitatis ubertate superare. Ac si nos, id quod maxime debet, nostra patria delectat, cuius rei tanta est vis ac tanta natura, ut Ithacam illam in asperrimis saxulis tamquam nidulum adfixam sapientissimus vir immortalitati anteponeret, quo amore tandem inflammati esse debemus in eius modi patriam, quae una in omnibus terris domus est virtutis, imperi, dignitatis? Cuius primum nobis mens, mos, disciplina nota esse debet, vel quia est patria parens omnium nostrum, vel quia tanta sapientia fuisse in iure constituendo putanda est quanta fuit in his tantis opibus imperi comparandis. | Fremano pure tutti quanto si vuole, io dirò ciò che penso: per ercole, un solo libello di dodici tavole mi sembra superi per peso di efficacia e per abbondanza di utilità, le biblioteche di tutti i grandi filosofi. E se ciò che si deve soprattutto, ci allieta la nostra patria,per cui tanto grande è la forza e tanto grande è l'indole che un uomo sapientissimo antepose all'immortalità quell'Itaca, impressa come un rifugio tra gravissimi piccoli scogli: dunque da quale amore dobbiamo essere infiammati in giusta misura per la patria, la quale è in tutto il mondo l'unica casa di virtù, potere e dignità? Di cui in primo luogo ci deve essere nota la sapienza, la moralità, la costituzione politica, sia perchè è la patria, genitrice di tutti noi, sia perchè si deve ritenere che ci fosse stata tanta saggezza nel costruire le leggi, quanta ce ne fu nell'allestire queste così grandi ricchezze dall'impero. |
Repulsus a Spartanis, Pyrrhus Argos petit: ibi, Antigonum in urbe clausum expugnare conaretur, inter confertissimos hostes violentissime dimicans, saxo de muris iacto occiditur. Caput eius Antigono refertur, qui, ut mitem se praeberet, filium eius, cum Epirotis sibi deditum, in patriam remisit, eique insepulti patris ossa tradidit, ut ea in patriam referret. Inter omnes auctores fama est nullum eius aetatis regem cum eo conferri posse. Nam raro, non inter reges tantum, verum etiam inter illustres viros, sanctioris vitae aut probatioris iustitiae exemplum novimus.Scientia rei militaris in eo viro tanta fuit ut cum bella Lysimacho, Demetrio, Antigono, qui tanti reges fuerunt, intulisset, invictus semper fuerit. Illyriis quoque, Siculis, Romanisque bellum intulit; et patriam suam, antea angustam ignobilemque, fama rerum gestarum inter omnes gentes illustrem reddidit. | Mandato via dagli spartani, Pirro andò ad Argo: qua, tentando di assalire Antigono serrato in città, combattendo tra i più vigorosi avversari molto ferocemente, venne ucciso con un sasso lanciato dalle mura. La sua testa fu inviata ad Antiogono,che per manifestarsi clemente lo rinviò in patria al figlio di quello, essendosi sottomesso agli Epiroti, e gli mandò le ossa del padre insepolto, affinché le rimandasse in patria. In tutti gli autori c'è la notizia che nemmeno un sovrano di quel periodo possa essere confrontato a quello. Difatti di rado, non tanto tra i sovrani, però fra gli uomini celebri,lo abbiamo ricordato come modello di più sacra vita o correttezza di giustizia. La bravura del valore militare in quell'uomo fu tale da portare guerre a Lisimaco, Demetrio, Antigono che furono tanto grandi sovrani, sempre sarà indomabile. Pure agli Illirici, ai Siculi, ai Romani portò guerra, e fece diventare la sua patria, prima piccola e senza fama, famosa per le imprese tra tutte le popolazioni celebri. |
Nullus Romanorum rex animum asperiorem et acriorem quam Lucius Tarquinius ostendit aut intolerabilior fuit. Nam Tarquinius, quem Romani Superbum appellaverunt propter morum asperrimam feritatem, dominatum acerrime exercuit. Plus adrogantiae erga plebem et minus reverentiae erga senatores quam priores reges adhibuit. Nam, tyranno simillimus, superbius rem publicam regebat, vel maxima negotia per se administrabat, neque umquam senatum consulebat, saepe nobilissimos cives in exsilium pellebat.Nec minor fuit adrogantia et superbia filiorum regis. Nam Sextus Tarquinius olim, ob turpissimam et foedissimam cupidinem, Lucretiae, Collatini uxori, iniuriam fecit. Cum nobilissima et pudicissima mulier tantum dedecus tolerare non posset, cultro se necavit. Tunc Collatinus cum fidelissimis amicis fortissimos plebis viros ad seditionem movit et plebs cunctam Tarquiniorum familiam ex urbe exegit. | Nessun sovrano dei romani manifestò un'indole più crudele e aspra o fu più inaccettabile di Lucio Tarquinio. Difatti Tarquinio, che i Romani nominarono superbo per la rigidità delle sue tradizioni, utilizzò molto severamente la sua autorità. Utilizzò di più arroganza verso la plebaglia e meno rispetto verso i senatori dei precedenti sovrani. Difatti molto vicino al tiranno, teneva più superbamente lo stato, o organizzava enormi faccende da solo, e non interrogava mai il senato, spesso mandava in esilio cittadini molto aristocratici. Né minor fu la prepotenza e la sfrontatezza dei figli del sovrano. Difatti Sesto Tarquinio, per un molto oscura e aspra brama, oltraggiò Lucrezia moglie di Collatino. Non riuscendo la castissima e dignitosissima donna reggere tanta umiliazione, si trafisse con un pugnale. Così Collatino mosse alla rivolta i più forti uomini della plebaglia con suoi leali amici e la plebaglia mandò via dalla città l'intera famiglia dei Tarquini. |
