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Philippus Macedo, ubi primum summa imperii potitus est, regnum florentissimus reddidit. Sed initio cum patria continuis bellis iam exhausta esse videretur et ipse modo adversariorum insidiis modo hostium incursionibus defatigaretur aliquot bella quae simul gerenda esse videbantur pace facta composuit reliqua armis conficere voluit. Hostibus ita oppressis imperium totius Graeciae adfectare coepit; sed adversus Graecos magnam adhibuit calliditatem.Nam civitatum discordias hoc consilio aluit et fovit ut cum inter se obtrectare studerent omnium vires frangerentur. Itaque cum diu se hostem esse dissimulasset postremo ceteris debellatis atque in deditionem compulsis bellum intulit Atheniensibus quos proelio ad Chaeroneam commiso plane devicit. Hic dies et gloriam et vetustissimam libertatem universae Graeciae adimere visus est.GiustinoTesto latino tratto da:Mariano Bianca Maria, Galloncelli, Teresa, Latine – Esercizi, Marietti Scuola, Torino, 1994
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Filippo il Macedone, non appena si impadronì del supremo potere, rese il regno molto fiorente. Ma, all’inizio, poiché la patria sembrava essere rovinata dalle continue guerre ed egli stesso era stanco sia delle insidie degli avversari sia delle incursioni dei nemici, fatta la pace, pose fine ad alcune guerre che sembravano essere da combattere contemporaneamente e volle portare a termine con le armi le altre.Così dopo aver vinto i nemici e gli avversari, cominciò a cercare di ottenere il dominio su tutta la Grecia; tuttavia nei confronti dei Greci fece uso di una grande astuzia. Con questo piano alimentò e favorì le discordie delle città affinché, mentre si occupavano di nuocersi a vicenda, le loro forze si indebolissero.E così, avendo a lungo nascosto di essere un nemico, alla fine, sconfitti e obbligati alla resa gli altri, mosse guerra agli ateniesi che, attacata battaglia a Cheronea, sconfisse del tutto.Questo giorno sembrò togliere alla Grecia sia la gloria sia l'antichissima libertà.
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Anus hospita atque incognita Tarquinium Superbum regem Romanorum, rogavit ut emeretnovem libros quos secum habebat: “Hi - inquit – divina oracula continent, quae Romanorum civitati proderunt: eme igitur et, crede mihi, tui nepotes tibi gratissimi erunt”. Tarquinius pretium rogavit, anus nimium atque immensum poposcit; rex negavit. Tum illa tacita foculum cum igne statim apposuit, tres libros combussit, sex reliquos regi praebuit, non minus pretium poscens.Tarquinius multo cum riso rursus negavit; at illa statim tres alios libros igne delevit, regemque interrogavit num tres reliquos eodem pretio quo novem emeret. Tanta mulieris constantia atque fiducia regis animum perturbavit; iam non ridens, sed graviore vultu: “Da mihi – inquit – tres qui supersunt libros: eodem pretio quo novem omnes emam”. Nemo amplius anum videre potuit: tres libros in sacrario Romani servaverunt ac Sibyllinos appellaverunt: quindecemviri eos consulunt, ut deorum voluntatem cognoscant.da Aulo Gellio
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Una vecchia straniera e sconosciuta pregò Tarquinio il Superbo, re dei Romani, di acquistare i nove libri che portava con sé. “Questi – disse – contengono le predizioni divine che saranno utili allo Stato romano: dunque, comprali e, credi a me, i tuoi discendenti ti saranno molto grati.” Tarquinio domandò il prezzo e la vecchia chiese una somma molto alta ed enorme; il re rifiutò. Allora, in silenzio, essa preparò subito un fuoco acceso, bruciò tre libri, offrì i sei rimanenti al re, non chiedendo un prezzo inferiore. Di nuovo, Tarquinio rifiutò, ridendo molto; ma subito essa bruciò (distrusse con il fuoco) altri tre libri , chiese al re di comprare i tre rimanenti allo stesso prezzo dei nove. Tanta costanza e fiducia della donna turbò l’animo del re; non più ridendo, ma con l’aspetto più severo: “Dammi – disse – i tre libri che rimangono, li comprerò allo stesso prezzo di tutti i nove. Nessuno poté più vedere la vecchia; i Romani conservarono i tre libri in un tempio e li chiamarono Sibillini: i quindecemviri (1) li consultano per conoscere la volontà degli dei.(1) i quindecemviri (dal latino quindecem + viri) erano quindici sacerdoti che facevano parte di un collegio sacerdotale che, nell’antica Roma, aveva l’incarico di custodire ed interpretare i libri sibillini.
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Superioribus annis taciti indignabamini aerarium expilari,reges et populos liberos paucis nobilibus vectigal pendere, penes eosdem et summam gloriam et maximas divitias esse; tamen haec talia facinora impune suscepisse parum habuere; itaque postremo leges,maiestas vestra, divina et humana omnia hostibus tradita sunt. Neque eos qui ea facere pudet aut paenitet,sed incedebunt per ora vestra magnifici, sacerdotia et consulatus, pars triumphos suos ostentantes, proinde quasi ea honori, non praedae habeant.Servi,aere parati,iniusta imperia dominorum non perferunt; vos Quirites, in imperio nati aequo animo servitutem toleratis? At qui sunt ii qui rem publicam occupavere? Homines sceleratissimi,cruentis manibus,immani avaritia,nocentissimi et idem superbissimi.
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Negli scorsi anni vi indignavate in silenzio del fatto che l'erario fosse dilapato, che i re e i popoli liberi pagassero le imposte (solo) a pochi nobili, nelle mani dei quali stessi c'erano i più grandi onori e le maggiori ricchezze; eppure non si sono contentati di aver intrapreso simili delitti impunemente; e così, alla fine, sono state consegnate ai nemici le leggi, la vostra maestà, ogni valore divino ed umano. E coloro che hanno fatto ciò, non si pentono nè si vergognano, ma avanzano pomposi sotto i vostri occhi, ostentando le cariche di sacerdozio e consolato, e alcuni loro trionfi, come se occupassero queste posizioni a titolo d'onore e non per averle rubate. Gli schiavi, acquistati con l'oro, non sopportano l'ingiusto imperio dei padroni; e voi, Quiriti, nati nel diritto di comandare, tollerate con animo rassegnato la servitù? Ma chi sono, questi, che si sono impadroniti della repubblica? Uomini malvagissimi, con le mani cruente, immanemente avidi, scelleratissimi e veramente superbissimi.
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In proelio apud Cannas inter Romanos Poenosque magna Romanorum miltum multitudo occumbit. Parvus superstium numerus per Italiae oppida, sine armis cibique expers, fuga salutem incolumitatemque quaerebat. Hannibal, laetus ob tantam victoriam, sine mora cum copiis appropinquabat. tunc terror Romanos invadit. Etenim intra urbem paucae virgiliae erant et legiones in dissitis ragionibus castra habebant. Tunc Maharbal, Carthaginiensium equitum dux, Hannibali dicit: "Imperator, copias contra hostes mitte et sine dubio Romam expugnabimus".Sed Poenorum imperator Maharbalis verba neglegit: virtutem enim Romanorum timet. Hannibalis cunctatio Carthaginiensibus perniciosa est: variae Fortunae favor victores deserit Quiritiumque populum adiuvat. Consules novas tironum legiones conscribunt et Hannibalis superiores victorias frustrant.
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Nella battaglia vicino a Canne, tra Romani e Cartaginesi, muore una grande quantità di soldati romani. Il piccolo numero di superstiti cercava, senza armi e privo di cibo, la salvezza e l'incolumità con la fuga per le città d'Italia. Annibale felice per la grande vittoria, senza indugio si avvicinò a Roma con le truppe. Allora il terrore invase i Romani. E infatti dentro alla città c'erano poche guardie, e le legioni avevano l'accampamento in luoghi separati. Allora Maharbal, il capitano dei cavalieri di Cartagine, dice ad Annibale: "Generale, manda gli eserciti di fronte ai nemici, senza e dubbio distruggeremo Roma". Ma l'imperatore dei Cartaginesi non tiene in considerazione le parole di Maharbal: infatti teme la virtù dei Romani. L'indugio di Annibale è dannoso per i Cartaginesi: Il favore della fortuna variabile abbandona i vincitori e aiuta il popolo dei Quiriti. I consoli arruolano nuove legioni di giovani soldati e rendono vane le precedenti vittorie di Annibale.
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Quae profecto orta esset - adeo tribuni iam ferocem per se plebem criminando in primores civitatis instigabant -; sed externus timor, maximum concordiae vinculum, quamvis suspectos infensosque inter se iungebat animos. Id modo non conveniebat quod senatus consulesque nusquam alibi spem quam in armis ponebant, plebes omnia quam bellum malebat. Sp. Nautius iam et Sex. Furius consules erant. Eos recensentes legiones, praesidia per muros aliaque in quibus stationes vigiliasque esse placuerat loca distribuentes, multitudo ingens pacem poscentium primum seditioso clamore conterruit, deinde vocare senatum, referre de legatis ad Cn.Marcium mittendis coegit. Acceperunt relationem patres, postquam apparuit labare plebis animos; missique de pace ad Marcium oratores .
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Certamente la qual cosa sarebbe stata – a tal punto ormai i tribuni della plebe accusandosi tra di loro istigavano la plebe feroce contro i nobili della città – ma la paura di un nemico straniero, massimo vincolo di concordia, anche se (erano) sospettosi e ostili tra di loro, univa gli animi. Soltanto su una cosa non convenivano, cioè che il senato e i consolo in nessun altro luogo riponevano una speranza se non nelle armi, i plebei (invece) preferivano tutte le cose alla guerra. Ormai Sp. Nanto e Sesto Furio erano consoli. Mentre passavano in rassegna le legioni, distribuivano gli altri presidi lungo le mura e nei punti in cui avevano stabilito ci fossero dei posti di guardia e delle sentinelle, un’ingente moltitudine che chiedeva la pace prima (li) spaventò con un turbolento clamore, poi (li) costrinse a convocare il senato, a riferire sull'invio di ambasciatori a Marzio. I senatori accettarono la proposta dopo che fu evidente che gli animi della plebe tentennavano e degli oratori furono mandati a Marzio per la pace.
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Te iracundia ardente, officiosus libertus tuus ad me venit et advolutus pedibus meis tam flevit ut meam misericordiam commoveret. Multum rogavit et multum etiam tacuit, denique fecit mihi fidem paenitentiae et adeo fidem ei habeo ut veniam eius delicti a te petam. Ira flagras, scio, et ira flagras merito, id quoque scio; sed nunc magis praecipua est mansuetudo, cum irae causa iustissima sit. Tam servum tuum, olim tibi subiectum, amavisti ut ei libenter libertatem concesseris, ut etiam in fidem clientelamque magno gaudio receperis.Tantum libertum tuum dilexisti ut ne frater quidem Caius tibi pariter familiaris fuerit, et iterum tuum subiectum, spero, amabis. Iniuria remissa, is tibi parebit et imperata faciet maxima fidelitate atque summa observantia; inventa amicitia, longe fidissimus ex libertis erit et unus omnium amicorum optimus. Tam magni eum existimo ut unam rem rogem: recipe libertum tuum in domum et in animum tuum! Vale.
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Tu ardente di ira, il tuo schiavo premuroso venne da me e inginocchiandosi gemette ai miei piedi per sollecitare la mia compassione. Molto disse e molto non fiatò, infine mi giurò di mortificarsi e allora gli ho dato fede fino a domandarti il suo perdono. Tu ardi di ira,lo so, e giustamente ardi di ira, e pure ciò lo so, però adesso è più rilevante la docilità, pur essendo il motivo della tua rabbia molto corretta. Hai adorato molto il tuo liberto, un tempo a te sottomesso, che gradevolmente gli hai dato la libertà, fino a che con immensa felicità lo hai ospitato nella fede e clientela. Hai adorato molto il tuo servo che tuo fratello Caio a te non era ugualmente legato, e spero adorerai alla stessa maniera il tuo sottomesso. Rimosso l'oltraggio, lui si proporrà e farà ciò che comanderai con massima fedeltà e massima riverenza, ritrovata il legame, sarà molto più fedele tra gli schiavi e il migliore di tutti i compagni. Io lo ritengo così grande che ti dico un unica cosa: riporta il tuo schiavo nella dimora e nel tuo spirito. Arrivederci.
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Usque ad Marii aetatem legiones romanae trecentos equites habuerunt ac quaterna milia et ducenos pedites,quorum singula milia et ducenos hastatos,singula milia et ducenos principes,sescenos triarios,singula milia et ducenos velites.Hastati,principes et velites in denos manipulos centenum vicenum hominum divisi erant,triarii in denos manipulos sexagenum hominum.Hastatorum manipuli in prima acie disponebantur paribus intervallis;principum manipuli in secunda,triariorum manipuli in tertia.Ante hanc triplicem aciem disponebantur velitum manipuli,qui,postquam in hostes tela coniecerant,ad terga commilitonum recedebant.Circa pedites disponebantur equitatus alae.Alae in quinas turmas tricenum hominum divisae erant,turmae in ternas decurias denum hominum.
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Sino all'età di Mario le legioni romane possedevano trecento cavalieri e quarantamila e duecento fanti,dei quali avevano milleduecento astati, ciascuna milleduecento capi, seicento soldati veterani, e milleduecento veliti. Gli astati, capi e veliti erano separati in dieci squadriglie di 120 uomini, i triari in dieci squadriglie di 60 uomini. Le squadriglie degli astati erano ordinati in prima falangi in ugual intervalli, le squadriglie dei capi in seconda, in terza le squadriglie dei triari. Prima di codesto triplice battaglione erano collocati le squadriglie dei veliti, che, dopo che avevano gettato i dardi contro i nemici, indietreggiavano alle spalle dei compagni. Di fianco ai fanti erano collocate le file della cavalleria. Le file erano separate in cinque falangi di 30 uomini, le falangi erano separate in tre ordini di dieci uomini ciascuno.
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Seditionem per decem annos Gallicis bellis nullam omnino mouerunt ciuilibus aliquas sed ut celeriter ad officium redierint nec tam indulgentia ducis quam auctoritate. non enim cessit umquam tumultuantibus atque etiam obuiam semper iit; et nonam quidem legionem apud Placentiam quanquam in armis adhuc Pompeius esset totam cum ignominia missam fecit aegreque post multas et supplicis preces nec nisi exacta de sontibus poena restituit.Decimanos autem Romae cum ingentibus minis summoque etiam urbis periculo missionem et praemia flagitantes ardente tunc in Africa bello neque adire cunctatus est quanquam deterrentibus amicis neque dimittere; sed una uoce qua 'Quirites' eos pro militibus appellarat tam facile circumegit et flexit ut ei milites esse confestim responderint et quamuis recusantem ultro in Africam sint secuti; ac sic quoque seditiosissimum quemque et praedae et agri destinati tertia parte multauit.
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I suoi soldati non si opposero mai nel periodo dei dieci anni al tempo della guerra contro i Galli;si ribellarono certe volte in una guerra civile,però tornarono velocemente al loro compito, non tale per clemenza del generale, quanto per il suo potere.Difatti non arretrò mai di fronte ai ribelli però li sfidò di continuo;per esempio,vicino a Piacenza,nonostante Pompeo fosse nuovamente in armi, lasciò in modo vergognoso la nona legione completa a controvoglia,poi a parecchie implorazioni, e non prima di aver castigato i responsabili, la radunò.E anche a Roma,mentre i soldati della decima legione chiedevano il congedo e il compenso con tremende intimidazioni e anche ponendo la città in un grande pericolo,nel medesimo momento in cui la guerra ardeva in Africa,non indugiò a trovarsi dinnanzi a quelli,malgrado gli amici lo sconsigliassero, e a congedarli;però con unico vocabolo,«Quiriti»,al posto di soldati,cambiò il loro temperamento e li calmò tranquillamente,di conseguenza gli replicarono senza indugio che erano soldati e , malgrado la sua negazione,volontariamente lo avrebbero scortato in Africa.In questo modo tolse a ciascuno dei più ribelli un terzo sia del incasso sia della territorio a questi riservato.
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Hoc ipso fere tempore Strato ille medicus domi furtum et caedem eius modi. Cum esset in aedibus armarium in quo sciebat esse nummos et aurum, nocte duos servos dormientes occidit in piscinamque deiecit; ipse armarii fundum secuit et aurum abstulit, uno ex servis puero non grandi conscio. Furto postridie cognito, omnis suspicio in eos servos qui non comparebant commovebatur. Cum exsectio fundi in armario animadverteretur, homines quonam modo fieri potuisset requirebant.Quidam recordatus est se nuper in auctione quadam vidisse ex omni parte dentatam venire serrulam, qua armarium potuisse ita circumsecari viderettur. Ne multa, perquiritur a coactoribus, invenitur ea serrula ad Stratonem prvenisse. Hoc initio suspicionis orto et aperte insimulato Stratone, puer ille conscius pertimuit, rem omnem dominae indicavit; homines in piscina inventi sunt, Strato in vincula coniectus est, atque etiam eius nummi reperiuntur.
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Quasi in questo stesso tempo quel famoso medico Stratone compì un furto in una casa e una strage di tal genere. Poiché in una casa vi era un armadio nel quale sapeva che vi erano delle monete e dell’oro, di notte uccise due servi mentre dormivano e li gettò nella piscina; costui tagliò il fondo dell’armadio e portò via l’oro, con l’aiuto di un bambino non grande tra i servi come complice. Il giorno seguente quando il furto fu scoperto, tutto il sospetto era mosso verso quei servi che non erano presenti. Poiché fu notato nell’armadio lo scasso del fondo, gli uomini ricercavano in quale modo poteva essere accaduto. Un tale ricordò di aver visto di recente in una vendita all’asta che era stata bandita una sega dentata in ogni parte, con la quale sembrava che l’armadio potesse essere stato tagliato in quel modo. Per farla breve ci si informa presso i cassieri dell’asta, si scopre che quella sega era arrivata a Stratone. Poiché nacque questo principio di sospetto e poiché Stratone fu accusato apertamente, quel bambino complice ebbe una grande paura; indicò ogni azione del padrone, furono ritrovati gli uomini nella piscina, Stratone fu rinchiuso in prigione e furono ritrovate anche le monete.
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Cum Aulus Postumius dictator contra Manlium, ducem Tuscolanorum, ad lacum Regillum pugnaret, tradunt etiam Castorem et Pollucem, geminos Iovis Ledaeque filios, visos essse pugnare inter milites Romanos. Cum Furius Camillus dictator Veios cepit, iussit statuam Iunonis Monetae Romam transvehi. Tradunt militem quendam per iocum interrogavisse simulacrum num vellet Romam videre atque statuam respondisse: “Volo”.
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Combattendo il dittatore Aulio Postumio contro Manlio, condottiero dei Tuscolani, presso il lago Regillo, tramandano che anche Castore e Polluce, gemelli figli di Giove e di Leda, furono visti combattere tra i soldati romani. Quando il dittatore Furio Camillo prese Veio, ordinò che la statua di Giunone Moneta fosse trasferita a Roma. Narrano che un soldato per gioco domandò alla statua se volesse vedere Roma e che la statua rispose: “Sì”.