Quid de Neronis spectaculis dicam? Maxime autem popularitate efferebatur, omnium aemulus, qui quoquo modo animum vulgi moverent. Exiit opinio post scaenicas coronas proximo lustro eum esse ad Olympiam inter athletas; nam et luctabatur assidue nec aliter certamina gymnica tota Graecia spectaverat quam brabeutarum more in stdio humi assidens ac, si qua paria longius recessisent, in medium manibus suis protrahens. Utinam optimus princeps fuisset potius quam optimus suriga? Tum vero putares, quia Nero Apollinem cantu, Solem aurigando aequiperare existimaretur, eum velle imitari et herculis facta: praeparatumque leonem aiunt, quem vel clava vel brachiorum nexibus in amphiteatri harena spectante populo nudus elideret. | Che cosa racconterò riguardo gli spettacoli di Nerone? Particolarmente che era elogiato dalla fama, imitò tutti, per persuadere in qualche maniera lo spirito del popolo. Sbocciò il parere in seguito delle ghirlande sceniche che poi nel lustro sarebbe disceso ad Olimpia tra gli atleti, difatti, si praticava in modo costante allo scontro, e, nell'intera Grecia, mentre partecipava agli scontri sportivi, spettava ai giudici, adagiandosi al suolo durante la prova però se una coppia si distanziava eccessivamente, li riconduceva a sè con le sue mani, in mezzo. Se fosse stato più un buon imperatore che un eccelente attore? Dunque in realtà crederesti, siccome Nerone credeva di emulare Apollo nel canto, oltre il sole, che lui volesse emulare pure le vicende di Ercole: dicono che un leone fosse preparato, che o con la clava o con l'intreccio delle mani davanti al popolo che guarda indifeso nell'anfiteatro cacciasse. |
Philippus Macedonum rex totam Graeciam occupare cupiens primum contra Atheniensium socios agmina sua duxit. Demosthenes autemorator Atheniensis cives suos saepe ita monebat:"Philippus sociorum nostrorum oppida capturus suas vires in dies auget. Cum socii nostri victi sint mox in Attica castra sua ponet patriam nostram oppressurus". Athenienses autem Philippum non timebant quia sociorum fines procul ab Attica erant. Sed Demosthenes addebat:"Copiae nostrae exiguae sunt; hostium impetum vincere non poterimus neque patriam nostram defendere.Philippus enim exercitum nostrum facile vincet neque ullum praesidium nos servare poterit". Atheniensium civitas vero suam libertatem amissura sociis suis opem non tulit et Demosthenis consilia neglexit. | Filippo, sovrano dei Macedoni, ambendo ad occupare l'intera Grecia, per primo portò le sue falangi contro i soci degli Ateniesi. Demostene, oratore ateniese, molte volte avvisava in questo modo i suoi concittadini: "Filippo, determinato a ottenere delle città dei nostri soci, di giorno in giorno accresce le sue truppe. Sconfitti i nostri soci, in fretta metterà in Attica la sua tenda, con il proposito di distruggere la nostra patria". Però gli Ateniesi non si preoccupavano di Filippo, siccome i confini degli alleati erano lontani dall'Attica. Però Demostene soggiungeva:" le nostre truppe sono insufficienti; non potremo sconfiggere l'assalto degli avversari né tutelare la nostra patria. Filippo difatti trionferà agevolmente il nostro esercito e nessuna protezione potrà tutelarci". Però la popolazione ateniese, indirizzato a perdere la sua indipendenza, non diede sostegno ai suoi soci e non considerò i suggerimenti di Demostene. |
Audires ululatus feminarum, infantum quiritatus, clamores virorum: alii parentes, alii liberos, alii coniuges vocibus requirebant, vocibus noscitabant; hi suum casum, illi suorum miserabantur; erant, qui metu mortis mortem precarentur; multi ad deos manus tollere, plures nusquam iam deos ullos aeternamque illam et novissimam noctem mundo interpretabantur. nec defuerunt, qui fictis mentitisque terroribus vera pericula augerent. aderant, qui Miseni illud ruisse, illud ardere falso, sed credentibus nuntiabant.Paulum reluxit, quod non dies nobis, sed adventatis ignis indicium videbatur. et ignis quidem longius substitit, tenebrae rursus, cinis rursus multus et gravis. hunc identidem adsurgentes excutiebamus; operti alioqui atque etiam oblisi pondere essemus. Possem gloriari non gemitum mihi, non vocem parum fortem in tantis periculis excidisse. | Avresti potuto udire i lamenti delle donne, i gemiti dei bambini, le urla degli uomini: alcuni con le urla erano in cerca dei genitori, altri dei figli, altri dei coniugi, e dal suono li identificavano; questi lamentavano insieme la loro sfortuna, quelli gemevano quella dei loro parenti; vi erano di quelli che per timore della fine chiamavano la morte; parecchi alzavano le mani agli dei, la maggior parte pensava che ormai non vi fosse più alcun dio e che quella fosse l'ultima notte e quella finale per il mondo. E non mancarono certi che aumentavano i rischi reali con paure false e fittizie. Vi erano certi che dicevano che a Miseno vi era una cosa che cadesse e ardesse falsamente, però lo dicevano a chi ci credeva. Per un po’ ritornò la luce, cosa che a noi non sembrava il giorno, piuttosto un indizio della luce che si apprestava. E la luce comunque non resto più a lungo, di nuovo le tenebre, e di nuovo cenere folta e greve. Noi la mandavamo via di tanto in tanto elevandoci in piedi; altrimenti saremmo stati ricoperti e pure oppressi dal carico della cenere. Potrei elogiarmi che tra rischi talmente enormi non mi sia uscito un lamento, né un termine poco valoroso. |
Olim Athenae aequis legibus florebant, sed paulatim procax libertas civitatem turbaverat bonosque mores corruperat. Tum Pisistratus tyrannus arcem imperiumque occupavit et, quia cives tristem servitutem flebant, Aesopus talem fabellam narravit. Ranae vagabant liberae in palustribus stagnis donec, quod laxatos mores vi compescere cupiebant, ingenti clamoreregem a Iove petiere. Pater deorum risit atque parvum tigillum ad ranas demisit. Ut illud in paludem missum est, motu sonoque suo ranarum pavidum genus valde terruit.Postea tigillum diu in limo iacuit, donec forte ranarum una caput e stagno tollit et regem magna cum cautela explorat. | Una volta Atene fioriva per le giuste leggi, ma pian piano la libertà dissoluta aveva turbato la città e aveva corrotto i buoni costumi. Allora Pisistrato occupò come tiranno e poiché gli abitanti piangevano la triste schiavitù allora Esopo narrò tale favola. Le rane vagavano libere negli stagni paludosi, chiesero a Giove con grande clamore un re, che frenasse con la forza le tradizioni corrotte. Il padre degli dei rise e mandò un piccolo bastone alle rane afinchè quello è mandato nella palude, per il suo moto e suono spavento fortemente la pavida specie di rane. Dopo il pezzo di legno rimase a lungo nel limo, finché nel medesimo luogo la più forte delle rane uscì dallo stagno e con cautela aveva esplorato il regno. Quando le rane vedono il ceppo inattivo, subito senza alcun timore nuotano a gara verso il legno e ferirono il ceppo con ogni insulto e con gravi parole. Dopo chiesero a Giove un altro re, poiché il padre degli aveva dato il bastone inutile. Allora Giove mandò alle rane impudenti una serpe d’acqua e una terribile pestilenza che afferrò con il dente violento molte rane. |
Eodem die ab exploratoribus certior factus hostes sub monte consedisse milia passuum ab ipsius castris octo, qualis (quale) esset natura montis et qualis in circuitu ascensus legatos qui cognoscerent misit. Renuntiatum est facilem esse (ascensum).De tertia vigilia T.Labienum legatum pro praetore cum duabus legionibus et iis ducibus, qui iter cognoverant, summum iugum montis ascendere iubet; quid (quale + genitivo)sui consilii sit ostendit. Ipse de quarta vigilia eodem itinere, quo hostes ierant, ad eos contendit equitatumque omnem ante se mittit.P. Considius, qui rei militaris peritissimus habebatur et in exercitu L. Sullae et postea in M. Crassi fuerat, cum exploratoribus praemittitur. | (Cesare) informato dagli esploratori nello stesso giorno che i nemici si erano accampati sotto al monte milla miglia dall'ottavo accampamento dello stesso. Fa annunciato che era facile. Durante il terzo turno di guardia Cesare comanda all'ambasciatore Tito Labieno di salire come pretore la cima più alta del monte con due legioni e con quei comandanti che avevano conosciuto il percorso; Cesare mostra quali siano le sue intenzioni. Egli stesso alle tre per lo stesso sentiero dal quale erano andati i nemici, si incammina velocemente verso di loro e davanti a sè manda tutta la cavalleria. Viene mandato avanti con gli esploratori P. Considio che era considerato molto esperto di tattiche militari e che era stato nell'esercito di Silla ed in seguito in quello di M. Crasso. |
Perseo, a Romanis victo, in templum Samothracem confugiendum fuit, ibique, in angulo obscuro delitescebat timens ne hostes eum reperirent atque interficerent. Cum autem deprehensus esset, cum filio natu maximo ad consulem perductus est. Ad nullum aliud spectaculum tanta multitudo occurrit. Pulla veste amictus, Perseus ingressus est castra, nullo suorum comite, qui socius calamitatis miserabiliorem eum feceret. Progredi prea turba hominum occurrentium ad spectaculum non poterat, donec consul lictores misit, qui sub movendo eos qui circumfusi erant, iter ad praetorium fecerunt.Consurrexit consul, progressusque paulum, introeunti regis dexteram porrexit et submittentem se ad pedes sustulit; cum eum in tabernaculum introduxisset, suo lateri assidere iussit. Deinde eum interrogavit quae causa aut quae iniuria ad bellum contra populum Romanum suscipiendum eum impulisset. Cum rex interrogatus, terram intuens, diu tacitus fleret, cunsul inquit: “ Bonum animum habe! Populi Romano clementia non modo spem tibi, sed prope certam fiduciam salutis praebet. “ | Perseo, vinto dai romani, dovette fuggire in un tempio a Samotracia e lì, si rifugiava in un angolo oscuro, temendo che i nemici lo scoprissero e lo uccidessero. Quando però fu catturato, fu condotto alla presenza del console con il figlio maggiore. Non accorse mai a nessun altro spettacolo una così gran quantità di persone. Con una piccola veste, Perseo entrò nell’accampamento, senza nessun suo compagno, che, compagno di sventura, lo rendesse più pietoso. Non poteva avanzare a causa del gran numero di persone accorse allo spettacolo, finchè il console non inviò i littori affinché, allontanando coloro che si affollavano, facessero una strada verso il pretorio. Il console si alzò e, avanzato un po’, porse la mano destra al re che entrava e si alzò dopo essersi gettato ai suoi piedi; quando lo fece entrare nella sua tenda, gli ordinò di sedersi al suo fianco. In seguito gli chiese quale motivo o quale oltraggio lo spinse a dichiarare guerra contro il popolo Romano. Poiché il re, interrogato, guardando la terra, pianse a lungo in silenzio, il console disse: “ Hai un buon animo! La clemenza del popolo romano non soltanto ti darà la speranza ma anche la garanzia della tua salvezza.” |