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Interim, quoniam Galli appropinquabant, arx Romae Capitolium in ingenti pericolo fuit. Nam nocte sublustri Galli ascensum temptant expugnaturi arcem, atque tanto silentio in summum montem perveniunt, ut non solum custodes arcis sed etiam canes, animalia sollecita ad nocturnos strepitus, non audiverint hostes venientes. In Capitolio autem anseres Iunoni sacrae alebantur: iam Galli capturi erant arcem, cum T. Manlius, vir bello egregius, clangore anserum strepituque exitatus,statim arma arripuit et dum omnem iuventutem ad arma vocat, de summa arce Gallos deiecit.Romani iuvenes, exemplo Manlii permoti, telis, saxis missilibusque hostes proturbabant ac tota Gallorum acies in praeceps ruit.
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Intanto la rocca del Campidoglio da Roma fu in grave pericolo,dato che i Galli si avvicinavano. Infatti con il chiarore della notte i Galli tentano la scalata per espugnare la rocca, e giungono sulla cima del colle in un così grande silenzio,tanto da non sentire i nemici non solo i custodi della rocca ma anche i cani, animali attenti ai rumori notturni. Ma nel Campidoglio erano allevate le oche sacre a Giunone: ormai i Galli stavano per impadronirsi della rocca,quando T. Manlio, uomo di provato valore in guerra, svegliato dallo starnazzare e strepito delle oche ,subito afferrò le armi e mentre chiama alle armi tutta la gioventù,dalla cima della rocca fece cadere i Galli. I giovani Romani, spinti dall’esempio di Manlio scacciavano con lance, pietre e armi da getto i nemici e tutto l’esercito dei Galli fu precipitato dalla rocca.
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Achivis fuit responsum, qui primus litora Troianorum attigisset periturum, cum Achiui classes applicuissent, ceteris cunctantibus Iolaus Iphicli et Diomedeae filius primus e naui prosiluit, qui ab Hectore confestim est interfectus; quem cuncti appellarunt Protesilaum, quoniam primus ex omnibus perierat. Quod uxor Laodamia Acasti filia cum audisset eum perisse, flens petit a diis ut sibi cum eo tres horas colloqui liceret. quo impetrato a Mercurio reductus tres horas cum eo collocuta est; quod iterum cum obisset Protesilaus, dolorem pati non potuit Laodamia.
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Venne profetizzato agli Achei che il primo a mettere piede sulla spiaggia di Troia vi avrebbe perso la vita, sicché una volta gettata l’ancora tutti esitavano; allora Iolao, figlio di Ificlo e Diomeda, saltò a terra per primo e venne subito ucciso da Ettore: perciò lo chiamarono Protesilao, perché era stato il primo tra tutti a morire. Quando sua moglie Laodamia, figlia di Acasto, venne a sapere che il marito era morto, supplicò piangendo gli Dèi di concederle un colloquio di tre ore con lui. La preghiera di Laodamia fu esaudita: Protesilao le fu riportato da Mercurio e per tre ore ella s’intrattenne con lui, ma quando poi morì per la seconda volta, Laodamia non resse al dolore.
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Daphidas praedicabat nihil sua interesse utrum. Dei essent necne.Se quidem laudibus extollebat ut virum au¬dacis sententiae, atque civium et Deorum contemptorem. Olìm igitur Delphos se contulit acque Apollinem ìrridendi causa consuluit an equum invenire posset, cum omnino nullum haberet. His verbìs editis, risìt quia nihil eius intererat equos habere. Ex oracolo autem reddita vox est eum ìnventurum esse equum, sed ut, eo deiectus periret. Risit iterum Daphìdas.Reversus est domum iocans in deos cum amicis. Iter faciens incidit in Attàlum lacessitum saepissime a se contumeliosis verbis eiosque iusso deiectus est saxo, cui nomen erat Equus. Poenas igìtur solvìt iusto supplicìo. Docuit homines quantum semper interesset venerari doos, Cultus et veneratìo deorum non modo pueros ac feminas, sed etiam viros doctos decet.
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Dafida diceva che non gli interessava per niente se gli dei esistessero o no. Elogiava ed esaltava se stesso come un uomo di opinioni coraggiose, disprezzatore dei cittadini e degli dei. Una volta quindi si diresse a Delfi e consultò Apollo, per scherzare, se avrebbe potuto trovare un cavallo,non avendone nessuno. Affermate codeste parole, rise siccome non gli interessava per niente possedere dei cavalli. Però dall'oracolo fu ripetuto a voce che quello avrebbe trovato un cavallo, però che sarebbe morto colpito da quello. Dafida rise una seconda volta. Ritornò a casa deridendo gli dei con i compagni. Durante il percorso incontra Attalo che aveva sfidato parecchie volte con parole oltraggiose e fu obbligato a gettarsi dalla rupe, il cui nome era Cavallo. Quindi espiò con codesto supplizio le colpe. Gli uomini imparano quanto sempre è importante celebrare gli dei. Il culto e la venerazione degli dei convengono sia ai bambini sia alle donne ma anche agli uomini dotti.
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Romanus senatus, quia in urbe gravis pestilentia saeviebat, oraculi monitu, decem legatos cum Quinto Ogulnio principe, ad Aesculapii templum in Greciam miserunt ut dei effigiem in Italiam deportarent et finem rebus adversis facerent. In templo apud Epidaurum urbem ingens simulacrum Aesculapii erat, mirae speciei. Cum legati Romanorum in templum intraverunt, ad simulacrum dei anguis, venerabilis potius quam horribilis speciei, venit et postea cum simulacro in navem ascendit et apud tabernaculum Ogulnii stetit.Ut navis ad Tiberim pervenit, anguis in proximam Tiberinam insulam desiluit et ibi per multos dies immobilis iacuit. Cum aedem senatus Romanus Aesculapio dedicavisset, pestilentis perniciei exitus fuit.
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Il senato romano, siccome in città una grave pestilenza infuriava, per presagio dell'oracolo, inviarono dieci legati con il capo Ogulnio, al tempio di Esculapio in Grecia per trasportare la rappresentazione del dio in Italia e mettere fine alle disgrazie. Nel tempio presso la città di Epidauro c’era una enorme statua di Esculapio di sublime forma. Mentre i legati romani accedettero nel tempio, venne un serpente al simulacro del dio, più venerabile che di terribile aspetto, e poi salì con la statua sulla nave nel tabernacolo di Ogulnio. Quando la nave arrivò al Tevere, il serpente scese sulla vicina isola tiberina e qua per parecchi giorni stette immobile. Poiché il senato romano dedicò a Esculapio un tempio, ci fu la fine della pestilenza disastrosa.
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C. Sulpicio Petico C. Licinio Stolone consulibus pestilentia fuit. Eo nihil dignum memoria actum, nisi quod pacis deum exposcendae causa tertio tum post conditam urbem lectisternium fuit. Et cum vis morbi nec humanis consiliis nec ope divina levaretur, victis superstitione animis ludi quoque scenici, nova res bellicoso populo - nam circi modo spectaculum fuerat - inter alia caelestis irae placamina instituti dicuntur; ceterum parva quoque, ut ferme principia omnia, et ea ipsa peregrina res fuit.Sine carmine ullo, sine imitandorum carminum actu ludiones ex Etruria acciti, ad tibicinis modos saltantes, haud indecoros motus more Tusco dabant. Imitari deinde eos iuventus, simul inconditis inter se iocularia fundentes versibus, coepere; nec absoni a voce motus erant. Accepta itaque res saepiusque usurpando excitata. Vernaculis artificibus, quia ister Tusco verbo ludio vocabatur, nomen histrionibus inditum; qui non, sicut ante, Fescennino versu similem incompositum temere ac rudem alternis iaciebant sed impletas modis saturas descripto iam ad tibicinem cantu motuque congruenti peragebant.
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Durante il consolato di Caio Sulpico Petico e di Caio Licinio Stolone ci fu una pestilenza. In quell'anno non accadde nulla di significativo (lett. degno di memoria), se non che per implorare la pace degli dei, per la terza volta dopo la fondazione di Roma, ci fu un lettisternio. E poiché la violenza dell’epidemia non era placata né dalle iniziative umane né dalla potenza divina, vinti gli animi dalla superstizione, si dice che anche i ludi scenici - cosa nuova per un popolo bellicoso, infatti fino allora c’erano stati solo spettacoli circensi (lett. di tipo circense) - furono introdotti tra gli altri mezzi per placare l'ira divina; tuttavia quella stessa cosa apparve straniera e anche modesta, come quasi tutte le cose all’inizio (lett. come tutti gli inizi). Senza alcun testo poetico, senza gesti per imitare canti, attori fatti venire dall'Etruria, ballando al ritmo del flauto danzavano al modo degli Etruschi non senza grazia. I giovani quindi cominciarono ad imitarli, scambiandosi battute fra loro insieme a versi di rozza fattura; e i movimenti non erano discordanti con la voce. Pertanto la cosa fu accettata e utilizzandola molto spesso divenne abituale. Agli attori professionisti nati a Roma venne dato il nome di istrioni, da ister che in lingua etrusca vuol dire attore. Essi non si scambiavano più, come un tempo, versi rozzi e improvvisati simili al Fescennino, ma rappresentavano satire ricche di vari metri, eseguendo melodie scritte ora per l'accompagnamento del flauto e compiendo gesti appropriati.
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Est apud Cimmerios in cavo monte atra spelunca,sedes et penetralia ignavi Somni. Ibi numquam cum radiis suis sol intrat, quod nebulae caligine mixtae exhalantur humo. Ibi non alites cristati canunt, nec canes solliciti vel anseres voce silentia rumpunt; non fera, non pecudes, non rami flemine moti, non linguae humanae convicia reddunt sonum. Muta quies loca habitat. Tamen a saxo fluit rivus Lethe cuius undae murmure somnos invitant. Ante fores antri fecunda papavera florent innumeraeque herbae.Aedibus nulla ianua est, nullus in limine custos. At in medio antro est torus eburneus, plumeus, pullo velamine tectus, quocubat deus Sommus.
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Vi è una scura caverna presso i cimmerii in un cavo monte, sede e santuario del pigro sonno. Lì il sole non entra mai con i suoi raggi, poiché una mescolanza di nebbia è esalata dal vapore terrena. Lì gli uccelli crestati non catturano, né inquieti o le oche rompono i silenzi con la voce; non la belva, non le bestie non i rami mossi dalla brezza, noi i gridi della lingua umana danno suono. La quiete silenzioso abita il luogo. Tuttavia dalla roccia scorre il fiume Lete le cui onde invitano col mormorio. Davanti all’ingresso della caverna fioriscono fecondi papaveri e numerosi erbe. Nella casa non c’è nessuna porta, nessun difensore all’ingresso. E in mezzo all’antro c’è un toro d’avorio, di piume, coperto da un velo nero, dove dorme il Dio Sonno.
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Quattuor hinc rapimur viginti et milia raedis mansuri oppidulo quod versu dicere non est signis perfacile est: venit vilissima rerum hic aqua sed panis longe pulcherrimus ultra callidus ut soleat umeris portare viator. nam Canusi lapidosus aquae non ditior urna: qui locus a forti Diomede est conditus olim. flentibus hinc Varius discedit maestus amicis. inde Rubos fessi pervenimus utpote longum carpentes iter et factum corruptius imbri. postera tempestas melior via peior ad usque Bari moenia piscosi.
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Da qui siamo velocemente trasportati con la carrozza per 24 miglia, intenzionati a pernottare in una cittadina il cui nome non è possibile far entrare nel verso, che è facilissimo riconoscere da questi indizi: vi si vende perfino un’acqua cattivissima, ma in compenso il pane è di gran lunga famoso, tanto che il viaggiatore esperto è solito portarne via sulle spalle per proseguire il viaggio. Infatti a Canosa è duro come un sasso e non è più ricca di un’urna d’acqua: e questo luogo una volta fu fondato dal forte Diomede. Da questo luogo il Vario sgorga tranquillo, mentre gli amici piangono. Da qui giungiamo stanchi a Rubo poiché avevamo percorso un lungo viaggio e reso ancor peggiore dalla pioggia. Il tempo seguente fu migliore, ma la strada peggiore fino alle mura della pescosa Bari
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Epistulas ad me perferendas tradidisti, ut scribis, amico tuo: deinde admones me ne omnia cum eo ad te pertinentia communicem, quia non soleas ne ipse quidem id facere; ita eadem epistula illum et dixisti amicum et negasti. Si aliquem amicum existimas cui non tantundem credis quantum tibi, vehementer erras. Tu vero omnia cum amico delibera, sed de ipso prius: post amicitiam credendum est, ante amicitiam iudicandum. Diu cogita an tibi in amicitiam aliquis recipiendus sit.Deinde toto illum pectore admitte; tam audaciter cum illo loquere quam tecum. Tu quidem ita vive ut nihil tibi committas nisi quod committere etiam inimico tuo possis; sed quia interveniunt quaedam quae consuetudo fecit arcana, cum amico omnes curas, omnes cogitationes tuas misce. Fidelem si putaveris, facies; nam quidam fallere docuerunt dum timent falli, et illi ius peccandi suspicando fecerunt.
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Come mi scrivi, hai dato a un tuo amico delle lettere da consegnarmi; poi però mi inviti a non discutere con lui di tutto quello che ti riguarda, poiché tu stesso non sei solito farlo; così nella stessa lettera hai affermato e poi negato che quello è tuo amico. Se consideri amico qualcuno di cui non ti fidi tanto quanto di te stesso, sbagli sommamente. Tu certo decidi tutto con l’amico, ma prima decidi di lui stesso; dopo è necessario credere nell’amicizia, ma prima bisogna valutarla. Pensa a lungo se è il caso che tu accolga qualcuno in amicizia. Poi accettalo con tutto il cuore; parla tanto apertamente con lui quanto con te stesso. Tu certamente vivi così da non confidare niente a te che tu non possa confidare anche ad un tuo nemico; ma poichè avvengono cose che è abitudine tenere nascoste, condividi con l’amico tutti gli affanni, tutti i pensieri. Se lo avrai giudicato fidato, lo renderai anche tale. Infatti alcuni (uomini) insegnano a ingannare mentre temono di essere ingannati, e loro stessi, sospettando, autorizzano ad agire disonestamente.
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Tunc influunt turbae sacris divinis initiatae,viri feminaeque omnis dignitatis et omnis aetatis,linteae vestis candore puro luminosi,mulieres limpido tegmine obvolutae,viri tonsis capillis funditus verticem praenitentes,qui aereis et argenteis,immo vero aureis etiam sistris arguntum tinnitum constrepebant.Succedebant sacerdotes sacrorum mysterium tales, qui potentissimorum deum gererent insignes exuvias.Quorum primus lucernam claro praemicantem porrigebat lumine non adeo nostris illis consimilem,quae vespertinas illuminant epulas,sed aureum cymbium flammulam suscitans largiorem.Secundus similem vestitum induebat, sed manibus ambabus gerebat altaria,quae auxilia dicebantur,quia nomen iis deae auxiliatrix providentia dedisset.Procedebat tertius sacerdos cum palma auro subtiliter foliata et cum Mercuriali caduceo.Quartus gerebat aureum vasculum in modum paillae rutundatum,de quo lac libabat.Quintus auream vannum laureis congestam ramulis,sextus portabat amphoram.
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Alla fine marciarono le file dei seguaci riguardo i sacri misteri, uomini e donne di ogni ceto e di qualsiasi le età, splendenti nei loro abiti immacolati di puro lino, le donne coi capelli fragranti e velati da un telo trasparente, gli uomini con il capo lucido, del tutto pelato, a simboleggiare che erano i corpi celesti della terra di quella enorme processione; in aggiunta dai campanelli di bronzo, d'argento e anche d'oro, producevano uno stridulo tintinnio. Stavano dietro poi gli esecutori della religione, i maggiori sacerdoti, nelle loro bianche, strette toghe di lino, attillate alla vita e lunghe sino ai piedi, aventi gli importanti rappresentazioni della potente divinità. Il primo di loro sosteneva una lanterna che riproduceva una luce piuttosto chiara,ma non di quelle che utilizziamo noi, la sera, sui nostri banchetti, però a forma di barchetta, e ricoperte d'oro, dal quale ampio buco emanava una fiamma ben più immensa. Il secondo era vestito alla medesima maniera però sosteneva con entrambe le mani degli altarini, i detti aiuti, a simboleggiare la provvidenza ausiliatrice della onnipotente dea; il terzo reggeva un ramo di palma perfettamente lavorato in oro e il rame di Mercurio, il quarto portava un recipiente d'oro, curvo come una mammella, dal quale beveva latte, un quinto recava un setaccio d'oro pieno di rametti pure questi d'oro e un sesto un vaso
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Caesar milites suos pari severitate atque indulgentia tractabat. Delicta eorum neque observabat omnia neque pro modo exsequebatur,sed, desertorum ac seditiosorum et inquisitor et punitor acerrimus conivebat in cateris. Nec pro contione milites eos appellabat, sed blandiore nomine ‘commilitones’ habebatque tam bene coltos, ut eos armis politis argenta et auro ornaret. Eos diligebat adeo ut postquam audivit cladis Titurianae nuntium, barbam capillumque summiserit nec denpserit ante quam vindicasset.
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Cesare trattava I suoi soldati con uguale severità e indulgenza. E non teneva conto di tutte le loro mancanze e non puniva allo stesso modo, ma l’acerrimo inquisitore e punitore dei desertori e dei seditiosi, la sciava correre nelle altre cose. E nei suoi discorsi non li chiamava soldati, ma con un nome più lusinghiero "commilitoni" e voleva così ben equipaggiati, che li ornava di armi abbellita con argento e oro. Li amava al punto che dopo che sentì la notizia della disfatta di Titurio, si lasciò crescere la barba e i capelli e non li taglio prima che si vendicasse.
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Saepe desideria nostra vana sunt, sicut Aesopi, poetae Graeci, fabella de vulpecula et uva narrat. Parva vulpecula procul pallidam uvam in vinea spectabat et tumidos acinos raptare et vorare avebat. Ad vineam caute et tacite accedit et proximos racemos captare temptat. Sed frustra salit: nam vinea alta est et racemi ex ultimis ramis pendent. Iterum atque iterum salit misera vulpecula sed uvam, desiderium gulae suae, non attigit. Tunc e loco maesta decedit et exclamat: "Uva nondum matura est; nolo acerbam sumere".
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Molte volte i nostri desideri sono vani,come Esopo, poeta dei Greci, racconta nella favola della volpe e l'uva. Una volpe piccola guardava la bianca uva nel vigneto e bramava prendere e divorare un piccolo grappolo. Si accosta in modo cauto e silenzioso al vigneto e cerca di prendere un grappolo vicino. Però sale inutilmente: difatti l’uva è alta e i grappoli pendono dai ramoscelli più distanti. La misera volpe sale una seconda e terza volta però non tocca l'uva, brama della sua gola. Così scontenta se ne va dal posto ed afferma: "L'uva non è ancora matura, non voglio mangiarla acerba.”