Quorum prima aetas propter humilitatem et obscuritatem in hominum ignoratione versatur, ii, simul ac iuvenes esse coeperunt, magna spectare et ad ea rectis studiis contendere debent, quia non modo non invidetur illi aetati, verum etiam favetur. Sicut igitur in reliquis rebus multo maiora opera sunt animi quam corporis, sic eae res, quas ingenio ac ratione persequimur, gratiores sunt quam ille, quas viribus. Prima igitur commendatio proficiscitur a modestia simul cum pietate in parentes, in suos benevolentia.Facillime autem cognoscuntur adulescentes, qui se ad claros et sapientes viros conferunt: nam sic adferunt populo opinionem se eis fore similes, quos sibi delegerunt ad imitandum. | Non appena coloro la cui infanzia (lett. "prima età) trascorre nell'ignoranza degli uomini a causa dell'umiltà e all'oscurità (della propria condizione sociale) hanno cominciato ad essere ragazzi, debbono porsi grandi mete e cercare di arrivare ad esse con retto impegno, poichè non solo non si è invidati a quell'età, ma in realtà si è persino favoriti. Così come, dunque, nelle restanti cose le opere dello spirito sono molto superiori alle opere del corpo, così quelle imprese che perseguiamo con l'astuzia e le ragione sono più gradite di quelle che perseguiamo con le forze. Pertanto la prima raccomandazione parte dalla modestia insieme con il rispetto per i genitori (e) la benevolenza verso di loro. Assai facilmente poi si fanno conoscere gli adolescenti che si appoggiano a uomini famosi e sapienti: infatti così fanno credere al popolo (lett. "apportano al popolo l'opinione") che essi saranno simili a quelli che hanno scelto di imitare. |
Praeter duodecim signa potentissima sidera in caelo: Septemtriones duo, maior et minor, qui numquam merguntur ideoque navium cursus regunt. Quorum alter Cynosura dicitur, Bootes, idem Arcturus. Orion, qui magnitudine sua dimidiam caeli obtinet partem. Pliades, quae latine Virgiliae dicuntur. Hyades, quae a nobis Subuculae dicuntur; quarum ortus et occasus a nautis et ab agricolis observantur. Canicula, cuius vis praecipue solstitio est. Stellae potentissimae in caelo sunt septem: Saturnus Sol Luna Mars Mercurius Iuppiter Venus.Quae a Graecis planetae, a nobis erraticae dicuntur, qui ad arbitrium suum vagantur et motu suo hominum fata moderantur. Item adverso cursu contra caelum feruntur. | Nel cielo oltre le dodici costellazioni vi sono potentissimi poteri: le due Orse, maggiore e minore, che non sono mai celate e per ciò continuo punto di riferimento per i naviganti: una è detta “Cinosura”, l’altra “Bootes”, o “Arturo”. Dopo abbiamo Orione, che, con la sua potenza, invade mezza porzione del cielo. Le Pleiadi, dette in lingua latina “Vergilie”. Iadi che da noi vengono chiamate “Subucule”, delle quali l’alba e il tramonto son tenuti come il punto di riferimento dai marinai ed ai contadini. Infine, Canicola, il quale potere maggiore si percepisce al solstizio. Invece sette sono le stelle più grandi e splendenti: Saturno, Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere . Chiamate dai Greci pianeti, da noi dette stelle erratiche, che non percorrono un cammino ben definita e che, con il loro moto, condizionano il fato degli uomini. Con il moto contrario si portano dall’altra porzione del cielo. |
Nunc pauca de gente Saxonum et de natura eorum finium dicentur. Saxonia pars non parva est Germaniae ; eius figura trigona videtur : primum latus in austrum vergit usque ad lumen Rhenum, secundum a regionis marittimis initium habet, continetur flumine Albia et in orientem vergit usque ad Salam fluvium, ubi est latus tertium. Saxonia alluitur Albia, Sala, Wisara, nobilibus fluviis. Sala et Wisara in regionibus silvestribus Thuringiae fontem habent, Albia in se recipit Salam et in oceanum influit.Loca tota fere plana sunt, nam colles montesque rari sunt. Terra ubique fertilis, compascua et silvestris; et apud fines Thuringiae et apud Salam et Rhenum fluvios multa et opima arva ; perraro loca palustria vel arida. Saxonia enim viris, armis et frugibus ingens est eiusque agri fecondi omnia hominum vitae necessaria ferunt : incolae tantum vini dulcedinem ignorant. Saxones, gens ferox et in bello terribilis, primum eruptionem in Romanorum fines fecerunt, sed a Romanis acri pugna oppressi sunt ; deinde Galliam occupaverunt, sed a Syagrio, duce Romanorum, victi sunt. Eorum pars etiam in Britanniam venit et omnes ab insula depulit. | Ora si diranno un pò di cose sulla gente della Sassonia e sulla natura dei suoi territori. La Sassonia è una parte non piccola della Germania; la sua forma sembra triangolare: il primo lato volge verso Sud fino al fiume Reno, il secondo ha inizio dalle regioni marittime, è contenuto nel fiume Elba e volge verso oriente fino al fiume Saale, dove si trova il terzo lato. La Sassonia è bagnata dall'Elba, dal Saale e dal Weser, nobili fiumi. Il Saale e il Weser hanno la fonte nelle regioni boscose della Turingia, l’Elba accoglie in sé il Saale e confluisce (sfocia) nell'oceano. Quasi tutti i luoghi sono pianeggianti, infatti sono rare le colline e le montagne. La terra è ovunque fertile, adatta ai pascoli e silvestre, e presso i confini della Turingia e presso i fiumi Saale e Reno ci sono molti e ottimi territori arati; assai raramente ci sono luoghi palustri e aridi. La Sassonia infatti è grande per uomini, armi e frutti e i suoi campi fertili offrono tutte le cose necessarie per la vita degli uomini: gli abitanti ignorano solo la dolcezza del vino. I Sassoni, popolo feroce e terribile in guerra, per prima cosa fecero irruzione nei territori dei Romani, ma furono sconfitti dai Romani in un’aspra battaglia, infine occuparono la Gallia, ma furono vinti da Siagro, comandante dei Romani. Una parte di quelli giunse anche in Britannia e scacciò tutti dall'isola. |
Inter stellas immotas et vagas languida luna splendebat et silvarum umbras fugabat tacita spectabat nautarum curas et agricolarum operas. Interea amoena aura flabat. Puellae cum avia in area erant et lunam spectabant. Vere luna olim erat dea in terris. Agricolae Dianam lunam appellabant. Diana in silvis vivebat ac secum in pharetra multas sagittas gerabat. Dea feras agitabat atque sagittis feriebat. Cum Daina sagittae feras tangebant, illae cadebat et vitam amittebant.Agricolae nultas victimas deae immolabant in aris. | Tra le stelle immobili e vaganti splendeva la languida luna e metteva in fuga le ombre dei boschi, guardava tacita i pensieri dei marinai e le ombre degli agricoltori. Nel frattempo un piacevole vento soffiava. Le fanciulle con la nonna erano nel cortile di casa e guardavano la luna. In verità un tempo la luna era una dea sulla terra. I contadini chiamavano la luna Diana. Diana viveva nei boschi e con se nella fretra portava molte frecce. La dea agitava le besti e le feriva con le frecce. Quando le frecce di Diana colpivano le bestie, quelle cadevano e morivano. I contadini immolavano molte vittime alla dea nei campi. |
Post funera Alexander imperavit ut captivis nuntiaretur ipsum venire et monuit ut urba comitantium inhiberetur. In tabernaculum in quo captivae erant, cum Hefestione intravit. Is longe omnium amicorum carissimus erat regi, cum ipso pariter educatus; secretorum omnium arbiter, et sicut aetate par erat regi, ita corporis habitu praestabat. Ergo reginae illum esse regem putaverunt et des proiecit orans ut excusaret ignorationem regis numquam antea visi.Quam manu adlevans rex: "Non errasti," inquit "mater: nam et hic Alexander est". | Dopo i funerali Alessandro comandò affinchè si annunciasse ai prigionieri che lui stesso sarebbe venuto e ammonì affinchè venisse spaventata la folla degli accompagnatori. Con Efestione, Alessandro, entrò nel tebernacolo nel quale erano stati catturati. Questo era di gran lunga tra tutti gli amici il più caro al re. Essendo educato allo stesso modo, confidente di tutti i segreti; da una parte era coetaneo del re, dall'altra parte Efestione lo superava per l'aspetto fisico. Dunque le regine pensavano che quello fosse re e lo crebbero secondo la propria tradizione. Quindi uno tra i cattivi indicò Alessandro e Sisigambe si gettò ai suoi piedi pregando affinchè scusasse l'errore del re mai visto prima. Quella sollevandosi con la mano, il re disse: "Non sbagliasti madre: infatti è proprio questo Alessandro". |
Galli Senones, qui viribus copiosis et robustis urbem Clusium obsidebant, viderunt Romanorum legatos, qui tunc pacis arbitri venerant, pugnantes inter Clusinos. Galli irati oppidi obsidionem dimittunt et totis viribus ad Urbem magnis itineribus contendunt. Fabius consul eos cum copiis excepit, nec tamen obstitit, immo Gallorum infestum agmen Romanos quasi aridam segetem succidit et stravit. Allia fluvius Fabii cladem memoria tenet, sicut Cremera Fabiorum.Senones Urbem iam vacuam defensoribus penetrant, in curiam intrant et trucidant senatores, qui in suis sedilibus insidebant et honorem Romanum defendebant; postea universam reliquam iuventutem, quae in arce Capitolini montis latebat, obsidione concludunt ibique miseras reliquias fame, peste, desperatione, formidine terunt et subigunt. Galli fessi caede excedunt et ruinarum horridum acervum relinquunt: undique horror animos quatiebat, silentia quoque terrebant quia est materia pavoris raritas in locis spatiosis. Ideo Romani sedes mutaverunt, Iovem suosque deos oraverunt, aliud oppidum incouluerunt, sed Camillus dictator, qui princeps Romanorum erat, migrationem alio prohibuit et patriam servavit. | I Galli Senoni, i quali occupavano la città di Chiusi con tante forze militari, videro gli ambasciatori dei Romani, che in quel tempo erano venuti come arbitri della pace, combattere tra i Chiusini. I Galli irati abbandonano l'assedio della città e si dirigono a marce forzate verso la città con tutte le truppe. Il console Fabio ricevette loro con le truppe, ma tuttavia non si oppose anzi l'esercito ostile dei Galli abbattè e mise a terra i Romani per così dire come frumento secco. Il fiume Allia tiene la memoria della disfatta di Fabio così come il Cremera tiene quella dei Fabii. I Senoni invadono Roma, ormai priva di difensori, entrano nella curia e trucidano i senatori i quali stavano seduti sui loro seggi e difendevano l'onore romano; poi chiudono l'assedio tutto il resto della gioventù , la quale stava nascosta sulla rocca del monte Campidoglio e li logorano e mettono in ginocchio le sventurate rimanenze con la fame, la malattia la disperazione e la paura . I Galli stanchi si allontanano dalla strage e lasciano un orrendo cumulo di rovine. Da tutte le parti il terrore scuoteva gli animi, anche i silenzi spaventavano perchè il vuoto nei luoghi aperti è fonte di paura. Allora i Romani cambiavano sede, pregarono Giove e i loro dei, abitarono un'altra città ma il dittatore Camillo, che era capo dei Romani, proibì la migrazione in un altro luogo e salvò la patria. |
Sed duobus exercitibus eadem eius diei erat opinio: omnes se superiores discessisse extimabant: Afraniani. quod, cum essent omnium indicio inferiores, comminus tam diu stetissent et nostrorum impetum sustinuissent et initio locum tumulumque tenuissent, quae causa pugnae fuerat, et nostros primo congressu terga vertere coegissent; nostri autem, quod iniquo loco atque impari numero quinque horis proelium sostinuissent, quod montem gladiis destrictis ascendissent, quod ex loco superiore terga vertere adversarios coegissent atque in oppidum compulissent.Illi eum tumulum. pro quo pugnatum est, magnis operibus munierunt praesidiumque ibi posuerunt. | Ma fu opinione comune a entrambe le parti di essere risultate vincitrici di questa giornata: quelli di Afranio poiché sebbene a giudizio di tutti sembrassero essere inferiori avevano resistito per così tanto tempo nel corpo a corpo e avevano sostenuto l'impeto dei nostri e dall'inizio avevano tenuto la posizione e il colle e ciò era stato causa di battaglia e nel primo attacco avevano costretto i nostri a darsi alla fuga; i nostri invece poiché avevano retto per cinque ore a una battaglia in posizione sfavorevole con un numero non pari di forze poiché erano saliti sul monte con le spade in pugno poiché avevano costretto gli avversari a fuggire da un luogo elevato e li avevano respinti in città.I soldati di Afranio fortificarono con grandi opere di difesa quella collinetta per la quale si combatté e vi posero un presidio. |