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De artificiis talis est mea opinio: primum inmprobantur artes portitorum et feneratorum, quae omnes alias superant odio hominum. Illiberalia autem et sordida sunt munera mercennariorum omnium, quia operas suas, non artes vendunt; illis enim merces est auctoramentum servitutis. Sordidi animi etiam sunt homines cum emunt apud mercatores mercem quam statim magno lucro vendunt; multum enim lucrum faciunt ob mendacium. Opificesque omnes vilis animi sunt et in sordida arte vivunt; nec enim quicquam ingenuum habet officina.Tales enim artes non probamus, quia eas voluptatum ministras putavimus; "Cetarii, lanii, coqui, fartores, piscatores", ut dicit Terentius; adde etiam unguentarius, saltatores, totumque ludum talarium. Prudentia autem et non mediocris utilitas sunt in artificiis medicinae et architecturae. Mercatura contra, si tenuis est, sordida est ; sin magna et copiosa et sine fraude, quoniam multa undique apportat multisque sine vanitate impertit, non est admodum vituperabilis.
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La mia opinione sulle professioni è la seguente: in primo luogo sono riprovevoli i mestieri di esattori e di usurai, che superano tutti gli altri per l’odi degli uomini. Indecorosi e spregevoli sono i guadagni di tutti i mercenari, poiché vendono le loro prestazioni, non la loro arte; per loro infatti il salario è la paga della servitù. Spregevoli sono anche gli uomini che comprano la merce dai mercanti e subito la rivendono con grande profitto; guadagnano molto grazie all'inganno. Tutti gli artigiani sono vili e vivono di uno spregevole mestiere; infatti una bottega non possiede alcuna nobiltà. Non apprezziamo questi mestieri perchè li riteniamo schiavi dei piaceri: "pescivendoli, macellai, cuochi, pollicoltori, pescatori" come dice Terenzio; aggiungici anche i profumieri, i ballerini e tutti (quei mestieri che donano) spettacoli poco decenti. Invece saggezza e non mediocre utilità sono presenti nei mestieri della medicina e dell'architettura. Il commercio invece, se è precario è vergognoso; se invece è grande, abbondante e senza frode non è affatto deplorevole perchè si importano merci da ogni dove e si distribuiscono a molti senza falsità.
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Cum regnaret rex Evander, Hercules rapuit in Hiberia Gerionis armentum et cum illo in Latium pervenit.Ibi, in ipsis locis circum Tiberim sedem suam constituit, ut ex longo itinere se recrearet et comites suos. Illo tempore Latium vastabat latro Cacus, Vulcani filius, ingentis corporis et magnarum virium homo: iste Latinorum agros infestabat et armenta eorum rapiebat, in antro Aventini montis domicilium habebat et illuc suam praedam adducebat.Cum mirum armentum Herculis adfectaret, noctu, dum dominus dormit, boves eius subduxit et, ne vestigiis furtum deprehenderut, caudis in antrum suum iuvencas pertraxit.Hercules autem, dum per ea loca errat ut armentum quaereret, mugitus earum audivit et sic fraudem ipsam latronis cognovit.Tunc in speluncam venit et latronem illum clava sua necavit. Cum ita Latinorum ragionem Hercules tanto malo liberavisset, rex Evender ei aram consecravit.
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Durante il regno del re Evandro, in Iberia Ercole rapì la mandria di Gerione e con essa giunse fino nel Lazio.Qui, negli stessi luoghi in prossimità del Tevere, insieme ai suoi compagni, si fermò, in modo da potersi riposare dopo il lungo viaggio. In quel tempo, il brigante Caco, figlio di Vulcano, uomo dall’enorme corpo e di grande forza, era solito depredare il Lazio: egli saccheggiava i campi dei Latini e rubava i loro armenti, abitava nella caverna del monte Aventino ed è qui che nascondeva le sue prede.Avendo visto la bellissima mandria di Ercole, di notte, mentre il padrone dormiva, gli portò via i buoi e affinché non fossero scoperte le tracce del furto, con violenza condusse [tirandole] per la coda nella sua caverna le giovencheMentre errava per quei luoghi alla ricerca della mandria, Ercole sentì i muggiti e così riconobbe quello che il brigante gli aveva rubato. Allora entrò nella grotta e con la sua clava uccise il ladro. Poiché Ercole aveva liberato la regione del Lazio da tanto male, il re Evandro gli consacrò un altare.
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Multum rei publicae profuit domi bellique m. porcius cato. Huic homini in omnibus rebus acre ingenium singularisque industria ac diligentia interant: nam et agricola sollers et peritus iuris consultus et magnus imperator et probabilis orator et cupidissimus litterarum fuit. Adulescens bello punico secundo, proelio apud senam, quo cecidit hasdrubal, frater hannibalis, interfuit. In hac pugna eius opera magni existimata est. Consul ex hispania triumphum deportavit.P. cornelius scipio africanus, qui tunc principatum in civitate obtinebat , eum de provincia depellere et ipse ei succedere cupivit, neque hoc per senatum efficere potuit, quod illis temporibus non potentia, sed iure res publica administrabatur. Catonis animi asperitas et integritas vitae praecipuecollaudatae sunt. Censor cum L. Valerio Flacco - cum eodem consulatum gesserat - creatus, severe praefuit ei potestati: nam mores corruptos civium suorum correxit, luxuriae ac sumptui obfuit. Usque ad extremam aetatem rei publicae causa suscipere inimicitias non destitit; a pluribus accusatus, semper omni crimine liberatus est. Constat eundem ab adulescentia orationes confecisse, senem libros historiarum scripsisse, qui <<origines>> inscribuntur: in iis res gestas populi romani narravit, bellorum duces non nominavit.
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Molto giovò allo Stato Marco Porcio Catone. In quest'uomo in tutte le cose vi erano acuto ingegno e una singolare energia e diligenza: fu infatti agricoltore alacre ed esperto giureconsulto, bravo capitano e appassionato cultore delle lettere. Da giovane partecipò alla seconda guerra punica, alla battaglia di Senigallia, dove cadde Asdrubale, fratello di Annibale. In questa battaglia fu molto aprezzato il suo contributo. Quand'era console riportò un trionfo dalla Spagna. Publio Cornelio Scipione l'Africano, che allora teneva il primo posto tra i cittadini, volle cacciarlo dalla provincia e subentrargli lui stesso, ma non potè ottenere questo a causa del senato, poichè in quel tempo lo Stato veniva governato non sulla base del potere personale, ma della giustizia. Fatto censore insieme con Lucio Valerio Flacco con il cui aveva esercitato il consolato svolse con severità questo suo mandato: corresse infatti i costumi corrotti dei suoi concittadini, si oppose al lusso e alla lussuria. Ad essere lodate furono in particolare la severita dell'animo e l'integrita della vita di Catone. Fino ad età avanzata non smise mai di procurarsi inimicizie per la causa dello Stato; citato in giudizio da molti, fu sempre liberato da ogni capo d'accusa. E' noto che lo stesso, fin dalla giovinezza, abbia composto discorsi, da vecchio abbia scritto libri di storie, intitolati "Origines": in essi racconto le imprese del popolo romano ,ma non fece mai i nomi dei generali delle guerre.
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Nec vero tantum armis et in campo, sed consiliis quoque et intra urbem cum rege Pyrrho dimicatum est. Quippe post primam victoriam intellecta vir callidus virtute Romana statim desperavit armis seque ad dolos vertit.Nam interemptos cremavit, captivosque indulgenter habuit et sine pretio restituit, missisque legatis in urbem omni modo adnixus est se facto foedere in amicitiam recipi.Sed et bello et pace et foris et domi omnem in partem Romana virtus tum se adprobavit, et Tarentina victoria ostendit populi Romani fortitudinem, senatus sapientiam, ducum magnanimitatem.Omnium virorum vulnera in pectore, multi hostibus suis morte sua commortui, omnium in manibus enses, et relictae in vultibus minae, et in ipsa morte ira vivebat.Quod adeo Pyrrhus miratus est ut diceret: "O quam facile erat orbis imperium occupare, aut mihi Romanis militibus, aut me rege Romanis".
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In verità, si combatté con il re Pirro non tanto con le armi e sul campo, ma anche con decisioni e in patria. Subito dopo la prima vittoria l'uomo astuto disperò delle armi, compresa la virtù romana, e si diede all'inganno. Infatti, bruciò i cadaveri, ebbe indulgenza dei prigionieri e li restituì senza riscatto, e mandati degli ambasciatori in città si sforzò in ogni modo affinché, stretto un accordo, fosse ricevuto in amicizia. Ma sia in guerra sia in pace, sia fuori sia in patria in ogni parte gli piacque la forza romana, e nessun'altra vittoria grande come quella di Taranto mostrò la forza del popolo romano, la saggezza del Senato, la magnanimità dei comandanti. Le ferite di tutti (erano) nel petto, molti (erano) morti con i loro nemici, la spada (era) nelle mani di tutti, e le minacce (erano) rimaste sui volti e l'ira viveva nella morte stessa. Pirro si meravigliò a tal punto di ciò che disse: "Oh quanto sarebbe stato facile occupare il governo del mondo, o per me con i soldati romani, o per i Romani con me re".
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Dictator contra Veientanos, qui rebellaverant, a senatu missus est Furius Camillus. Is primum Veientanos in acie vicit, deinde etiam eorum civitatem cepit. Veiis captis, cepit etiam Faliscos, non minus nobilem civitatem. Sed contra Camillum commota est acris invidia, quod praedam iniuste diviserat et, ob eam causam damnatus, civitate expulsus est. Postea Galli Senones ad Urbem accesserunt et, Romanorum exercitu apud flumen Alliam profligato, Romam occupaverunt praeter Capitolium.Tum Camillus, qui in vicina civitate exsulabat, civibus suis auxilium tulit et, Gallis devictis, Romam liberavit atque in patriam victor rediit.
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Il dittatore Furio Camillo fu mandato dal senato contro i Veientani, che si erano ribellati. Egli vinse prima i Veientani sul campo, poi prese anche la loro città. Presa Veio, prese anche Falisco, città non meno nobile. Ma contro Camillo sorse un'aspra invidia, poiché aveva diviso ingiustamente il bottino e condannato per tale motivo, fu espulso dalla città. Poi i Galli Senoni si avvicinarono alla Città (Roma) e, sconfitto l'esercito dei Romani presso il fiume Allia, occuparono Roma tranne il Campidoglio. Allora Camillo, che era in esilio nella città vicina, portò aiuto ai suoi cittadini e, sconfitti i Galli, liberò Roma e tornò vincitore in patria.
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Clarissimus poeta et turpissimus scurra apud tyrannum vivebant. Scurra, tam ignobilis quam impudens locupletissimus et superbissimus erat, quia suae facetiae gratissimae tyranno erant, qui dabat magnas divitias. Poeta autem non minus sapiens quam modestus erat, sed tyrannus carmina non amabat. Olim scurra poetae: “Cur – inquit – tu, sapientissimus omnium poetarum, tam pauper es? Quomodo fieri potest ut ego, stultior et indoctior, locupetior sim?”.Poetae scurrae: “Cum invenerimus – respondit – dominum praestantiorem atque elegantiorem, carmina amantem et facetias contemnentem, tum ego locupetior ero, tu autem pauperior”.
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Un famosissimo poeta e un osceno buffone vivevano presso un tiranno. Il buffone, tanto ignobile quanto impudente, era molto ricco e molto arrogante, perché le sue burle erano molto gradite al tiranno, che gli dava grandi ricchezze. Il poeta invece era non meno saggio che modesto, ma il tiranno non amava le poesie. Una volta il buffone al poeta: “Perché – disse – tu, il più saggio di tutti i poeti, sei tanto povero? Come può accadere che io, più stolto e ignorante, sia più ricco?”. Il poeta al buffone: “Quando avremo trovato – rispose – un padrone migliore e più raffinato, che ama le poesie e che disprezza gli scherzi, allora io sarò più ricco, tu invece più povero”.
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Caesar cum hoc proelium commisisset, reliquas copias helvetiorum ut premere posset, pontem in arare aedificat atque ita exercitum traducit. Helvetii, repentino eius adventu cum essent attoniti, legatos ad eum mittunt; cuius legationis divico princeps fuit, qui bello cassiano dux helvetiorum fuerat. Is ita cum caesare egit: " Si pacem populus Romanus cum Helvetiis faciet, in eam partem venient atque ibi erunt Helvetii ubi eos Caesar constituit atque esset iussit; si autem bello vexare perseverabunt memores sint et veteris incommodi populi Romani et pristinae virtutis Helvetiorum".Quibus verbis caesar respondit deos immortales consuescere concedere res secundiores Romanis eorumque sociis atque se diviconis condiciones superbas accipere non posse. Itaque Divico, cum Caesarem numquam de pace acturum esse intellegeret, minaci vultu discessit atque in sua castra revenit.
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Cesare, avendo incominciato questa battaglia, per poter inseguire le truppe rimanenti degli Elvezi, costruisce un ponte sull' arari e così fa passare l'esercito. Gli Elvezi, sorpresi per la sua veloce venuta, inviano da lui ambasciatori, capo di questa ambasceria fu Divicone, che fu generale degli Elvezi nella guerra contro Cassio. Così lui si rivolse a Cesare: se il popolo romano farà la pace con gli elvezi, andranno da quella parte e gli elvezi staranno ove Cesare li collocò e ordinò di stare, ma se continueranno a devastare con la guerra, siano memori sia del antico incomodo del popolo romano sia dell' antica virtù degli Elvezi. A queste parole Cesare reclamò che gli dei immortali sono soliti concedere circostanze più favorevoli ai Romani e ai loro soci e che non poteva acconsentire le condizioni arroganti di Divicone. Allora Divicone, dopo aver compreso che Cesare non avrebbe mai trattato riguardo la pace, se ne andò con viso ostile e rientrò nel suo accampamento.
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Xerxes, tertio anno imperii sui, fecit grande convivium cunctis principibus et fortissimis Persarum et Medorum inclytis et praefectis provinciarum coram se, ut ostenderet divitias gloriae regni sui ac magnitudinem potentiae suae multo tempore, centum videcilet et octoginta diebus. Post hoc convivium invitavit omnem populum qui inventus est Suis, a maximo usque ad minimum.Et fuit convivium septem diebus in vestibulo horti et nemoris,quod regio cultu consitum erat.Et pendebant ex omni parte tentoria aerii coloris et carbasini ac hyacinthini, ustentata funibus byssinis atque purpureis, qui eburneis circulis inserti erant et columnis marmoreis fulciebantur. Lectuli quoque aurei et argentei, super pavimentum smaragdino et pario stratum lapide, dispositi erant.
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Serse, nel terzo anno del suo dominio, fece un enorme pranzo con tutti i capi e i più vigorosi dei persiani e dei medi e i prefetti delle paesi alla sua presente, per presentare le fortune della fama della sua autorità e la estensione della sua importanza in parecchio tempo, quasi 180 giorni. Poi tale pranzo chiamò tutto la popolazione che venne rinvenuto da lui, dal più adulto al più piccolo. E fu un pranzo di sette giorni nel ingresso dell'orto e del bosco, che era seguito dal devozione regio. E penzolavano da ogni parte tende di vari colori e di lino e giacinti, mantenuti da funi di lino e rossi, che erano infilati in avorio circoli e scintillavano colonne di marmo. I lettucci di oro e argento erano sistemati su un pavimento rubino e rivestito di marmo di Paro.
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Trasybulus, cum Phylen confugisset, quod est castellum in Attica munitissimum, triginta solum de suis secum habuit. Ideo contemptus est a tyrannis, qui suis viribus copiisque valde confidebant. Quae res et tyrannis perniciei, et Trasybulo eiusque comitibus saluti fuit: etenim illos segnes ad persequendum Trasybulum fecit, his autem tempus ad comporandum dedit, ita ut facilius patriae oppressae succurrere potuierit. Hinc Trasybulus Munichiam transiit et urbis minitioni providit.Hanc bis tyranni oppugnare sunt adorti, et ab eo turpiter repulsi, saluti suae consulentes, Athenas refugerunt. Trasybulus autem suos irae temperare iussit, et cedentes violari vetuit: cives enim civibus parcere aequum censebat. Postea Trasybulus omnes cives liberavit, ac pro tantis meritis corona populo donatus est. Neque ei a bullo invidebatur, quod illo honore amor civium et non vis eum donaverat.
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Trasibulo, quando si rifugiò a File, che è il demo più sicuro in Attica, aveva con se soltanto trenta dei suoi uomini. Perciò fu affrontato dai tiranni, che contavano molto sulle proprie forze e sulle loro truppe. E questa cosa fu la rovina per i tiranni e fu la salvezza per Trasibulo e i suoi compagni; e infatti rese quelli deboli nel punire Trasibulo, invece diede tempo a costui di prepararsi, così che potevano soccorrere più facilmente la patria oppressa. Da quel luogo Trasibulo andò a Munichia e si profuse nel lavoro di fortificazione della città. Due volte i tiranni tentarono di attaccare questa, e vergognosamente respinti da questa, curandosi della loro salvezza si rifugiarono ad Atene. Trasibulo, però, ordinò ai suoi uomini di trattenere l’indignazione e proibì di colpire coloro che si arrendevano: infatti riteneva giusto che dei cittadini risparmiassero altri cittadini. In seguito Trasibulo liberò tutti i cittadini e per così tanti meriti gli fu donata una corona dal popolo. Ed egli non fu invidiato da nessuno poiché l’amore dei cittadini e non la forza gli donarono quell’onore.
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Cassandram regis Priami filia ideoque Paridis et Hectoris soror erat. Narrant eam ab Apolline adamatam esse et eius amorem recusavisse. Qua re poenam singularem acerbumque privilegium a deo irato eam accepisse constat: instinctu divino afflatuque vera auguria rerum futurarum praedicabat, sed nullus homo eius vaticiniis fidem habebat. Ita vero, quamquam troianis infelix virgo denuntiabat patriae perniciem iam proximama esse, nullam fidem cives ei tribuebant, sed in magna spe rant se a bello discessuros esse victores.Postquam Graeci urbem Troiam dolo expugnaverunt, Cassandra in aedem Palladis confugit, sed Aiax, Oilei filius, nullo deorum metu deterritus, eam e sacro templo supplicem traxit sociisque ut praedam belli tradidit. Notum est huius scelestae nefriaeque rei Aiacem postea poenam solvisse quod di vetuerant illum in patriam reditum facere posse. Apud Euboeam insulam eius navem ad scopulos impegerunt et vir, obrotus fluctibus, vitam amisit.
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Cassandra era figlia del re Priamo e quindi sorella di Paride e Ettore.Si narra che lei sia stata amata da Apollo e che abbia rifiutato il suo amore.Per tale ragione è noto che lei dal dio irato ricevette una pena singolare e un privilegio acerbo: per istinto e volontà divina predicava i veri eventi del futuro, ma nessun uomo aveva fiducia dei suoi vaticini.Così in realtà, sebbene la povera fanciulla annunciava ai troiani che la rovina della patria era prossima, i cittadini non le attribuivano alcuna fiducia, ma erano in grande speranza che sarebbero usciti dalla guerra vincitori. Dopo che i greci espugnarono la città di troia, Cassandra si rifugiò nel tempio di Atena, ma Aiace, figlio di Oileo, non timoroso del giudizio degli dei, la tirò fuori dal tempio e la diede agli alleati come bottino di guerra. E' noto che per questa empietà e nefandezza Aiace dopo abbia pagato un castigo, cioè gli dei gli avevano vietato di fare ritorno in patria. Presso l'isola di Eubea spinsero la sua nave agli scoglie e l'uomo, immerso nei flutti, perse la vita.
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Postquam Graeci propter equi lignei dolum Troiam ceperunt totamque magno incendio deleverunt, Aeneas, Anchisae deaeque Veneris filius, cum patre parvoque filio Ascanio ex oppido fugit. Diu cum suis comitibus pelagus peragrat: nam profugus primum in Macedonia contendit, deinde Cartaginem apud reginam Didonem, inde in Sicilia venit denique a Sicilia in Latio pervenit. Ibi benigne accipitur a Latino, Latii rege, qui viro Troiano filiam suam Laviniam in matrimonium promittit.Sed Turnus, Rutulorum rex, qui sponsus Laviniae erat, bellum contra Troianos movet. Troiani post diutinum bellum aspero proelio, ubi Turnus ab Aenea necatur, adversarios superant et Rutulorum castra delent. Tum Rutuli et Latini bellum componunt, Aeneas in matrimonium Laviniam ducit et oppidum condit, quod Lavinium appellatur. Postea Ascanius, Aeneae filius, Lavinium relinquit et in Latio Albam Longam, novum oppidum, condit.
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Dopo che i Greci conquistarono Troia con l'inganno del cavallo di legno e la distrussero tutta con un grande incendio, Enea, figlio di Anchise e della dea Venere, con il padre e il piccolo figlio Ascanio fugge dalla città. Attraversa con i suoi compagni a lungo il mare: infatti prima il profugo giunge in Macedonia, poi a Cartagine presso la regina Didone, di qui va in Sicilia, infine giunge dalla Sicilia nel Lazio. Lì è accolto benevolmente da Latino, re del Lazio, che promette sua figlia Lavinia in matrimonio all'eroe troiano. Ma Turno, re dei Rutuli, che era promesso sposo di Lavinia, muove guerra ai Troiani. I Troiani dopo una lunga guerra con un duro combattimento, in cui Turno è ucciso da Enea, vincono gli avversari e distruggono l'accampamento dei Rutuli. Allora Rutuli e Latini concludono la pace, Enea sposa Lavinia e fonda una città, che è chiamata Lavinio. Poi Ascanio, figlio di Enea, lascia Lavinio e fonda nel Lazio Alba Longa, una nuova città.
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augustus cum in villa esset atque iniqua febricula laboraret noctes inquietas plerumque agebat.etenim non amplius horas quinque quiescere poterat nec eas continuas cum somnum rumperet creber tristisque noctuae cantus ; unde fiebat ut nocte ter quaterve repente expergisceretur.qua molestia cum liberari non posset lectorem arcessere cogebatur ut vox legentis submissa aliquando somnum sibi conciliaret. olim, cum audivisset senatorem quendam quamvis aere alieno oppressum arte et graviter dormire solitum (esse) misit confestim in urbem servum qui vel magno illius culcitam emeret.demirantibus amicis et quaerentibus cur vellet alienam culcitam habere:"ad somnum conciliandum inquit illa culcita mihi opus est in qua homo qui tantum debebat, semper dormire potuit"
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Augusto, mentre era nella sua villa e soffriva per una fastidiosa febbriciattola, passava numerose notti inquiete. Inoltre non poteva dormire più di cinque ore a notte, poichè il canto frequente e triste di una civetta disturbava il suo sonno; in seguito a ciò accadeva che spessissimo di notte venisse svegliato improvvisamente dal sonno. Allora dato che non poteva liberarsi da questo fastidio l'imperatore faceva venire il lettore poichè quello con voce sommessa gli conciliasse il sonno. Una volta Augusto, avendo sentito che un senatore, benchè oppresso dai debiti, era solito dormire profondamente, immediatamente mandò un servo in città perchè comprasse anche ad un gran prezzo il materasso del senatore. Poichè gli amici erano rimasti stupiti e chiedevano il motivo di un fatto così insolito, Augusto disse: " Per poter dormire bene mi è indispensabile avere queI materasso, su cui un uomo tanto oppresso dai debiti potè sempre dormire tranquillo.
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Spectaculorum et assiduitate et varietate et magnificentia omnes antecessit. Fecisse se ludos ait suo nomine quater pro aliis magistratibus qui aut abessent aut non sufficerent ter et vicies. Fecitque nonnumquam etiam vicatim ac pluribus scaenis per omnium linguarum histriones munera non in Foro modo nec in amphitheatro sed et in Circo et in Saeptis et aliquando nihil praeter venationem edidit; athletas quoque exstructis in campo Martio sedilibus ligneis; item navale proelium circa Tiberim cavato solo in quo nunc Caesarum nemus est.Quibus diebus custodes in urbe disposuit ne raritate remanentium grassatoribus obnoxia esset. In Circo aurigas cursoresque et confectores ferarum et nonnumquam ex nobilissima iuventute produxit. Sed et Troiae lusum edidit frequentissime maiorum minorumque puerorum prisci decorique moris existimans clarae stirpis indolem sic notescere.
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Per ripetitività, ricchezza e imponenza di spettacoli superò tutti. Lui disse che, a suo titolo, festeggiò con giochi pubblici quattro volte e ventitré volte invece di altri pretori che erano assenti o non bastavano. Tuttavia celebrò spettacoli, anche nei vari vicinati, con moltissime scenari, tramite attori che sapevano tutte le lingue, non solamente nell'anfiteatro e nel foro, ma pure nei recinti per le elezioni e nel circo, qualche volta programmò solo battute di caccia; pianificò pure gare di lotta fra atleti nel Campo Marzio, ove furono sistemate panchine di legno e anche una battaglia navale, avendo scavato il suolo presso il Tevere, nel quale adesso si trova la selva dei Cesari. In quei giorni dispose sentinelle in città, affinché non fosse esposta ai banditi per il modesto numero di quelli che erano restati. Nel circo fece esibire bestiari, corridori e aurighi, giunti dagli adolescenti del migliore prestigio. Anche molto spesso organizzava i giochi troiani tra giovani di diversa età, poichè credeva fosse una nobile antica tradizione che il valore di una dinastia illustre diventasse così famosa.
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At Sex. Tarquinium mala libido Lucretiae propter formam et spectatam castitatem cepit: ergo iuvenis paulo post Collatiam cum comite uno noctis tempore denuo venit, Lucretiam gladio petivit ac mulieri amorem suum patefecit. Quoniam obstinatum Lucretiae animum neque verbis neque vi flectere potuit, addidit ad metum dedecus: "Tete interficiam ac postea apud corpus tuum cadaver servi nudum ponam: omnes de sordido adulterio cogitabunt". Sic dedecoris terrore obstinatam pudicitiam vicit libido.Lucretia, maesta tanto malo, nuntium Romam ad patrem Ardeamque ad virum misit: "Cum amicis fidis cito venite: horridum facinus incidit". Cum adfuerunt vir paterque, Lucretiam aegram in cubiculum invenerunt. Tum mulier: " Vestigia viri alieni, - inquit - Collantine, in lecto sunt tuo; sed corpus est tantum violantum, animus insons: mors testis erit. Sex. Tarquinius hostis pro hospite noctis tempore vi mihi sibique, si vos viri estis, prestiferum a me abstulit gaudium". Levant viri Lucretiae animum, at illa exclamat: "Ego me, etsi peccato absolvo, supplicio non libero, nec ulla femina deinde Lucretiae exemplo impudica vivet" ac culturum sibi in corde defixit.
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Ma un perverso desiderio di Lucrezia invase Sesto Tarquinio a causa della (di lei) bellezza e osservata castità: pertanto poco dopo il giovane si recò nottetempo a Collazia con un solo compagno, assalì Lucrezia con la spada e rivelò alla donna il proprio amore. Dal momento che non riuscì a piegare l'animo fermo di Lucrezia nè con parole nè con la forza, aggiunse al terrore il disonore. "Ti ucciderò e poi metterò accanto al tuo corpo il cadavere nudo di un servo: tutti penseranno a una vergognosa relazione amorosa". Così la libidine vinse l'ostinato pudore con la paura della vergogna. Lucrezia, disperata per una così grave disgrazia, mandò a Roma un messaggio al padre e ad Ardea uno al marito: "Venite subito con degli amici fidati, è avvenuto un orribile delitto". Quando il marito e il padre furono sul posto, trovarono Lucrezia malconcia in camera da letto. Allora la donna disse: "Collatino, nel tuo letto ci sono le tracce di un uomo estraneo, ma solo il corpo è stato violato, l'animo è innocente: la morte (ne) sarà testimone. Sesto Tarquinio, come un nemico anzichè come un ospite, nottetempo con la violenza a me e a se stesso, se voi siete uomini, ha strappato un malsano piacere". Gli uomini consolano l'animo di Lucrezia, ma ella esclama: "Io, anche se mi assolvo dal peccato, non mi libero dalla disperazione, e nessuna donna in futuro vivrà disonorata grazie all'esempio di Lucrezia". E si conficcò un coltello nel cuore.
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Germani, colle exteriore occupato, non longius mille passibus a nostri munitionibus considunt. Ii in silvis equitatum tegunt. Postero die equitibus complent planitiem quae in longitudinem tria milia passuum patet. Praeterea hostes pedestres copias paulum ab eo loco abditas in locis superioribus constituerant. Dato signo, nostri equites circumdantur et tunc pedites proelium committunt. Acriter pugnantum est. Nostri magna virtuale sed gravi difficultate impetum sustinuerunt, denique vires refecerunt et, visis auxiliis supervenientibus, renovaverunt pugnam: ita victoria obtenta est.Saucii sed laeti denique in castra remeaverunt.
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I Germani, occupato il colle più esterno, si fermarono non più lontano di mille passi dalle nostre fortificazioni. Trattennero la cavalleria nei boschi. Il giorno dopo, fatta uscire la cavalleria dagli accampamenti, riempirono tutta quella pianura, che dicemmo estendersi per circa tre mila passi, e schierarono le truppe di fanteria un po distanti da quel luogo nei luoghi superiori. Dato il segnale, i nostri cavalieri furono circondati e allora i fanti iniziarono il combattimento. Si combattè strenuamente. I nostri con grande virtù, ma con grave difficoltà sostennero l'impeto, e infine rifocillarono le forze e, viste le truppe che giungevano, rinnovarono la battaglia: così fu ottenuta la vittoria. Feriti ma lieti ritornarono all'accampamento
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T. Pomponius Atticus ab origine ultima stirpis Romanae generatus perpetuo a maioribus acceptam equestrem obtinuit dignitatem. Patre usus est diligente et ut tum erant tempora diti in primisque studioso litterarum. Hic prout ipse amabat litteras omnibus doctrinis quibus puerilis aetas impertiri debet filium erudivit. Erat autem in puero praeter docilitatem ingenii summa suavitas oris atque vocis ut non solum celeriter acciperet quae tradebantur sed etiam excellenter pronuntiaret.Qua ex re in pueritia nobilis inter aequales ferebatur clariusque exsplendescebat quam generosi condiscipuli animo aequo ferre possent. Itaque incitabat omnes studio suo. Quo in numero fuerunt L. Torquatus C. Marius filius M. Cicero; quos consuetudine sua sic devinxit ut nemo his perpetuo fuerit carior.
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Tito Pomponio Attico, proveniente da una assai antica stirpe romana, conservò l'onore cavalleresco ereditato dai suoi predecessori. Ebbe un padre prudente, permissivo e dotato, dunque per i tempi che erano prima interessato alla letteratura. Lui, poichè il medesimo adorava gli studi, fece educare il figlio in ogni materia in cui bisogna educare un ragazzo. Inoltre il fanciullo aveva, oltre alla semplicità di apprendere, una splendida capacità nella pronuncia, affinchè non solamente apprendeva semplicemente quello che gli veniva mostrato, però, anche lo narrava in modo sublime.
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L. Aemilio consule ingentes Gallorum copiae Alpes transierunt. Traditum est a Fabio historico, qui ei bello interfuit, DCCC milia hominum parata ad id bellum esse. XL milia hostium perierunt et triumphus Aemilio decretus est.Aliquot deinde annos post contra Gallos intra Italiam pugnatum est, finitumque bellum M. Claudio Marcello et Cn. Cornelio Scipione consulibus. Tum Marcellus cum collega ingentes copias Gallorum peremit, Mediolanum expugnavit, grandem praedam Romam pertulit.M. Minucio Rufo P. Cornelio consulibus, bellum Punicum secundum Romanis inlatum est per Hannibalem, Carthaginiensium ducem, qui Saguntum, Hispaniae civitatem Romanis amicam, oppugnare coepit. Huic Romani per legatos denuntiaverunt ut bello abstineret. Is legatos admittere noluit. Romani etiam Carthaginem nuntios miserunt, ut mandaretur Hannibali ne bellum cum sociis populi Romani iniret. Dura responsa a Carthaginiensibus data sunt. Saguntini interea fame victi sunt, captique ab Hannibale ultimis poenis afficiuntur. Bellum Carthaginiensibus indictum est.
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Durante consolato di L. Emilio numerose truppe di Galli attraversarono le Alpi. E' stato raccontato dallo storico Fabio che prese parte a quello scontro, che ci fossero ottocentomila uomini preparati per quella guerra. Perirono quarantamila avversari ed Emilio fu condotto in trionfo. Per parecchi anni si lottò contro i Galli in Italia, e fu conclusa la guerra durante il consolato di Claudio Marcello e Cornelio Scipione. Così Marcello distrusse con il collega numerose truppe di galli, liberò Milano, condusse un enorme bottino a Roma. Durante il consolato di Rufo e Cornelio, venne iniziata dai Romani la seconda guerra punica tramite Annibale, generale dei cartaginesi, che cominciò ad attaccare Sagunto, città della Spagna legata ai romani. A lui i Romani dichiararono per via dei legati di rinunciare alla guerra. Lui non volle accettare i legati. I Romani inviarono messaggi anche a Cartagine, affinché venisse ordinato ad Annibale di non portare guerra ai soci del popolo romano. Furono date dure risposte da parte dei Cartaginesi. I Saguntini nel frattempot erano sfiniti dalla fame, e catturati da Annibale vennero oppressi da ultimi dolori. Ai Cartaginesi venne dichiarata guerra.
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Magnus lupus gregem assidue sequebatur, at nullam ovem umquam rapuerat. Pastor tamen magno cum metu eum continenter intuebatur: sed fera quietam et mitem se praestabat. Qua re omnem timorem depossuit pastor. Quadam die, cum in urbem se conferre vellet, custodiendi gregem munus lupo commisit. Paulo post fidenti animo ad urbem profectus est. At lupus, simul ac pastor discessit, oves mox aggressus est atque pastori maximum damnum intulit. Cum ex urbe pastor rediit, conspecta ovium strage, comam scidit atque diu in summa desperatione fuit.Denique ita locutus est: "Merito meae stultitiae poenas persolvo. Nam gregis custodiam lupo, magis quam fideli cani committere malui".
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Un grosso lupo seguiva ininterrottamente un gregge, ma non aveva mai afferrato alcuna pecora. Il pastore tuttavia lo osservava con grande paura; ma la bestia si mostrava calma e mite. Per cui il pastore abbandonò ogni timore. Un certo giorno, poichè voleva recarsi in città, affidò il compito di custodire il gregge al lupo. Poco dopo con animo fiducioso andò in città. Ma il lupo, non appena il pastore si allontanò assalì subito le pecore e recò grande danno al pastore. Quando il pastore tornò dalla città vedendo la strage delle pecore, si strappò i capelli e fu a lungo in grande disperazione. Infine, disse così: "Pago giustamente la pena della mia stoltezza. Infatti ho preferito affidare la custodia del gregge ad un lupo piuttosto che ad un fedele cane."
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Agrum lustrare sic oportet…Ianum Iovemque vino praefamino, sic dicito:Mars pater te precor quaesoque uti sies volens propitius mihi domo familiaeque nostrae quoius rei ergo agrum terram fundumque meumsuovitaurilia circumagi iussi uti tu morbos visos invisosque viduertatem vastitudinemque calamitates intemperiasque prohibessis defensas averruncesque utique tu fruges frumenta vineta virgultaque grandire dueneque evenire siris, pastores pecuaque salva servassis duisque duonam salutem valetudinemque mihi domo familiaeque nostrae.Harumce rerum ergo, sicuti dixi, macte hisce suovitaurilibus latenti immolandis esto;Mars pater, eiusdem rei ergo macte hisce suovitaurilibus lactentibus esto.
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Bisogna dunque procedere alla purificazione del campo in questo modo…Invoca inizialmente facendo libagioni di vino Giano e Giove, e recita così: <<Padre Marte, ti prego e ti chiedo di essere attento e propizio a me, alla nostra casa, alla nostra famiglia; ed è per questo che io ho dato disposizione di far fare un giro tutt’intorno ai suovitaurilia [un porco, un montone e un toro], affinchè tu possa respingere, allontanare e spazzare i morbi visibili ed invisibili, la sterilità e la devastazione, le calamità agricole e le intemperie, e affinchè tu permetta ai raccolti, ai cereali e ai vigneti di crescere e di giungere a maturazione, affinchè tu custodisca sani i pastori e il gregge, e conceda la buona salute e il vigore fisico a me, alla mia casa e alla mia famiglia; ai fini di queste concessioni, ai fini della purificazione del mio fondo, della mia terra e del mio campo, così come ho detto, sentiti onorato dall’immolazione di questi suovitaurilia da latte, padre Marte, per questa ragione sentiti onorato da questi suovitaurilia>>.
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Antiquis Romanis non multae erant divitiae sed magnas erat totius populi concordia: eorum vita enim integra et modesta erat. In antiquis documentis legimus: “Romani libenter agriculturam exercent quia agricolarum industria praesidium contra cibariorum frumentique inopia est. Domicilia privata parva et modesta habent sed diis deabusque excelsa ac magnifica templa aedificant eiusque terrae primitias praebent. Pater familias in liberos servosque severum imperium exercet sed nec liberi nec servi officium suum neglegunt: omnes industrii sunt et agros diligenter colunt.Romani tamen non solum aratrum sed etiam arma tractant. Nam cum patria in periculo est, Romani contra populos finitimos strenue pugnant quia libertatem servare volunt. Post victoriam neque hostium oppida diruunt neque templa violant: immo hostium dei inter deos Romanos numerantur eisque sacrificia pilularia a toto populo praebentur. Itaque Roma semper a deis protegitur, quia concordia inter Romanos ac deos regnat”.