Alexander, cum Susa pervenisset, seniores milites domum remittere volebat atque secum in asia retinere duodecim milia peditum et duo milia equitum, quod se modico exercitu. Asiam tenere posse existimabat; multis enim locis praesidia disposuerat urbesque nuper conditas colonis repleverat. Sed milites, postquam cognitum est alios remitti domum, alios retineri, timentes ne regem suum relinquerent, omnes ante regiam convenerunt atque clamaverunt neminem in patriam rediturun sed omnes in Asia cum rege mansuros.Qua re commotus, Alexander sententiam suam mutavit atque milites infirmissimos tantum domum remisit. | Alessandro, siccome era arrivato a Susa, desiderava lasciare a casa i guerrieri più vecchi e tenere in Asia con lui dodicimila soldato di fanteria e duemila cavalieri, che per lui era un modesto esercito. Credeva di poter tenere l'Asia; aveva collocato in parecchi luoghi truppe e aveva colmato le città erette di colonie. Però i militari, visto che fu noto che certi furono lasciati in patria, che diversi furono fermati, dubitando che il sovrano venisse lasciato da solo, tutti si radunarono dinanzi alla città e urlarono che nemmeno uno sarebbe ritornato in patria bensì che tutti sarebbero stati con il sovrano in Asia. Scosso da tale cosa, Alessandro mutò il suo parere e lasciò a casa solo i militari invalidi. |
Sed ubi labore atque iustitia res pubblica crevit, reges meagni bello domiti, nationes ferae et populi ingentes vi subacti, Chartago aemula imperi Romani ab stirpe interiit, cuncta maria terraque patebant, saevire fortuna ac miscere omnia coepit. Qui labores, pericula, dubias atque asperas res facile toleraverant, iis otium divitiaeque, optanda alias, oneri miseriaeque fuere. Igitur primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium malorum fuere.Namque avaritia fidem probitatem ceterasque artis bonas subvortit; pro his superbiam, crudelitatem, deos neglegere, omnia venalia habere edocuit. Ambitio multos mortalis falsos fieri subegit, aliud clausum in pectore, aliud in lingua promptum habere, amicitias inimicitiasque non ex re, sed ex commodo aextumare, magisque voltum quam ingenium bonum habere. Haec primo paulatim crescere, interdum vindicari; post ubi contagio quasi pestilentia invasit, civitas inmutata, imperium ex iustissumo atque optumo crudele intolerandumque factum. | Ma quando la repubblica si fu ingrandita col lavoro e la giustizia, quando i grandi re furono dominati, quando le nazioni barbare e tutti i popoli furono sottomessi con la forza, quando Cartagine rivale dell'Impero Romano fu distrutta dalle fondamenta e quando ormai erano aperti tutti i mari e le terre, la sorte cominciò a infierire e a mettere sottosopra tutte le cose. Coloro i quali avevano tollerato facilmente lavori pesanti, pericoli, situazioni aspre e dubbie, proprio a loro in altri momenti l'ozio e le ricchezze furono di peso e di rovina. Per prima cosa crebbe il desiderio di ricchezze e di potere: queste cose furono l'origine di tutti i mali. Ed infatti l'avidità sovvertì la fiducia, l'onestà e tutte le altre qualità del comportamento; al posto di queste insegnò la superbia, la crudeltà, a rinnegare gli dei e a dare tutto in vendita. L'ambizione spinse molti mortali a diventare disonesti, ad avere una cosa chiusa nel cuore ed manifestarne un'altra, a stimare amici e nemici non dai fatti ma dai vantaggi e a sembrare onesti piuttosto che a esserlo. Queste cose sulle prime iniziarono a crescere a poco a poco e a volte a essere vendicate; ma dopo, quando la contaminazione si estese come una pestilenza, il governo mutò e l'impero da giustissimo e ottimo divenne crudele ed intollerante. |
Aegrotabat Caecina Paetus maritus eius, aegrotabat et filius, uterque mortifere, ut videbatur. Filius decessit eximia pulchritudine pari verecundia, et parentibus non minus ob alia carus quam quod filius erat. Huic illa ita funus paravit, ita duxit exsequias, ut ignoraret maritus; quin immo quotiens cubiculum eius intraret, vivere filium atque etiam commodiorem esse simulabat, ac persaepe interroganti, quid ageret puer, respondebat; 'Bene quievit, libenter cibum sumpsit.' Deinde, cum diu cohibitae lacrimae vincerent prorumperentque, egrediebatur; tunc se dolori dabat; satiata siccis oculis composito vultu redibat, tamquam orbitatem foris reliquisset.Praeclarum quidem illud eiusdem, ferrum stringere, perfodere pectus, extrahere pugionem, porrigere marito, addere vocem immortalem ac paene divinam: 'Paete, non dolet.' | Cecina Peto, marito di Arria, era ammalato, e così anche il figlio, entrambi, come sembrava, destinati a morire. Il figlio morì, (giovane) di straordinaria bellezza e di pari pudore e caro ai genitori non meno per altri motivi che per il fatto che era il loro figlio. A lui ella organizzò il funerale e diresse le esequie in modo tale che il marito ne fosse all’scuro. E anzi, ogniqualvolta entrava nella sua stanza da letto, fingeva che il figlio fosse vivo e che stesse perfino meglio; e al marito che le chiedeva con insistenza che cosa facesse il bambino rispondeva: “ Ha riposato bene; ha preso il cibo volentieri “. Poi quando le lacrime a lungo trattenute avevano il sopravvento e prorompevano, usciva. Allora si abbandonava al dolore; una volta sfogatasi, rientrava con gli occhi asciutti e il volto calmo come se avesse lasciato fuori il suo lutto. Davvero straordinario fu quel suo celebre gesto di stringere un’arma, trafiggersi il petto, estrarre il pugnale e porgerlo al marito aggiungendo quell’espressione immortale e quasi divina: “ Peto, non fa male. “ |