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Gli antichi Romani non avevano molte ricchezze ma era grande la concordia di tutto il popolo: la loro vita infatti era modesta e integra. In antichi documenti leggiamo: “I Romani praticano liberamente l’agricoltura poiché l’ingegno degli agricoltori è una difesa contro la mancanza di cibo e di frumento. Hanno case private piccole e modeste ma costruiscono agli dei e alle dee templi eccelsi e magnifici e a loro offrono le primizie della terra. Il padre di famiglia esercita la potestà sui figli e sui servi ma né i figli né i servi trascurano il proprio dovere: tutti sono industriosi e coltivano i campi diligentemente. I Romani tuttavia usano non solo l’aratro ma anche le armi. Infatti quando la patria è in pericolo, i Romani combattono valorosamente contro i popoli confinanti poiché vogliono conservare la libertà. Dopo la vittoria non distruggono le città dei nemici né violano i templi: anzi gli dei dei nemici sono annoverati tra gli dei romani e a loro sono offerti sacrifici propiziatori da tutto il popolo. E così Roma è sempre protetta dagli dei, poiché regna la concordia tra i Romani e gli dei”.
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Cum Liber pater ad homines descendisset ut suorum fructuum suavitatem atque iucunditatem ostenderet, ad Icarium et Erigonam in hospitium liberale devenit. Iis utrem plenum vini donavit, ut in reliquas terras vinum propagarent. Icarius, plaustro onerato, cum Erigone filia et cane Maera in terram Atticam ad pastores devenit et vini suavitatem ostendit. Sed pastores, cum immoderatius bibissent, ebrii conciderunt; postea, existimantes Icarium sibi malum medicamentum dedisse, fustibus eum interfecerunt.Canis autem Maera ululans Erigonae monstravit ubi pater insepultus iaceret; at virgo, cum in locum venisset, super corpus parentis in arbore suspendio se necavit. Ob id factum Liber pater iratus Atheniensium filias simili poena afflixit. Athenienses de ea re ab Apolline responsum petierunt, iisque responsum est id evenisse quod Icarii et Erigones mortem neglexissent. Ideo de pastoribus supplicium sumpserunt et Erigonae diem festum instituerunt; postea per vindemiam de frugibus Icario et Erigonae primum semper delibaverunt. At ii deorum voluntate in astrorum numerum sunt relati: Erigone signum Virginis, quam nos Iustitiam appellamus, dicta est, Icarius Arcturus appellatus est, canis autem Maera Canicula.
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Dopo che il padre Dioniso era disceso vicino agli uomini per rivelare la dolcezza e la bellezza dei suoi frutti, andò da Icario ed Erigone e fu ospitato volentieri. A loro donò un otre pieno di vino, affinchè diffondessero il vino negli altri posti. Icario, caricato il carro, arrivò con la figlia Erigone ed il cane Mera nella regione dell' Attica presso dei pastori, e gli fece provare la dolcezza del vino. Ma i pastori, dopo che ebbero bevuto in modo eccessivo, caddero ubriachi; poi, pensando che Icario gli avesse dato una pozione maledetta, lo uccisero a bastonate. E il cane Mera, ululante, mostrò ad Erigone dove il padre giaceva insepolto; ma la ragazza, dopo che arrivò sul luogo, si uccise impiccandosi ad un albero sopra il corpo del genitore. Il padre Dioniso, arrabbiato per quel fatto, colpì le figlie degli Ateniesi con una pena simile. Gli Ateniesi chiesero ad Apollo un responso su questo fatto, e gli fu risposto che questo era successo perché non si erano preoccupati della morte di Icario e di Erigone. Perciò punirono i pastori ed istituirono un giorno festivo in onore di Erigone; in seguito, durante la vendemmia, consacrarono sempre la prima parte del raccolto ad Icario ed Erigone. Ma essi, per volontà degli dei, furono trasformati in numerose costellazioni: Erigone fu chiamata "Segno della Vergine", che noi chiamiamo Giustizia, Icario fu chiamato "Arturo" e il cane Mera "Canicola".
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Inter Dores et Athenienses cum veteres essent inimicitiae, Dores bellum Atheniensibus paraverant; sed antea oraculum Delphicum de belli exitu rogaverant. Pythia sacerdos legatis haec verba responderat: "Vestra erit victoria, nisi hostium regem necaveritis". Itaque duces militibus imperaverant, ne Atheniensium regem necarent. Codrus, Atheniensium rex, qui oraculi responsum cognoverat, statim optavit ut morte sua patriam liberaret et populo pararet victoriam.Codrus enim vestem mutavit, ligna in humeros sibi imposuit et, quasi servus esset, in hostium castra intravit. Ibi verbis contumeliosis militis iram excitavit et eum falce vulneravit, tum ille gladio Codrum acriter interfecit. Hoc modo Dores inviti regem hostium necaverunt, qui morte voluntaria rem publicam Atheniensium magno periculo liberavit.
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Siccome fra i Dori e gli Ateniesi vi erano vecchie inimicizie, i Dori avevano organizzato lo scontro contro gli Ateniesi; però prima avevano domandato l'oracolo di Delfi sul fine della guerra. la sacerdotessa Pizia aveva replicato agli ambasciatori con codeste parole: "Il trionfo sarà vostro se non ucciderete il sovrano degli avversari." Allora i generali avevano comandato i militari di non trafiggere il sovrano degli ateniesi .Codro ,re degli ateniesi,che aveva immediatamente saputo l'esito dell'oracolo decise di salvare la patria con la sua morte e di ottenere il trionfo per la popolazione. Difatti Codro mutò il vestiario, pose dei legni sulle spalle e, e come se fosse uno schiavo, accedette nella tenda degli avversari. In quel posto provocò un militare,esprimette l'ira con parole oltraggiose e lo lesionò con una falce, così quello uccise violentemente Codro con la spada. In questo modo i non vinti Dori trafissero il sovrano dei nemici, che salvò lo stato degli ateniesi da un enorme rischio con lo spontaneo decesso.
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Canis et gallus, cum societatem fecissent, iter simul faciebant. Sub vesperum constituerunt et locum ut quiescerent quaesiverunt; tum gallus in arboris ramum ascendit et canis apud arboris radices recubuit. Prima luce gallus, sic ut eius mos est, cecinit. Vulpes, galli cantu audito, accurrit et, cum sub arboris ramo constitisset, dixit: “Descende, amice, ut te amplecti possim; nullum animal enim audivit tam suavi voce praeditum”. Gallus, cum vulpis calliditatem cognosceret, respondit: “Ianitor meus apud arboris radices dormit; excita eum, amica, ut tibi ianuam aperiat”.Itaque vulpes, gallum dolo vorare exoptans, a cane capta laniataque est.
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Un cane e un gallo, avendo fatto amicizia, percorrevano assieme il cammino. Sul far della sera si fermarono e cercarono un luogo per riposare; allora il gallo salì su un ramo dell'albero e il cane si sdraiò presso le radici dell'albero. All'alba il gallo, così come era sua abitudine, cantò. Una volpe, sentito il canto del gallo, accorse e, essendosi fermata sotto il ramo dell'albero disse: “Scendi, amico, affinché possa abbracciarti; infatti non ho ascoltato nessun animale fornito di una voce tanto soave”. Il gallo, conoscendo l'astuzia della volpe, rispose: “Il mio portiere dorme presso le radici dell'albero; sveglialo, amica, affinché ti apra la porta”. Così la volpe, desiderando divorare il gallo con l'inganno, fu presa e sbranata dal cane.
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Transeamus ad patrimonia, maximam humanarum aerumnarum materiam. Nam, si omnia alia quibus angimur compares, mortes, aegrotationes, metus, desideria, dolorum laborumque patientiam, cum iis quae nobis mala pecunia nostra exhibet, haec pars multum praegravabit. Itaque cogitandum est quanto levior dolor sit non habere quam perdere, et intellegemus paupertati eo minorem tormentorum quo minorem damnorum esse materiam. Erras enim si putas animosius detrimenta divites ferre: maximis minimisque corporibus par est dolor vulneris.Bion eleganter ait non minus molestum esse calvis quam comatis pilos velli. Idem scias licet de pauperibus locupletibusque, par illis esse tormentum: utrique enim pecunia sua obhaesit nec sine sensu revelli potest. Tolerabilius autem est, ut dixi, faciliusque non adquirere quam amittere, ideoque laetiores uidebis quos numquam fortuna respexit quam quos deseruit.
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Passiamo a parlare dei patrimoni, il motivo più grande delle sofferenze umane. Se infatti metto a paragone tutti gli altri dolori per i quali ci addoloriamo, le malattie, le paure, i desideri, la sopportazione dei dolori e delle fatiche, con quei mali che ci procurano le nostre ricchezze, questa parte avrà sicuramente il sopravvento. Dunque dobbiamo riflettere su quanto sia più sopportabile non avere dolore che perderlo, e crederemmo che nella povertà è un motivo di tormenti tanto minori quanto di danni minori. Sbagli infatti se ritieni che i ricchi sopportino più coraggiosamente i danni: è uguale infatti il dolore delle ferite per i corpi più grandi che per quelli più piccoli. Bione dice con chiarezza che non è meno molesto strapparsi i peli per i calvi che per coloro che hanno i capelli. Allo stesso modo ti è facile capire riguardo ai ricchi e ai poveri, che la sofferenza è uguale per quelli: entrambi infatti sono attaccati al loro denaro né senza mancanza di sensibilità ne possono essere privati. È però più sopportabile, come ho detto, e più facile non procurarsele quanto perderle, e perciò vedrai più lieti coloro ai quali la sorte non rivolse mai attenzione piuttosto che coloro che abbandona.
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Agricola quidam, stultissimus vir, cum in agello suo parvum thesaurum invenisset, ad mercatum properavit et robustissimum equum emit. Inter accolas nemo equum validiorem habebat. At agricola , cum in agris proximis vaccam vidisset, sic cogitavit: Vacca multo utilior quam equus est: mihi certe copiosissimum lac et plurimos vitulos praebebit. Itaque mutationem animalium fecit et maximo cum gaudio vaccam in stabulum duxit. Postridie autem agricola pulcherrimum asellum aspexit : in eius fronte macula candidior nive fulgebat et simillima lunae falci; statimque vaccam asello mutavit.Cum postea in ovem pinguissimam incidisset, exclamavit: Numquam vellus spissius molliusque vidi: profeto asinus meus deterior ove tam pingui nitidaque est! Asinum igitur ove permutabo. Mutatio facillima fuit et etiam facilior ovis mutatio pro cane et canis pro ansere et anseris pro gallina. Nocte autem volpis, cum in gallinarium penetravisset, gallinam voravit.
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Un agricoltore, un uomo parecchio stupido, siccome aveva trovato nel suo agnello un modesto tesoro, andò subito al mercato acquistò un cavallo parecchio forte. Nessuno fra gli abitanti possedeva un cavallo più bello. Però l’agricoltore, poiché aveva notato nei campi confinanti una vacca, penso allora:” La vacca è molto più utile del cavallo mi darà certamente il latte in quantità e molti vitelli”. Quindi sostituì di animale e con grande allegria portò la vacca nella stalla. Però poi certi giorni notò un asino stupendo: nella sua fronte si notava una macchia più bianca della neve e parecchio uguale alla falce della luna; e immediatamente sostituì la vacca con l' asino. Poi avendo incontrato una pecora molto grande, affermò: “Non ho mai guardato un animale più grande e soffice: senza dubbio il mio asino è meno utile di una pecora talmente grande e candida! Dunque sostituirò l' asino con la pecora” ancor più semplice fu lo scambio della pecora con un cane, e del cane con un' oca, e della oca con una gallina. Però di notte una volpe, siccome era entrata nel pollaio, mangiò la gallina.
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Cum exprimere imaginem consuetudinis atque vitae Epaminondae velimus nihil videmur debere praetermittere, quod pertineat ad eam declarandam. Quare dicemus primum de genere eius, deinde quibus4 disciplinis et a quibus sit eruditus. Natus igitur patre quo diximus, pauper iam a maioribus relictus, eruditus est autem sic ut nemo Thebanus magis . Nam et citharizare et cantare ad chordarum sonum doctus est a Dionysio, qui non minore fuit in musicis gloria quam Damon aut Lamprus, quorum pervulgata sunt nomina; cantare tibiis ab Olympiodoro, saltare a Calliphrone.At philosophiae praeceptorem habuit Lysim Tarentinum, Pythagoreum, cui quidem sic fuit deditus, ut, adulescens, tristem ac serverum senem omnibus aequalibus suis in familiaritate anteposuerit: neque prius eum a se dimisit quam in doctrinis tanto antecessit condiscipulos ut facile intellegi posset pari modo superaturum omnes in ceteris artibus.
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Quando vogliamo descrivere l’immagine del modo di vivere e della vita di Epaminonda, ci sembra opportuno di non dovere trascurare nulla, che riguardi la sua nota ( vita ). Perciò parliamo dapprima della sua famiglia, in seguito a quali discipline e da chi fu istruito. Nato dunque da un padre di cui abbiamo già parlato, lasciato già povero dagli antenati, tuttavia fu così colto che nessun tebano gli fu superiore. Infatti sia a suonare con la cetra sia a cantare al suono delle corde fu istruito da Dionisio, che non fu inferiore per fama tra i musici quanto Damone e Lampro, i nomi dei quali sono conosciutissimi; fu istruito da Olimpiodoro a cantare con i flauti, da Callifrone a ballare. Ma ebbe come insegnante di filosofia Lisia di Taranto, pitagoreo, al quale fu così dedito che, giovinetto, antepose il triste e severo vecchio ai suoi coetanei nell’amicizia: e non lo lasciò prima di superare così tanto i suoi condiscepoli in quelle discipline che si sarebbe potuto capire facilmente che avrebbe superato nello stesso modo tutti nelle altre discipline.
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Vinum olim Romanis feminis ignotum fuit,ne sclicet in turpe dedecus incurrerent, quia a Libero patre intemperantia et inconcessa venus excitatae sunt. Ceterum ut non tristis earum et horrida pudicitia, sed honesto comitatis genere temperata esset, et aurum abundantem et multam purpuram adhibebant, quo formam suam magis concinnam efficerent, summa cum diligentia capillos cinere rutilaverunt: enim tunc subsessorum alienorum matrimoniorum oculi non metuebatur, sed pariter et videre sancte et aspici mutuo pudore custodiebatur.
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Il vino un tempo alle donne romane fu sconosciuto, affinchè non incorressero in una oscena vergogna, perché la sregolatezza e la proibita bellezza sono eccitate dal padre Libero. Poi perchè non la loro pudicizia non fosse triste e brutta, ma venisse addolcita con onesto ornamento, utilizzavano l'oro abbondante e parecchia porpora, perchè rendessero la loro figura in maggior misura ornata, e con grande scrupolosità pulivano i capelli con la cenere: difatti così non avevano timore degli sguardi dei seduttori di altre matrone, ma ugualmente era conservato con lo stesso pudore l'osservare santamente e l'essere osservate.
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Caesar ex eo tempore dum ad flumen Varum veniatur se frumentum daturum pollicetur. Addit etiam ut quod quisque eorum in bello amiserit quae sint penes milites suos eis qui amiserint restituatur; militibus aequa facta aestimatione pecuniam pro his rebus dissolvit. Quascumque postea controversias inter se milites habuerunt sua sponte ad Caesarem in ius adierunt. Petreius atque Afranius cum stipendium ab legionibus paene seditione facta flagitarentur cuius illi diem nondum venisse dicerent Caesar ut cognosceret postulatum est eoque utrique quod statuit contenti fuerunt.Parte circiter tertia exercitus eo biduo dimissa duas legiones suas antecedere reliquas subsequi iussit ut non longo inter se spatio castra facerent eique negotio Q. Fufium Calenum legatum praeficit. Hoc eius praescripto ex Hispania ad Varum flumen est iter factum atque ibi reliqua pars exercitus dimissa est.
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Cesare garantisce di dare frumento da quel istante fino all'arrivo al fiume Varo. Somma pure che sia ridato ai possessori quello che è stato perso in guerra e sia in dominio dei suoi soldati; svolta una corretta considerazione,dona ai suoi soldati denaro proporzionato al valore di queste cose. Tutte le ostilità nate tra i soldati furono in seguito portate volontariamente al volere di Cesare. Siccome le legioni, come con una specie di ribellione, chiedevano a Afranio e Petreio il salario militare, e loro affermavano che non era ancora arrivato il momento, si reclamò il giudizio di Cesare ed tutte due le parti furono accontentate dalla suo provvedimento. Circa una terza razione dell'armata fu congedata in due giorni; Cesare impose a sue due legioni di incamminarsi e alle rimanenti di stare dietro, affinché gli accampamenti non fossero distanti tra loro; incaricò questo lavoro al luogotenente Q. Fufio Caleno. La camminata dalla Spagna al fiume Varo si svolse secondo le sue norme e qua fu congedato il restante esercito.
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Non omnia anni tempora ad navigationem apta sunt. Nam post ortum Pleiadum tantum, a die sexto Kalendes Iunias, usque in Arcturi ortum, id est in diem octavum decimum Kalendas Octobres, scura navigatio est, quia aestatis beneficio ventorum acerbitas mitior est. Post Arcturi ortum usque in tertium Idus Novembres incerta navigatio est et discrimini proprior propter Arcturum, vehementissimus sidus. A Novembri autem mense crebis tempestatibus navigia conturbat Vergiliarum hiemalis occasus.Ex die igitur tertio Idus Novembres usque in diem sextum Idus Martias lux minima noxque prolixa est, praeterea nubium densitas, aeris obscuritas, ventorum imbri vel nivibus geminata saevitia non solum classes a pelago, sed etiam viatores a terrestribus itineribus deturbant. Postea, usque in Idus Maias periculosem est maria temptare, ideoque nautae maiorem adhibere cautelam debent.
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Non tutte le stagioni dell'anno sono adeguate alla navigazione. Difatti poi il sorgere delle pleiadi, dal sesto giorno delle calende di giugno, fino al sorgere della costellazione di Boote, codesto il giorno prima della diciottesima calenda di ottobre, la navigazione è certa, siccome per il vantaggio dell'estate è più calma la durezza dei venti. Poi sorta la costellazione di Boote sino alle terze idi di novembre la navigazione è insicura e a propria misura per l’astro Arturo parecchio rigido. A partire dal mese di novembre la navigazione è sconvolta da forti tempeste per il tramonto d’inverno delle pleiadi . Da quel giorno nelle terze idi di novembre fino al sesto giorno delle idi di marzo il chiarore è infimo e la notte lunga, in più lo spessore delle nuvole, l'oscurità dell'aria, la potenza dei venti o le nevi non solamente devastano le flotte del mare però gli itineranti dai viaggi sulla terra. Poi sino alle idi di maggio è rischioso provare i mari, allora i naviganti devono utilizzare più prudenza.
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Primus statim impetus belli Bithyniam rapuit, Asia inde pari terrore correpta est, nec cunctanter ad regem ab urbibus nostris populisque descitum est. Aderat, instabat, saevitiam quasi virtutem adhibebat: atrocissimo uno edicto omnes qui in Asia erant Romanae civitatis homines interfici iussit. Tum quidem domus, templa et arae, humana omnia atque divina iura violata sunt. Sed terror Asiae Europam quoque regi aperiebat. Itaque, mittens Archelaum Neoptolemumque praefectos, praeter Rhodum, quae pro nobis firmius stetit, ceteras Cyclades, Delos, Euboeam et Graeciae decorem Athenas tenebat.Italiam iamque urbem Romam regius terror adflabat. Itaque L. Sulla festinat, vir armis optimus, parique violentia ruentem ulterius hostem quasi manu reppulit. Primumque Athenas urbem, frugum parentem, obsidione ac fame ad humanos cibos compulit; mox subrutus est Piraei portus sex aut amplius muris cinctus.
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La prima incursione della guerra sottomise presto la Bitinia, dopo con la stessa brutalità fu invasa l’Asia e subito dalle nostre città e dai popoli si aderì dalla parte del sovrano. Mitridate aveva attaccato, intimoriva, utilizzava la violenza come una virtù: con un decreto piuttosto severo decise che venissero uccisi ogni uomo che in Asia appartenesse alla cittadinanza romana. In aggiunta senza dubbio vennero profanate dimore, templi e santuari,ogni legge umana e divina. Però la paura dell’Asia portata dal re anche in Europa. Perciò, quando furono inviati Archelao e Neottolemo come ambasciatori, tranne Rodi, che rimase più stabilmente dalla nostra parte, difendeva le restanti Cicladi, Delo, Eubea e Atene virtù della Grecia. Il pericolo del sovrano si diffondeva già sull’Italia e sulla città di Roma. Quindi L. Silla, il più valoroso tra gli uomini, si muove velocemente e con la stessa furia respinse quasi a mani nude l'avversario che cadde poco avanti. Dapprima mandò con l'occupazione la città di Atene, patria di messaggeri, alla fame e a cannibalismo; poi fu distrutto il porto del Pireo che fu protetto con sei o più mura.
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Annos undegivinti natus exercitum privato consilio et privata impensa comparavi, per quem rem publicam a dominatione factionis oppressam in libertatem vindicavi. Eo nomine senatus in ordinem suum me adlegit et imperium mihi dedit. Populus autem eodem anno me consulem, cum consul uterque in bello cecidisse, creavit. Qui parentem meum necaverunt, eos in exsilium expuli et postea bellum inferentes rei publicae vici bis acie. Bella terra et mari civilia externaque toto in orbe terrarum saepe gessi victorque omnibus veniam petentibus civibus peperci.Milia civium Romanorum sub sacramento meo fuerunt circiter quingenta. Ex quibus deduxi in colonias aut remisi in municipia sua, stipendiis emeritis, milia aliquanto plura quam trecenta. Naves cepi sescentas. In consulato septimo senatus consulto Augustus appellatus sum. In triumphis meis ducti sunt ante carrum meum reges aut regum liberi novem. Consul fueram terdecies cum scribebam haec, et annum agebam septuagesimum sextum.
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All'età di diciannove anni ho allestito di privata iniziativa e con spesa privata un esercito, attraverso il quale ho restituito la libertà allo Stato oppresso dallo strapotere di un partito. Per questo il senato mi ha aggregato al suo ordine e mi ha dato il supremo comando militare. Inoltre il popolo mi ha nominato console nello stesso anno, essendo entrambi i consoli morti in guerra. Ho mandato in esilio quelli che avevano ucciso mio padre (d'adozione, Cesare) e poi mentre portavano guerra allo Stato ho vinto due volte in campo. Ho gestito guerre civili ed esterne per terra e per mare in tutto il mondo e vincitore ho risparmiato tutti cittadini che chiedevano perdono. Sono stati in armi al mio comando circa cinquecentomila cittadini Romani. Di questi ho trasferito nelle colonie o ho rimandato nelle loro città, concluso il servizio militare, molto più di trecentomila. Ho preso seicento navi. Nel settimo consolato per decreto del senato sono stato chiamato Augusto. Nei miei trionfi sono stati condotti davanti al mio carro nove re o figli di re. Ero stato console tredici volte mentre scrivevo queste cose, e avevo settantacinque anni.
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Contra Iugurtham, Numidarum regem, Q. Caecilius Metellus consul in Africam missus est. Is Romanorum exercitum, a prioribus ducibus corruptum, ingenti severitate et moderatione correxit et ad discipliniam Romanam reduxit. Iugurtham variis proeliis vicit, elephantes eius occidit vel cepit, multas civitates ipsius in deditionem accepit. Metello, qui iam finem bello positurus erat, successit C. Marius. Is Iugurtham et Bocchum, Muritaniae regem, qui auxilium Iugurthae ferre coeperat, superavit.Aliquanta oppida Numidiae cepit belloque terminum posuit, capto Iugurtha per quaestorem suum Cornelium Sullam. Metello et Mario duos triumphos amplissimos decrevit senatus. Iugurtha, ante currum Marii, cum duobus filiis ductum est catenatus et mox, iussu consulis, in carcere strangulatus est.
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Il console Q. Cecilio Metello fu mandato in Africa contro Giugurta, re dei Numidi. Egli corresse con grande severità e moderazione l' esercito dei Romani, corrotto dai precedenti comandanti, e lo ricondusse alla disciplina romana. Vinse in diverse battaglie Giugurta, uccise o catturò i suoi elefanti, sottomise molte città dello stesso. A Metello, che ormai aveva intenzione di mettere fine alla guerra, successe Mario. Egli vinse Giugurta e Bocco, re della Mauritania, che aveva cominciato a portare aiuto a Giugurta. Prese molte città della Numidia e pose fine alla guerra, dopo che era stato catturato Giugurta per mezzo del suo questore Cornelio Silla. A Metello e Mario il senato assegnò due grandissimi trionfi. Giugurta fu condotto incatenato, davanti al carro di Mario, con i due figli e subito, per ordine del console, fu strangolato in carcere.
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Messanae, in medio foro, virgis caedebatur civis Romanus, iudices, cum interea nullus gemitus, nulla vox alia illius miseri viri inter dolorem crepitumque plaga rum audiebatur nisi heac: “ Civis Romanus sum. “ his verbis scilicet sibi videbatur omnia verbera depulsurus esse cruciatumque a corpore deiecturus. Is non modo hoc non perficit, ut virgarum vim deprecaretur, sed, cum imploraret saepius usurparetque nomen civitatis, crux comparebatur illi infelici et aerumnoso, qui numquam istam pestem viderat.O lex Porcia legesque Semproniae! O tribunizia potestas, graviter desiderata et aliquando reddita plebi Romanae! Hucine tandem omnia reciderunt ut civis Romanus, in provincia populi Romano, in oppido faederatorum, a Verre, qui beneficio populo Romani fasce set secures haberet, deligatus in foro virgis caederetur? Nonne tibi videris, Verres, turpe facinus ferisse? In crucem tu ausus es agere quemquam qui se civem Romanum esse diceret!
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A Messina, nel mezzo del foro, un cittadino romano era colpito con dei bastoni, o giudici, tuttavia senza emettere nessun gemito, non si udiva nessuna altra voce se non questa di quel povero uomo tra il dolore e il rumore dei colpi: “ Sono un cittadino romano.” Evidentemente con queste parole gli sembrava che tutte le frustate erano destinate ad essere alleviate e il dolore era destinato ad essere tolto dal corpo. Egli non solo non ottenne questo risultato, che la forza dei colpi diminuiva, ma, mentre implorava in modo maggiore e chiamava il nome della cittadinanza, era preparato il patibolo per quell’infelice ed afflitto, che non aveva mai visto tale flagello prima. O legge Porcia e leggi Sempronie! O potere dei tribuni della plebe, pesantemente desiderato e un tempo restituito alla plebe romana! A questo punto infine ogni cosa potrebbe accadere, come che un cittadino romano, in una provincia del popolo romano, in una città facente parte delle alleanze, legato nel foro fosse colpito con delle bastonate da Verre, che aveva i fasci e le scuri secondo la concessione del popolo romano? Forse non ti sembra, o Verre, che tu abbia compiuto un turpe crimine? Tu osasti condurre al patibolo un tale che disse di essere un cittadino romano!
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Aesopi tragoedi, nostri familiaris, Licinius servus tibi notus aufugit. Is Athenis apud Patronem Epicureum pro libero fuit. Inde in Asiam venit. Postea Plato quidam Sardianus, [...] hominem comprehendit et in custodiam Ephesi tradidit; sed utrum in publicam custodiam an in pistrinum tradidisset non satis ex litteris eius intellegere potuimus. Tu, quoniam Ephesi es, hominem investiges velim summa diligentia vel tecum deducas. Noli spectare quanti homo sit: parvi enim pretii est servus qui nihili est ; sed tanto dolore Aesopus est adfectus propter servi scelus et audaciam ut nihil ei gratius facere possis quam si illum per te recuperaverit.
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Il servo Licinio, di proprietà dell’attore tragico Esopo, nostro amico [e] a te noto, è fuggito. Egli fu come uomo libero ad Atene presso un protettore epicureo. Da lì, giunse in Asia. Successivamente, un certo Platone di Sardi arrestò l’uomo e lo gettò nel carcere pubblico di Efeso; ma, dalla sua lettera, non potemmo sapere abbastanza se fosse stato tradotto in carcere o a girar la macina. Poiché egli è di Efeso, vorrei che tu indagassi sull’uomo e con la massima attenzione vorrei che tu lo portassi via con te. Non tenere conto di quanto valga l’uomo: infatti è di poco prezzo; ma Esopo è stato colpito da un grande dolore a causa della scelleratezza e dell’audacia del servo e non gli puoi fare nulla di più gradito se quello, per opera tua, fosse ripreso.
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Romani multos deos colunt: in deorum numero sunt Saturnus antiquus agriculturae deus Mercurius commercii divitiarumque patronus ac deorum nuntius Neptunus aquarum deus Ianus pacis bellique deus et Vulcanus ignis deus qui officinam in Aetna habet. In dearum numero sunt Diana ferarum atque silvarum dea Vesta familiae patrona et Minerva sapientiae dea. Romani variis caerimoniis et sacrificiis deos honorant: deis deabusque caeli victimae albae sacrificantur nigrae victimae deis deabusque Inferorum; silvarum et aquarum Nymphis myrti atque lauri coronae praebentur.Etiam nunc in Italia et praesertim Romae antiquorum templorum Romanorum multa vestigia exstant.
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I Romani onorano molte divinità: nel numero degli dei vi sono Saturno, antico dio dell' agricoltura, Mercurio, difensore del commercio e delle pecunie e nunzio degli dei, Nettuno, dio delle acque, Giano, dio della pace e della guerra, e Vulcano, dio del fuoco, che ha uno stabilimento sull' Etna. Nella numero delle dee vi sono Diana, dea delle bestie e delle selve, Vesta, dea della famiglia, e Minerva, dea della saggezza. I Romani venerano gli dei con diverse offerte e feste: agli dei e alle dee del cielo vengono immolate vittime candide, vittime nere agli dei e alle dee degli Inferi; alle Ninfe delle selve e delle acque vengono donate corone di alloro e di mirto. Pure adesso in Italia, innanzitutto a Roma, vi sono parecchi resti degli antichi templi dei Romani.
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Heri veni in Cumanum; cras ad te fortasse. Sed, cum certum sciam faciam te paulo ante certiorem. Etsi M. Caeparius mihi in silva Gallinaria obviam venisset et quaesissemque quid ageres dixit tu in lecto esse quod ex pedibus laborares. Tuli scilicet moleste, ut debui, sed tamen constitui ad te venire, ut et viderem te et viserem et cenarem etiam : non enim etiam arbitror concum etiam te arthriticum habere. Exspecta igitur hospitem cum minime edacem tum inimicus cenis sumptuosis.Nam multi vivant ut manducem, cum ego manducem ut vivam.
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Ieri giunsi nel Cumano, domani forse giungerò da te; ma, come certamente saprai, ti informerò tra un po’. Del resto Marco Cepario, poiché mi venne incontro nella selva Gallinaria e mi chiese che cosa facessi, disse che tu ti trovi allettato, poiché ti trovi in difficoltà a causa dei piedi. Ovviamente sopporterò a malincuore, come debbi, ma comunque sono deciso a venire da te, sia per vederti, sia per visitarti sia anche per cenare; non credo infatti che tu hai anche un cuoco ammalato di gotta. Attendi dunque un ospite per nulla vorace inoltre nemico delle cene costose. Infatti molti vivono per mangiare mentre invece io mangio per vivere.
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In Hercynia silva, quae ab Helvetiorum finibus pertinet ad fines Dacorum et Anartium, multa genera ferarum nascuntur, quae reliquis in locis non vivunt. Est bos, cervi figura, cuius a media fronte inter aures unum cornu exsistit excelsius magisque directum cornibus,quae nobis nota sunt. Sunt item animalia quae appellantur alces. Horum animalium figura et pellium varietas consimilis est figurae et varietati pellium caprarum. Alces mutilae sunt cornibus et crura sine nodis articulisque habent: si quo afflictae casu conciderunt, erigere sese ac sublevare non possunt.Tertium est genus eorum, qui uri appellantur. Hi sunt magnitudine paulo infra elephantos, specie et colore et figura tauri. Magna vis eorum est et magna velocitas. Amplitudo cornuum et figura et species multum a nostrorum boum cornibus differt. Germani horum animalium cornua argento circumcludunt atque in amplissimis epulis ea pro poculis habent.
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Nella selva Ercinia, che si estende dai confini degli Elvezi fino a quelli dei Daci e degli Amarti, nascono molti tipi di bestie, che non vivono nei restanti luoghi. C’è un bue, dalle sembianze di un cervo, sulla cui fronte nel mezzo tra le orecchie c’è un corno dritto e più alto dei corni che ci sono noti. Ci sono anche animali chiamati alci. L’aspetto e la varietà delle pelli di questi animali sono simili alla figura e alla varietà delle pelli delle capre. Le alci sono prive di corna e hanno le gambe senza nodi nè giunture: se per caso cadono a terra afflitti, non possono erigersi e rialzarsi. Il terzo è la specie di quelli che sono chiamati bisonti. Questi sono in grandezza poco più piccoli degli elefanti, sia nella specie. E' grande la loro forza e la loro velocità. Differisce molto per ampiezza delle corna, l’aspetto e la specie delle corna dai nostri buoi.
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Cum essent consules Lucius Manlius Vulso et Marcus Attilius Regulus, Romani in Africam bellum transtulerunt et contra Hamilcarem, Carthaginiensium ducem, terra marique pugnaverunt et compluribus proeliis victores fuerunt. Nam, cum sexaginta naves perdidisset, Hamilcar cum reliquis copiis, quae ad tria milia hominum erant, in patriam recessit. In navali proelio Romani viginti duas naves perdiderunt. Cum postea exercitum viginti ilium hominum in Africam traduxissent, primum Clypeam, nobilem Africae civitatem, in dedicionem acceperunt et consules, cum quindici milia passuum processissent non longe a Carthagine castra posuerunt.Inde, cum multas vastationes ferisse, Manlius victor Romam post septem menses revertit et viginti duo milia captivorum in Italiam traduxit. Atilius Regulus contra in Africa remansit et contra Afros ter aciem instruxit, adversus tres Carthaginiensium duces conflixit et ter victor evasit. Duodeviginti milia hostium cecidit, quinque milia cum undeviginti elephantis cepit, Septuagint quattuor civitates in fidem accepit. Tum Carthaginienses, cum de rebus suis desperarent, pacem a Romanis petiverunt.
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Quando erano consoli Lucio Manlio Vulso e Marco Attilio Regolo, I Romani portarono Guerra in Africa e combatterono contro Amilcare, comandante dei Cartaginesi, per terra e per mare e risultarono vincitori in molti combattimenti. Infatti Amilcare, avendo perso sessanta navi, ritornò in patria con le truppe rimanenti, che erano (formate) da circa tremila uomini. Nel combattimento navale i romani persero ventidue navi. In seguito, avendo trasferito in Africa l’esercito di ventimila uomini, presero in un agguato per prima Clipea, città famosa dell’Africa, e i consoli, essendo andatia vanti di quindicimila passi, posero l’accampamento non lontano da Cartagine. Quindi, avendo fatto molte devastazioni, Manlio tornò vincitore a Roma dopo sette mesi e trasportò in Italia ventimila dei prigionieri. Al contrario Attilio Regolo rimase in Africa e formò tre schiere contro gli Africani, combatté contro tre combattenti dei cartaginesi e uscì come vincitore per tre volte. Uccise diciottomila dei nemici, ne catturò cinquemila con diciannove elefanti r accolse sotto ala propria protezione settantaquattro città. Allora i Cartaginesi, disperando delle proprie cosa, chiesero al pace ai romani.
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Existunt etiam saepe iniuriae calumnia quadam et nimis callida sed malitiosa iuris interpretatione. Ex quo illud "summum ius summa iniuria" factum est iam tritum sermone proverbium. Quo in genere etiam in re publica multa peccantur ut ille qui cum triginta dierum essent cum hoste indutiae factae noctu populabatur agros quod dierum essent pactae non noctium indutiae. Ne noster quidem probandus si verum est Q. Fabium Labeonem seu quem alium--nihil enim habeo praeter auditum --arbitrum Nolanis et Neapolitanis de finibus a senatu datum cum ad locum venisset cum utrisque separatim locutum ne cupide quid agerent ne appetenter atque ut regredi quam progredi mallent.Id cum utrique fecissent aliquantum agri in medio relictum est. Itaque illorum finis sic ut ipsi dixerant terminavit; in medio relictum quod erat populo Romano adiudicavit. Decipere hoc quidem est non iudicare. Quocirca in omni est re fugienda talis sollertia.
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I torti spesso nascono da una sorta di cavillosità troppo sottile ma capziosa interpretazione della legge. Di qui è derivato quel proverbio oramai a tutti noto "somma giustizia, somma ingiustizia". Ed in questo modo anche nell'amministrare lo stato si commettono molti errori, come quello che, dopo che era stata concordata una tregua di trenta giorni con il nemico, di notte saccheggiava i campi, poiché era stata pattuita una tregua di giorni, non di notti. Non deve essere lodato, se è vero, neppure il nostro concittadino Fabio Laberone o qualcun altro non dispongo d'altro eccetto il sentito dire - che inviato ai Nolani ed ai Napoletani dal Senato come arbitro per i confini,essendo arrivato sul posto, parlò separatamente ed entrambi, affinché non compissero alcunché avidamente, né prepotentemente, ed anzi preferissero piuttosto retrocedere che avanzare. Avendo fatto ciò entrambi, come essi stessi avevano detto;quello che era rimasto nel mezzo lo assegnò al popolo romano. Ma questo è ingannare, non giudicare; perciò in ogni cosa bisogna evitare astuzie di questo tipo.