Servius Tullius deinceps gubernacula urbis invadit, nec obscuritas inhibuit quamvis matre serva creatum. Nam eximiam indolem uxor Tarquini Tanaquil liberaliter educaverat, et clarum fore visa circa caput flamma promiserat. Ergo inter Tarquini mortem adnitente regina substitutus in locum regis quasi in tempus, regnum dolo partum sic egit industrie, ut iure adeptus videretur. Ab hoc populus Romanus relatus in censum, digestus in classes, decuriis atque collegis distributus, summaque regis sollertia ita est ordinata res publica, ut omnia patrimonii, dignitatis, aetatis, artium officiorumque discrimina in tabulas referrentur, ac sic maxima civitas minimae domus diligentia contineretur. | Servio Tullio prese poi il potere di Roma, nemmeno l'oscurità glielo impedì, sebbene fosse nato da una madre schiava. Infatti, la moglie di Tarquinio, Tanaquilla, aveva educato nobilmente quel giovane di straordinaria indole e la fiamma apparsa intorno alla testa aveva promesso che sarebbe stato famoso. Dunque, alla morte di Tarquinio, subentrato al posto del re con l'appoggio della regina, quasi provvisoriamente, condusse il regno ottenuto con l'inganno, con tanta abilità che sembrava l'avesse conseguito di pieno diritto. Da questo il popolo romano fu diviso secondo il censo, distribuito in classi, ripartito in decurie e collegi e per l'estrema solerzia del re lo Stato fu ordinato così che tutte le differenze di patrimonio, grado sociale, età, occupazioni e cariche pubbliche venivano segnate sui registri e così una città grandissima veniva conservata con la diligenza di una piccolissima casa. |
Tantum Deus diligebat Salomonem ut ei sapientiam impertiverit. Quodam die Salomon ipsius sapientiae praeclarum specimen dedit. Cum duae mulieres in eadem domo habitarent, utraque eodem tempore puerum habuit. Unus ex his puerulis post aliquot dies animam nocte efflavit; mater subripuit puerum alterius mulieris dormientis et huius loco filium suum mortuum supposuit. Cum gravis altercatio inter mulieres facta esset, res ad Salomonem delata est. Difficilis erat atque perobscura quaestio, quod nullus erat testis.Rex autem, ut latentem veritatem exploraret: "Dividatur - inquit - puer de quo controversia est, et pars una uni mulieri, altera alteri detur". Crudeli iudicio falsa mater assensit, sed altera exclamavit: "Ne, rex, puer occidatur; malo istam eum totum sibi habere". Tum rex dixit :"Res manifesta est: haec est mater pueri", et huic illum attribuit. | Dio diligeva tanto Salomone che gli diede la sapienza. Un giorno Salomone diede esempio chiaro della sua stessa sapienza. Poiché due donne abitavano nella stessa casa, l’una e l’altra ebbero nello stesso tempo un bambino. Uno tra questi bambini dopo qualche giorno morì durante la notte; una madre sottrasse il bambino al’altra donna mentre dormiva e mise in quel luogo suo figlio morto. Essendo scoppiata una grave discussione tra le donne, la questione fu riferita a Salomone. La questione era difficile e oscura, poiché non c’era nessun testimone. Il re però per scoprire la verità nascosta disse: “Si divida il fanciullo su cui vi è controversia, ed una parte si dia ad una donna, l'altra parte all'altra”. Al crudele giudizio assentì la falsa madre, ma l'altra esclamò: "O re, non si uccida il bambino, preferisco che lo abbia tutto lei". Allora il re disse: " E' chiaro, questa è la madre del fanciullo" e lo diede a costei. |
Tarquinius Superbus, ex urbe a populo depulsus, ad Latinos confugit et cum eis Romae bellum commovit, sed a Postumio dictatore devictus, in Etruriam concessit. Pugnam, miris fabulis ornatam, veteres scriptores narraverunt. Nam in ea duo adulescentes ignoti, excelsa statura, albis equis vecti, in castra ab hostibus munita primi impetum fecerunt et Romanis pugnantibus viam ad victoriam aperuerunt. Laetus ob auxlium acceptum, Postuminus, desiderans adulescentibus praemium donare, quod promiserat ei qui primus, impetum facienns, in castra hostium irrupisset, illos nusquam repperit.Eodem die cives in foro viderunt duos viros, pulvere ac cruore perfusos, corpora ad fontem Iuturnae lavantes. Inde fama fuit eos fuisse Castorem et Pollucem, quos in pugna certantes Romani apud lacum Regillum viderant. | Tarquinio il Superbo, mandato via dalla città dalla popolazione, si nascose presso i latini e con codesti portò guerra a Roma, però sconfitto dal dittatore Postumio, accedette in Etruria. Gli storici raccontano lo scontro, abbellito da sublimi racconti. Difatti in codesto due adolescenti sconosciuti, di enorme statura, trascinati da cavalli bianchi fecero per primi assalto nella tenda sorvegliata dagli avversari e spalancarono la via del trionfo ai romani che lottavano. Contento del sostegno ottenuto, Postumio, bramando consegnare il premio agli adolescenti che aveva promesso a quello che per primo, facendo assalto, irrompesse nella tenda degli avversari non li ritrovò più. In quel medesimo giorno i cittadini notarono nel foro due uomini rivestiti di polvere e sudore, che si pulivano le membra alla fonte di Iuturna. Da qua è stima che quelli furono Castore e Polluce, che in battaglia i romani che lottavano avevano visto presso il lago Regillo. |