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In omni domo nudi ac sordidi in hos artus, in haec corpora, quae miramur, excrescunt. Sua quemque mater uberibus alit, nec ancillis ac nutricibus delegantur. Dominum ac servum nullis educationis deliciis dignoscas: inter eadem pecora, in eadem humo degunt, donec aetas separet ingenuos, virtus adgnoscat. Sera iuvenum venus, eoque inexhausta pubertas. Nec virgines festinantur; eadem iuventa, similis proceritas: pares validaeque miscentur, ac robora parentum liberi referunt.Sororum filiis idem apud avunculum qui ad patrem honor. Quidam sanctiorem artioremque hunc nexum sanguinis arbitrantur et in accipiendis obsidibus magis exigunt, tamquam et animum firmius et domum latius teneant. Heredes tamen successoresque sui cuique liberi, et nullum testamentum. Si liberi non sunt, proximus gradus in possessione fratres, patrui, avunculi. Quanto plus propinquorum, quanto maior adfinium numerus, tanto gratiosior senectus; nec ulla orbitatis pretia.
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In ogni famiglia crescono nudi e sporchi verso queste membra, questi corpi, che ammiriamo. Ogni madre nutre al seno il figlio, e (i bambini) non sono affidati alle ancelle o alle nutrici. Non si potrebbe distinguere il padrone e lo schiavo da nessuna superiorità di educazione; abitano tra le stesse pecore, sullo stesso terreno, fino a che l’età non distingua i nati liberi, (e) il valore (li) metta in evidenza. L’attività sessuale dei giovani (è) tardiva, e perciò forte la virilità. E le fanciulle non si affrettano; stesso vigore giovanile, statura quasi uguale: si sposano pari di robustezza, e i figli ripetono la vigoria dei genitori. I figli delle sorelle (hanno) lo stesso onore presso lo zio materno che presso il padre. Questa parentela (loro la) considerano la più sacra e la più onesta, e nel ricevere ostaggi richiedono soprattutto (questa parentela), come se tenessero più fermamente l’animo e più vastamente la casa. Tuttavia, ciascuno ha come eredi e successori i figli, e nessun testamento. Se non ci sono figli, il grado più vicino nel diritto di possessione (sono) i fratelli, gli zii paterni, gli zii materni. Quanto più (sono) i parenti, quanto maggiore il numero degli affini, tanto più onorata (è) la vecchiaia; e nessun vantaggio (c’è) per chi non ha figli.
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Diogenes, omnium philosophorum acerbissimus, solus erat, amicorum inops. Nam, cum olim aliqui cives eum ad cenam invitavissent, ille inter epulas sine ulla temporis intermissione quae convivae dicebant derisit. Ex eo omnes eum evitaverunt nec quisquam ad cenam invitabat. Hanc solitudinem Diogenes aegre ferebat et quodam die, cum maestus cenaret, murem vidit qui huc illuc cursitabat, panis micas humi quaerens. Tum bestiolam paulisper contemplatus est et subridens secum locutus est: “Hic mus, parvo contentus, vitam beatissimam agit nec cuisquam amicitia eget; tu autem, Diogenes, quid doles?”.Statim animum erexit et, quamvis solus, vitam serenam egit.
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Diogene, il più pungente di tutti i filosofi, era solo, privo di amici. Infatti, avendolo un tempo alcuni amici invitato a cena, quello derise le cose che dicevano i commensali tra le portate senza alcuna interruzione di tempo. Da allora tutti lo evitarono né qualcuno lo invitava a cena. Diogene sopportava malvolentieri questa solitudine e un giorno, cenando triste, vide un topo che correva di qua e di là, cercando a terra le briciole di pane. Allora osservò un po' la bestiola e sorridendo disse tra sé: “Questo topo, contento del poco, conduce una vita molto beata né ha bisogno dell'amicizia di alcuno; invece tu, Diogene, perché ti lamenti?”. Subito sollevò l'animo e, sebbene solo, condusse una vita serena.
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Pausanias vir clarus Sparta, et virtute laudatur et vitiis vituperatur. Apud Plateas Mardonium Medorum satrapem, cum ingenti exercitu delevit. Cum classe Cyprum et Hellespontum missus, barbarorum presidia pari fortuna depulit. Superbia crescente, Xerxi Persarum regi ille captivos Xersis propinquos remisit, datis Gongulo Cretensi ad regem litteris. Haec erat litterarum summa: "Remisi ad te propinquos tuos tecumque affinitate coniungi cupio; Spartam et omnem Greciam tibi tradam, si filiam mihi nuptui dabis".Sed Pausanias in suspicionem Lacedaemoniorum venit et in vincula coniectus est ab ephoris. Cives expectabant occasionem ut illum punirent, atque ita evenit. Nam postquam Pausanias Argilio puero litteras ad Xerxem dedit, puer litteras solvit atque, comperta coniuratione et proditione patriae, ad ephoros litteras dedit. Pausanias in templum Minervae confugit sed, templo obserato et tecto diruto ab ephoris, semianimis ex templo extractus est
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Pausania, uomo famoso a Sparta, è lodato per la virtù e criticato per i vizi. A Platea annientò con un imponente esercito Mardonio, satrapo dei Medi. Inviato con una flotta verso Cipro e l'Ellesponto, respinse con uguale successo le difese dei barbari. Aumentando la <sua> superbia, egli restituì al re dei Persiani Serse i parenti di Serse prigionieri, essendo stata data una lettera per il re a Gongulo il Cretese. Questa era l'insieme <del contenuto> delle lettera: "Ti ho restituito i tuoi parenti e desidero essere unito con te da un legame di parentela: tradirò per te Sparta e l'intera Grecia, se mi darai in sposa una figlia". Ma Pausania venne in sospetto degli Spartani e fu gettato in carcere dagli efori. I cittadini aspettavano l'occasione per punirlo, e così accadde. Infatti dopo che Pausania diede al fanciullo Argilio una lettera per Serse, il fanciullo aprì la lettera e, essendo stata scoperta la congiura e il tradimento della patria, consegnò la lettera agli efori. Pausania si rifugiò nel tempio di Minerva, ma, essendo stato chiuso il tempio e distrutto il tetto dagli efori, fu estratto morente dal tempio.
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Locus est miser famosusque. Ibi incendia saepe accidunt; tecta aedificiorum lignea facile exardescunt atque cedunt; muri quoque adsidue reficiuntur et adsidue corruunt. Bene facit, ergo, amicus meus,: lectulum indumentaque sua in raeda una componit Romaque saeva excedit. Nunc Volsinios tutus incolit atque inter nemorosa iuga, sub patulae fagi umbra ad auras canit quiete. Nos autem Romam ubique foetidam et pericoli plenam incolimus: lignea enim adminicula aedificia fulciunt; ibi incolae anxii dormiunt atque interdum ruina interficiuntur.Heri incendium magnum flagrabat atque in viarum angustias pererrabat. Incolae repente e lecto prosilievanti, conclamabant, aquam poscebant, a flammis filios feminasque eripiebant. Iam tabulata tertia fumant. Iam ultimum tabularum ardet, tegulae concidunt, trabes corruunt; flammae altae volvuntur atque propter ventos tectis vicinis iniciuntur. Per cubicula feminae currunt eiulantque; viri, pueri puellaeque de muris praecipitantur. Proximi aedificii incolae, adhuc ignari, damna conspiciunt, timent, celeriter per angiporta trepidi fugiunt. Puer cantharum, parvos urceolos, ollam in cista portat. Flammae eum cistamque suam avidae vorant. Amici mei, Romam fugite. Hortulum parvum puteumque emite et sic sine curis vivetis ab incendiis remoti.
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Il luogo è povero e conosciuto. Lì accadono sempre incendi; i tetti lignei degli edifici facilmente prendono fuoco e cadono: anche i muri sono ricostruiti continuamente e continuamente crollano. Fai bene, dunque, amico mio: raccogli il letto e i suoi vestiti in una sola carrozza e lascia la funesta Roma. Ora invece abiti i campi volsini e tra monti boscosi, sotto l’ombra di ampi faggi canti tranquillamente per le tue orecchie. Noi invece abitiamo a Roma dovunque fetida e piena di pericoli: infatti pali di legno sostengono gli edifici; lì dormono gli abitanti preoccupati e inoltre sono uccisi dal crollo. Ieri bruciava un grande incendio e camminava nelle strettezza delle vie. Gli abitanti levatisi dal letto all’improvviso, gridavano, portavano acqua, portavano via i figli e le mogli dalle fiamme. Già il terzo piano fuma. Già brucia l’ultimo piano, cadono le tegole, crollano le travi; le alte fiamme sono mosse e a causa dei venti sono portate sopra i tetti vicini. Le donne corrono attraverso le stanze da letto e urlano; gli uomini, i bambini e le bambine sono gettati dai muri. Gli abitanti degli edifici vicini, che finora non se ne erano accorti, guardano i danni, hanno paura, fuggono velocemente spaventati attraverso le viuzze. Un bambino porta un cantaro, piccoli orci, una pentola in una cesta. Le fiamme divorano avide lui e la sua cesta. Amici miei, scappate da Roma. Comprate un orto piccolo e un pozzo e così vivrete senza pensieri lontani dagli incendi.
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Omnium certe interest venditorem bonae fidei semper esse.Qui enim suam rem vendit neque vitia obscurare neque laudes praeter modum celebrare debet ut pluris vendat. Claudius Centumalus ab auguribus iussus est altitudinem domus suae, quam in Caelio monte habebat, summittere, quia his ex arce augurium capientibus officebat, sed vendidit eam Calpurnio Lanario nec indicavit quod imperatum a collegio augurum erat. A quibus Calpurnius demoliri domum coactus, venditorem fraudis accusavit et M.Catonem arbitrum controversiae sumpsit.Cato, ut est edoctus de industria Claudium praedictum sacerdotum suppressisse, continuo dupli illum damnavit, summa quidem cum aequitate, quia bonae fidei venditorem nec commodorum spem augere obscurare ad iustitiam refert.
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A ognuno sicuramente importa che il mercante sia perennemente di buona fede. Difatti colui che mette in vendita i suoi averi non deve celare gli svantaggi né evidenziare eccessivamente i pregi per guadagnare maggiormente.A Claudio Centumalo è stato ordinato dagli aruspici di ridurre l'altezza della sua dimora, che possedeva sul monte celio, perché ostacolava loro il ricevimento dell'augurio dalla rocca, però la vendette a Lanario nè disse l'accaduto che gli era stato ordinato dal collegio degli auguri. Dai quali Calpurnio è stato obbligato a distruggere la casa, accusò di truffa il venditore e prese Catone come giudice. Catone, mentre comunicò a Claudio Centumalo, intenzionato a mettere in vendita la dimora, che per imposizione dei prelati bisognava distruggere l'abitazione, d'improvviso decreto che da Centumalo bisognava che fosse consegnato il doppio al compratore. Oh verdetto pieno di prudenza e giustizia! E' opportuno difatti che nei venditori ci sia sempre la buona fede, e non si deve aumentare la speranza dei pregi e non si deve celare la consapevolezza dei difetti.
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Tum matronae ad Veturiam matrem Coriolani Volumniamque uxorem frequentes coeunt. Pervicere ut et Veturia, magno natu mulier, et Volumnia duos parvos ex Marcio ferens filios, secum in castra hostium irent et, quoniam armis viri defendere urbem non possent, mulieres precibus lacrimisque defenderent.Ubi ad castra ventum est nuntiatumque Coriolano est adesse ingens mulierum agmen, primo multo obstinatior adversus lacrimas muliebres erat; dein familiarium quidam qui insignem maestitia inter ceteras cognoverat Veturiam, inter nurum nepotesque stantem, "Nisi me frustrantur - inquit - oculi, mater tibi coniunxque et liberi adsunt."Coriolanus prope ut amens, consternatus ab sede sua cum ferret matri obviae complexum, mulier in iram ex precibus versa, "Sine, priusquam complexum accipio, sciam – inquit - ad hostem an ad filium venerim. In hoc me longa vita et infelix senecta traxit ut exsulem te, deinde hostem viderem? Potuisti populari hanc terram quae te genuit atque aluit? Non, cum in conspectu Roma fuit, succurrit: “Intra illa moenia domus ac penates mei sunt, mater coniunx liberique?” Ergo, ego nisi peperissem, Roma non oppugnaretur; nisi filium haberem, libera in libera patria mortua essem.Uxor deinde ac liberi amplexi fletusque ob omni turba mulierum ortus et comploratio sui patriaeque fregere tandem virum. Complexus inde suos dimittit: ipse retro ab urbe castra movit.
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Allora numerose matrone giunsero da Veturia, madre di Coriolano e dalla moglie [di quest’ultimo] Volumnia; ottennero che sia Veturia, donna in età avanzata, sia Volumnia, che portava due figli piccoli avuti da Marzio (=Coriolano), andassero con loro nell’accampamento dei nemici e poiché gli uomini non erano in grado di difendere la città con le armi , che fossero le donne a difenderla con le preghiere e con le lacrime.Come si giunse all’accampamento e fu annunciato a Coriolano che c’era una grande folla di donne, in un primo momento egli era molto più irritato per le lacrime delle donne; in seguito, uno dei suoi amici, per la notevole tristezza, avendo riconosciuto Veturia che se ne stava in mezzo alle nuore e ai nipoti, disse: “Se i miei occhi non sbagliano, tua madre, la tua consorte ed i tuoi figli sono qui davanti a te”.[Poiché] Coriolano, quasi fuori di sé, costernato, si slanciò dal suo seggio per abbracciare la madre che gli veniva incontro, la donna passata dalla preghiera all’ira, disse: “Lascia, prima, che io riconosca il tuo abbraccio, permettimi di sapere se sono venuta da un nemico o da un figlio. La lunga vita e infelice vecchiaia mi portarono a questo ,cioè a vedere te esule e poi nemico. Potresti mettere a ferro e fuoco la terra che ti ha generato e nutrito? Non ti venne in mette quando Roma fu sotto il tuo sguardo: “Fra quelle mura ci sono gli dei ed i miei antenati, mia madre, mia moglie e i miei figli?”. Dunque se non [ti] avessi partorito, Roma non sarebbe stata assediata. Se non avessi un figlio, sarei morta libera in una patria libera!”Allora la moglie ed i figli lo abbracciarono e il pianto in cui scoppiò la folla di matrone ed i loro lamenti per sé e per la patria, alla fine piegarono l’uomo. Quindi, dopo aver abbracciato i suoi, ritirò l’accampamento dalla città.
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"Decantatae" inquis "in omnibus scholis fabulae istae sunt; iam mihi, cum ad contemnendam mortem ventum fuerit, Catonem narrabis". Quidni ego narrem ultima illa nocte Platonis librum legentem posito ad caput gladio? Duo haec in rebus extremis instrumenta prospexerat, alterum ut vellet mori, alterum ut posset. Compositis ergo rebus, utcumque componi fractae atque ultimae poterant, id agendum existimavit ne cui Catonem aut occidere liceret aut servare contingeret; et stricto gladio quem usque in illum diem ab omni caede purum servaverat, 'nihil' inquit 'egisti, fortuna, omnibus conatibus meis obstando.Non pro mea adhuc sed pro patriae libertate pugnavi, nec agebam tanta pertinacia ut liber, sed ut inter liberos, viverem: nunc quoniam deploratae sunt res generis humani, Cato deducatur in tutum". Impressit deinde mortiferum corpori vulnus; quo obligato a medicis cum minus sanguinis haberet, minus virium, animi idem, iam non tantum Caesari sed sibi iratus nudas in vulnus manus egit et generosum illum contemptoremque omnis potentiae spiritum non emisit sed eiecit.
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Tu dici: "Queste leggende sono state raccontate in ogni scuola; e ora mi racconterai la storia di Catone l'Uticense, quando si arriverà al disprezzo della morte". Perché non dovrei raccontare che in quell'ultima famosa notte leggeva un libro di Platone, posta una spada una spada accanto alla testa? In questa circostanza estrema solo due strumenti si era procurato, uno che gli dava la volontà di morire, l'altro che gliene dava la possibilità. Dunque messe insieme le cose come potevano essere messe insieme, stimò che si dovesse fare ciò affinché non fosse possibile a nessuno ucciderlo né gli toccasse salvarlo, e impugnata la spada che aveva conservato intatta da qualsiasi strage fino a quel giorno, disse: "Non hai fatto nulla, fortuna, opponendoti ad ogni mio tentativo. Finora non per la mia, ma per la libertà della patria ho lottato, né agivo con tanta ostinazione per vivere libero, ma per vivere tra uomini liberi: ora poiché la condizone del genere umano è disperata, Catone sia condotto al sicuro". poi impresse una ferita mortale al corpo; medicato dai medici, nonostante avesse meno sangue, meno forze, ma la stessa forza d'animo, adirato non tanto con Cesare, quanto con se stesso, spinse le mani nude nella ferita e non esalò, ma strappò quello spirito nobile e sprezzante di ogni potere.
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At memoria minuitur, nisi eam exerceas. Themistocles omnium civium perceperat nomina. Nec vero quemquam senem audivi oblitum esse, quo loco thesaurum obruisset. Philosophi senes quam multa meminerunt! Manent ingenia senibus, modo permaneat studium et industria. Sophocles ad summam senectutem tragoedias fecit; quod propter studium cum rem neglegere familiarem videretur, a filiis in iudicium vocatus est, ut illum quasi desipientem a re familiari removerent iudices.Tum senex dicitur eam fabulam, quam in manibus habebat et proxime scripserat, Oedipum coloneum, recitasse iudicibus quaessisseque num illud armen desipientis videretur. Quo recitato, sentientiis iudicum est liberatus.
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Ma la memoria si attenua se non la eserciti. Temistocle aveva imparato a memoria i nomi di tutti i suoi concittadini. Nè, in verità, ho mai di alcun vecchio che avesse dimenticato in quale luogo aveva seppellito un tesoro. I filosofi, quante cose si ricordano anche da vecchi! Ai vecchi rimangono le capacità intellettuali, purchè rimangano lo studio e l’operosità. Sofocle scrisse delle tragedie fino alla vecchiaia avanzata: poichè, a causa di questo suo impegno, sembrava trascurare gli affari familiari, fu citato in giudizio dai figli, affinchè i giudici lo allontanassero dal patrimonio familiare come se fosse un uomo insensato (pazzo). Allora si dice che il vecchio recitò di fronte ai giudici quella tragedia che aveva tra le mani e che aveva scritto di recente, "Edipo a Colono", e chiese se forse quella sembrava l’opera di un pazzo. Dopo averla recitata, fu prosciolto dalla sentenza dei giudici.