Ulixes ad Cyclopem Polyphemum, Neptuni filium, pervenit. Huic responsum erat ab augure Telemo ut caveret ne ab Ulixe excaecaretur. Hic in media fronte unum oculum habebat et carnem humanam epulabatur. Qui, postquam pecus in speluncam redegerat, molem saxeam ingentem ad ianuam apponebat. Qui Ulixem cum sociis inclusit, sociosque eius consumere coepit. Ulixes cum videret eius immanitati atque feritati se resistere non posse, vino, quod a Marone acceperat, eum inebriavit, seque Utim vocari dixit.Itaque cum oculum eius trunco ardenti exueret, ille clamore suo ceteros Cyclopas convocavit eiusque e spelonca preclusa dixit: <>. Illi, credentes eum deidendi gratia dicere, neglexerunt. At Ulixes socios suos ad pecora alligavit et ipse se ad arietem; et ita exierunt. | La nave portò Ulisse verso il ciclope Polifemo, figlio di Nettuno. Il responso era stato portato da profeta Telemo a Polifemo, affinchè fosse cauto, in modo da non essere accecato da Ulisse. Il ciclope, poichè portò dentro il recinto il gregge dalle campagne, appose l'ingente macigno di pietra alla porta e trattenne Ulisse con gli alleati:poi fu tirato fuori dalla carcassa di due soci di Ulisse. Allora Ulisse, vedendo il ciclope non poter resistere alla selvatichezza, lo ubriacò con il vino che aveva portato dalla Tracia e consecutivamente disse di chiamarsi Nessuno. Quindi incendiando anche il suo occhio con un tronco ardente, quello (Polifemo)convoca con gran clamore altri Ciclopi e disse dalla grotta.<>. Quelli credendo che (Polifemo) si stesse prendendo gioco di loro, non badarono alle sue parole. Ma Ulisse fece attaccare i suoi alleati alle pecore e si attaccò lui stesso ad un ariete e riuscirono ad uscire (inosservati). |
Amicitia pulchra et grata pueris et puellis, matronis et viris saepe est. Ab amicitia puerorum et virorum, puellam et dominarumanimi semper delectantur. Amicus generosus et bonus semper est. In vita amicum iuste putamus socium honestum: nam amicus semper bona consilia praebet. Semper ab amicis bona consilia praebentur et amicorum consilia diligenter in magnis vitae periculis auxilium dant.Amicorum consiliis et auxilio molestias vitae bene superamus Iuste viri antiqui amicitiam donum pretiosumdeorum putabant: nam longa amicitia saepe magnae letitiae causa est.Antiqui viri iuste dicebant: "Dii boni, amicos probos et generosos semper servate!". | L'amicizia è spesso meravigliosa e grata a ragazzi e ragazze, donne e uomini. Gli animi dei ragazzi e degli uomini, delle ragazze e delle donne sono sempre deliziatati dall'amicizia. Gli amici sono sempre buoni e generosi. Nella vita giustamente l' amico un socio onesto: infatti l'amico da sempre buoni consigli. Dagli amici vengono sempre buoni consigli e diligentemente i consigli degli amici danno un aiuto nei grandi problemi della vita. Con i consigli e l'aiuto degli amici superiamo meglio le difficoltà della vita. Giustamente gli uomini antichi gredevano che l'amicizia fosse un prezioso dono degli dei: infatti la lunga amicizia è causa di grande gioia. Gli antichi uomini giusti dicevano: "Dei buoni, custodite sempre gli amici onesti e generosi!". |
Galli Senones Alpes superaverunt et feraces Italiae regiones ferro ignique vastaverunt; mox apud Alliam flumem Romanorum agmina fuderunt atque in fugam verterunt. Romani sinistri cornus Veios perterriti confugerunt; pauci dexteri cornus cladis nuntii Romam pervenerunt. Solis occasu Galli ad Urbem contenderunt et castra inter Romanorum et Anienem flumen posuerunt. Ad nuntium tantae cladis ingens trepidatio Romanorum animos invasit. Cives imminentem hostium impetum timebant; e Gallorum castris ululatus et feros cantus audiebant, mentesque terrificos aspectus effigebant.Romani exercitum iam non habebant: ideo ne urbem quidem defenderunt.Senatus iussu et magistratuum hortatu homines idonei ad arma in Capitolii arcem confungerunt,mulieres et senes in propinquis urbibus salutem invenerunt.Mulieres domos inter fletus relinquebant,viae ac semitae miserabilibus ploratibus et questibus personabant.Postridie,prima luce,Galli urbem occupaverunt domosque incenderunt atque diruerunt. | I Galli Senoni valicarono le Alpi e misero a ferro e fuoco le fertili regioni d'Italia; ben presto sconfissero le truppe dei Romani presso il fiume Allia e misero in fuga il nemico. I Romani dell'ala sinistra si rifugiarono atterriti a Velio, pochi dell'ala destra giunsero a Roma, portatori della notizia della stage. Al tramonto del sole i Galli si diressero a Roma e posero l’accampamenti tra i Romani ed il fiume Aniene. Una profonda trepidazione invase gli animi dei romani all'annunzio di una così grande sconfitta. I cittadini temevano l'imminente assalto dei nemici; ascoltavano i canti feroci e le urla dei Galli dall'accampamento, e si raffiguravano aspetti ed indoli terrificanti. I Romani non avevano più un esercito; perciò non difesero nemmeno la città. Per ordine del senato e per esortazione dei magistrati gli uomini atti alle armi si rifugiarono sulla rocca del Campidoglio, le donne ed i vecchi trovarono scampo nelle città vicine. Le donne lasciavano le case tra le lacrime, le vie ed i marciapiedi risuonavano di pianti disperati e di lamenti. Il giorno dopo, all'alba, i Galli occuparono la città e incendiarono e distrussero le case. |
Subsets and Splits