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Porsena, Etruscorum rex, Romam iam diu obsidione cingebat (1) et Romanos magnopere minis terrebat (2). Mulieres deos invocabat (3) ne Porsena urbem deleret (4). Tunc C. Mucius Scaevola, strenuus vir Romanus, vocavit (4) ad se amicos, quibus dixit: “Amici, consulimus Urbis saluti; si quis nostrum Porsenam necaverit (5), Roma salva erit”. Ipse Mucius se obtulit (6) ut Etruscorum regem occideret (7) et in castra hostium venit. Sed Porsenae scribam, non regem occidit.Rogatus cur hoc fecisset (8) respondit Porsensae: “Tuum scribam necavi, sed alii iuvenes Romani te necabunt”. Et dexteram manum combussit (9), magnum fortitudinis animi exemplum praebens (10) regi.da Eutropio
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Porsenna, re degli Etruschi, già da molto tempo cingeva d’assedio Roma e con le (sue) minacce terrorizzava molto i Romani. Le donne invocavano gli dèi affinché Porsenna non distruggesse la città. Allora, Gaio Munzio scevola, un coraggioso uomo romano, chiamò a sé i suoi amici ai quali disse: “Amici, provvediamo alla salvezza della città; se qualcuno fra di noi avrà ucciso Porsenna,, Roma sarà salva” Lo stesso Munzio si offrì per uccidere il re degli Etruschi e si recò nell’accampamento dei nemici. Ma uccise lo scriba di Porsenna e non il re. Interrogato sul motivo per cui avesse fatto ciò, , rispose a Porsenna: “Ho ucciso il tuo scriba, ma altri giovani romani ti uccideranno”. E si bruciò la mano destra, mostrando al re un grande esempio di forza d’animo.Paradigmi dei verbi(1) cingo, is, cinxi, cinctum, ĕre(2) terrĕo, terres, terrui, territum, terrēre(3) invoco, invocas, invocavi, invocatum, invocāre(4) voco, vocas, vocavi, vocatum, vocāre(5) neco, necas, necavi (o necŭi), necatum, necāre(6) offero, offĕrs, obtŭli, oblatum, offerre(7) occīdo, occīdis, occidi, occisum, occīdĕre(8) făcĭo, făcis, feci, factum, făcĕre(9) comburo, comburis, combussi, combustum, comburĕre(10) praebĕo, praebes, praebui, praebitum, praeb
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Armis obsidibusque acceptis, Crassus in fines Vocatium et Tarusatium venit. Tum vero barbari commoti, quod aliud oppidum paucis diebus a Romanis expugnatum erat, copias parare inceperunt. Mittuntur etiam ad civitates Hispaniae, finitimas Aquitaniae legati; ab illis auxilia ducesque arcessuntur. Illorum adventus spe confirmata, Galli bellum gesturi sunt. Ubi primum Crassus id animadvertit, hanc rem ad consilium dixit et, omnibus consentientibus, posterum diem pugnae constituit.Prima luce productis omnibus copiis, duplici acie instituta, consilia inimicorum exspectavit. Galli propter hominum multitudinem et veterem belli gloriam paucitatemque nostrorum facilem victoriam existimabant, at tamen tutius putabant, obsessis viis et commeatu intercluso sine ullo vulnere victoriam obtinere; sic Galli, hoc consilio probato, milites suos in castris tenebant. Hac re perspecta, Crassus, postquam hostium cunctationem timoris indicium putavit, omnibus Romanis pugnare cupientibus, milites suos incitavit et ad hostium castra contendit.
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Ricevute le armi e gli ostaggi, Crasso andò nei territori dei Vocati e dei Tarusati. Quindi i barbari, in verità turbati, poiché in pochi giorni era stata espugnata un'altra città dai Romani, iniziarono a schierare le truppe. Sono anche inviati ambasciatori alle città della Spagna, vicine all'Aquitania; da quelle sono procurate truppe ausiliarie e generali. Confermata la speranza del loro arrivo, i Galli hanno intenzione di intraprendere una guerra. Non appena Crasso si accorse di ciò, riferì questo fatto al consiglio e, essendo tutti d'accordo, stabilì il giorno successivo per la battaglia. Esposte tutte le truppe alla prima luce, schierato in duplice fila l'esercito, aspettò le decisioni dei nemici. I Galli, per la moltitudine degli uomini e per l'antica gloria di guerra e per l'esiguo numero dei nostri, ritenevano facile la vittoria, ma tuttavia ritenevano più sicuro, occupate le strade e chiuso il passaggio, ottenere senza alcun danno la vittoria; così i Galli, approvata questa decisione, tenevano i loro soldati nell'accampamento. Considerata questa situazione, Crasso, dopo che ritenne indizio di paura l'esitazione dei nemici, poiché tutti i Romani desideravano combattere, incitò i suoi soldati e marciò verso l'accampamento dei nemici.
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Dea Minerva pugnam accepit sed puellam punivit quia nimia superbia inflata erat. Puella magna peritia pulchram telam texit et amatorias fabulas pinxit; dea autem mira industria summoque artificio lina texit et Olympios deos pinxit. Tandem Aeachne dea peritia victa est: tum Minerva Lydiae puellae operam violenta ira scidit et sic dixit: ”Quia insolentiam erga deos et superbiam miseram ostendisti telas in perpetuum texes!”; statim puellam in araneam vertit.
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La dea Minerva accolse la sfida però punì la fanciulla, siccome era troppo superba. La fanciulla tesseva con grande perizia una bella tela e rappresentava le favole d'amore; la dea, al contrario con grande capacità e sommo ingegno tesseva il lino e raffigurava gli dei dell'Olimpo. La dea fu vinta dalla abilità di Aracne, così Minerva strappò con feroce rabbia l'opera della fanciulla e allora affermò: "Siccome hai manifestato verso gli dei l'arroganza e una misera superbia, tesserai incessantemente le tele!". Immediatamente tramutò la fanciulla in un ragno.
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Pro plurimis gravissimisque proeliis et laboribus Achilles ancillam venustissimam obtinuérat, Briseidem nomine. Adulescens puellam vehementi impetu diligebat sed Agamemnon, rex potentior quam prudentior, Briseidem Achilli surripuit pro Chryseide, Chrysae patri reddita. Heros igitur, dolore et ira valde permotus, cum militibus suis pugna abstinuit. Sed tali modo belli exitus mutavit: nam sine Achillis auxilio Graeci in acie inferiores evadebant. Tum Patroclus, amicorum carissimus, Achillis consensu herois arma induit et Mirmidones ad pugnam duxit; Hector autem, Troiugenum fortissimus, aliquanto fortior Patroclo erat adversariumque acerrimo certamine prostravit.Tum Achilles, acerbissimo dolore adflictus, erravit diu iuxta pelagi ripas altissimos eiulatus edens atque divinam matrem invocans. Thetis e caeruleis undis emersit et suavissimis verbis filii dolorem lenivit, promittens satisfactionem de Agamemnonis iniuria atque poenas pro Patrocli caede.
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Per le moltissime e grandissime battaglie e fatiche Achille aveva ottenuto una bellissima ancella di nome Briseide.Il giovane amava la ragazza con forte passione, ma Agamennone, re più forte che prudente , portò via Briseide ad Achille in cambio di Criseide, restituita al padre Crise.L' eroe perciò, spinto fortemente dal dolore e dall' ira, si astenne dalla battaglia con i suoi soldati. Ma in tale modo l' esito della guerra cambiò: infatti, senza l' aiuto di Achille i Greci risultavano più deboli in battaglia.Allora Patroclo, il più caro degli amici, con il consenso di Achille indossò le armi dell' eroe e condusse in battaglia i Mirmidoni.Ma Ettore, il più forte dei Troiani, era alquanto più forte di Patroclo e abbatté in un acerrimo duello il nemico.Allora Achille, afflitto da un durissimo dolore, errò a lungo accanto alle altissime rive del mare emettendo alti lamenti e invocando la madre divina. Teti emerse dalle onde cerulee e placò il dolore del figlio con dolcissime parole, promettendo soddisfazione riguardo all' offesa di Agamennone e vendetta per l' uccisione di Patroclo.
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At tum quidem regem propius adeuntem maximus natu e sacerdotibus filium appellat, hoc nomen illi parentem Iovem reddere adfirmans. Ille se vero, et accipere ait et adgnoscere, humanae sortis oblitus. Consuluit deinde, an totius orbis imperium fatis sibi destinaretur; vates aeque in adulationem conpositus terrarum omnium rectorem fore ostendit. Post haec institit quaerere, an omnes parentis sui interfectores poenas dedissent. Sacerdos parentem eius negat ullius scelere posse violari, Philippi autem omnes luisse supplicia; adiecit invictum fore, donec excederet ad deos.Sacrificio deinde facto, dona et sacerdotibus et deo data sunt, permissumque amicis, ut ipsi quoque consulerent Iovem: nihil amplius quaesierunt quam an auctor esset sibi divinis honoribus colendi suum regem. Hoc quoque acceptum fore Iovi vates respondet.
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Ma allora il più grande per età fra i sacerdoti davvero chiama figlio il re che si avvicinava, assicurando che il padre Giove attribuiva a lui questo titolo. Ed egli dice sia di accettarlo sia di riconoscerlo, dimenticando la sorte umana. Quindi domandò se gli fosse stato destinato dal fato il dominio di tutta la terra; il vate egualmente atteggiato ad adulazione rivelò che sarebbe stato il signore di tutte le terre. Dopo ciò insistette nel chiedere se tutti gli assassini di suo padre avessero scontato le pene. Il sacerdote dice che suo padre non può essere oltraggiato dal delitto di alcuno, mentre tutti avevano espiato i tormenti di Filippo; aggiunse che sarebbe stato invincibile, finché non si fosse elevato agli dei. Quindi compiuto il sacrificio, furono offerti doni sia ai sacerdoti sia al dio, e fu permesso anche agli amici di consultare Giove: non chiesero nulla di più che consigliasse loro di venerare il loro re con onori divini. Il sacerdote risponde che anche questo sarebbe stato gradito a Giove.
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Romulus adversus Tatium processit et in eo loco, ubi nunc Romanorum forum est , pugnam conserit. Primo impetu, vir Romanus, iaculo ictus, cecidit; cuius interitu Romam animo costernati sunt et fugae se dederunt. Tum Sabini clamitabant: “Quid Romani putabant? Quae fuit arrogantia huius populi? Nonne nunc pertimescunt? Hoc sciant Romam: aliud est virgines rapere, aliud pugnare cum viris!”. Sed Romulus arma ad caelum levavit exercitumque romanum monuit ut strenue pugnaret.Proelium redintegrant milites sed raptae mulieres se inter tela adversariorum eiecerunt atque pacem inter Romanos et Sabinos conciliaverunt.
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Romolo procedette contro Tazio e diede battaglia nello stesso luogo dove è il foro Romano. Al primo scontro, un Romano, colpito da un giavellotto, cadde; i Romani a causa della sua morte furono sconvolti nell’animo e si diedero alla fuga. Allora i Sabini gridavano: “Che credevano i Romani? Quale fu l’arroganza di questo popolo? Non hanno ora forse paura? I Romani sappiano questo: una cosa è rapire le fanciulle, un’altra è combattere con gli uomini!”. Ma Romolo levò le armi al cielo e ammonì l’esercito Romano, di combattere valorosamente. I soldati riprendono il combattimento ma le donne rapite si gettarono tra le armi degli avversari e favorirono la pace tra Romani e i Sabini.
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Cum Lacedaemonii Messenios armis vincere non possent, missis legatis, oraculum Delphicum consuluerunt de belli eventu. Iis responsum est ut novum ducem ab Atheniensibus peterent, qui in contemptum Tyrtaeum poetam, claudum altero pede, miserunt. Spartani, tribus proeliis fusi, ad tantam desperationem adducti sunt ut reges eorum reducere exercitum in animo haberent. Sed intervenit Tyrtaeus, carmina sua exercitui pro contione recitans, in quibus hortamenta virtutis conscipserat.His carmini bus tantum ardorem militi bus inieci ut, cum in pugnam ardentissimo animo concurrissent, hostes profligaverint et fugaverint.
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Poiché gli Spartani non potevano vincere i Messeni, dopo aver mandato gli ambasciatori, consultarono l’oracolo di Delfi sull’esito della guerra. A questi fu risposto che nominassero un nuovo comandante dagli Ateniesi, i quali mandarono il poeta Tirteo zoppo da un piede con disprezzo. Gli Spartani, sconfitti in tre battaglie, condotti a tanta disperazione che il loro re pensava di ritirare l’esercito. Ma intervenne Tirteo, recitando all’esercito le sue poesie. Con queste poesie diedi tanto ardore ai soldati che, avendo combattuto con ardentissimo animo, sconfissero e misero in fuga i nemici.
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Porsena, Etruscorum rex, Romam obsidione cingebat. Etruscorum castra apud fluminis Tiberis ripas erant ibique multae puellae Romanae abside tenebantur. Inter obsides erat Cloelia, virgo magni animi miraque forma, quae libertatem exoptabat: quare clam media nocte Etruscorum custodes eludit et cum puellarum agmine e castris fugit; flumen inter tela hostium audacter tranat, denique Romam pervenit, ubi patribus matribusque filias tradit. Sed senatores regis Porsenae iram timebant, quia inter Romanos atque Etruscos foedus erat.Nam rex per legatos Cloeliam deposcit: Romani pacta observant et statim virginem restituunt. Cloelia ad Etruscorum castra redit et Porsena, magna virginis fortitudine commotus, eam liberat et Romam remittit. Ad memoriam Cloeliae facinoris Romani in via Sacra animosae virginis statuam posuerunt.
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Porsenna, re degli Etruschi, cingeva d’assedio Roma. L’accampamento degli Etruschi era presso le rive del fiume Tevere e lì molte fanciulle romane erano tenute prigioniere. Tra le prigioniere c’era Clelia, giovane di grande animo e di straordinaria bellezza, che desiderava la libertà: per questo di nascosto in piena notte elude le guardie e con una schiera di fanciulle fugge dall’accampamento; passa coraggiosamente il fiume tra le armi dei nemici, poi arriva a Roma, dove consegna le figlie alle madri e ai padri. Ma i senatori temevano l’ira del re Porsenna, perché tra Romani ed Etruschi c’era un patto. Infatti il re chiede Clelia attraverso gli ambasciatori: i Romani osservano i patti e subito restituiscono la giovane. Clelia ritorna all’accampamento degli Etruschi e Porsenna, colpito dalla grande forza della giovane, la libera e rimanda a Roma. A ricordo di dell’impresa di Clelia i Romani posero in via Sacra una statua della giovane coraggiosa.
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In primis (in un primo luogo) tirones edocendi sunt militarem gradum (marcia). Nihil enim magis in itinere custodiendum est quam ut (più che) omnes milites incedendi ordinem servent. Ergo militari gradu (passo) viginti milia passuum horis quinque conficienda sunt. Set et cursui praecipue assuefaciendi sunt iuniores, ut maiore impetu in hostem procurrant, ut ad explorandum alacriter pergant. Ad saltum etiam, quo vel fossae transiliuntur vel impediens aliqua altitudo superatur, exercendus est miles.Natandi usus aestivis mensibus omnis tiro debet condiscere. Ideoque veteres Romani Campum Martium vicinum Tiberi delegerunt ut iuventus post exercitium armorum sudorem pulveremque dilueret ac lassitudinem cursus natando (nuotando) deponeret.In eligendis vero praefectis magna cura adhibenda est. Centurio eligendus est magnis viribus, procera statura, vigilans, sobrius, magis ad facienda quae ei imperantur quam ad loquendum paratus. Similiter eligendus est decurio, qui turmae equitum praeponatur, in primis habili corpore ut loricatus possit in equum ascendere, equitare fortissime, turmales suos erudiendos curare.
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In primo luogo le reclute devono essere addestrate alla marcia militare. Infatti durante il cammino non si deve rispettare niente più che tutti i soldati conservino l'ordine di marcia. Dunque a ritmo militare si devono eseguire venticinquemila passi l' ora. ma i più giovani devono abituarsi in modo particolare anche alla corsa per avanzare contro il nemico con maggior impeto, per spingersi prontamente all'esplorazione. Il soldato si deve esercitare anche nel salto, con cui o sono oltrepassate le fosse o è superata qualche altitudine che si frappone. La recluta deve apprendere tutte le pratiche di nuoto nei mesi estivi. Perciò gli antichi romani scelsero il Campo Marzio vicino al Tevere, affinchè la gioventù dopo l'esercizio delle armi si ripulisse dal sudore e dalla polvere ed allontanasse la stanchezza della corsa nuotando. In verità deve essere posta grande attenzione nello scegliere i prefetti. Si deve eleggere un centurione per la grande forza, per la grande statura, vigile, sobrio, preparato più ad eseguire ciò che gli viene ordinato che a parlare. Nello stesso modo si deve scegliere un decurione, che sia posto a capo della schiera dei cavalieri, soprattutto dal fisico abile affinchè possa salire a cavallo munito di lorica, cavalcare con molta forza, pensare che i cavalieri della sua torma debbano essere istruiti.
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At ille ut Carthaginem venit, multo aliter, ac sperarat, rem publicam se habentem cognovit. Namque diuturnitate externi mali tantum exarsit intestinum bellum, ut numquam in pari periculo fuerit Carthago, nisi cum deleta est. Primo mercennarii milites, qui adversus Romanos fuerant, desciverunt; quorum numerus erat XX milium. Hi totam abalienarunt Africam, ipsam Carthaginem oppugnarunt. Quibus malis adeo sunt Poeni perterriti, ut etiam auxilia ab Romanis petierint eaque impetrarint.Sed extremo, cum prope iam ad desperationem pervenissent, Hamilcarem imperatorem fecerunt. Is non solum hostis a muris Carthaginis removit, cum amplius C milia facta essent armatorum, sed etiam eo compulit, ut locorum angustiis clausi plures fame quam ferro interirent. Omnia oppida abalienata, in his Uticam atque Hipponem, valentissima totius Africae, restituit patriae. Neque eo fuit contentus, sed etiam finis imperii propagavit, tota Africa tantum otium reddidit, ut nullum in ea bellum videretur multis annis fuisse.
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Ma quando giunse a Cartagine, apprese che lo stato si trovava in una condizione molto diversa da quanto aveva sperato. Infatti, a causa della lunga durata della guerra esterna, scoppiò una tale guerra civile che Cartagine non si trovò mai in un pericolo simile se non quando fu distrutta. Prima di tutto si ribellarono i soldati mercenari che avevano combattuto contro i romani, il cui numero era di ventimila. Questi spinsero tutta l’Africa a ribellarsi e attaccarono la stessa Cartagine. I cartaginesi furono a tal punto atterriti da questi attacchi che chiesero rinforzi ai romani e li ottennero. Ma alla fine, quando avevano ormai quasi raggiunto la disperazione, nominarono Amilcare comandante supremo. Questo, non solo respinse gli avversari dalle mura di Cartagine sebbene i soldati fossero saliti a più di centomila, ma a dirittura li ridusse al punto che, serrati in posti molto stretti, soccombettero più a causa della fame che per arma. Restituì alla patria ogni città ribelle, fra queste Utica e Ippona, le più potenti di tutta l’Africa. E non fu contento di ciò, ma ampliò persino i confini dell’Impero, in tutta l’Africa ristabilì tanta pace che sembrava che in essa non ci fosse stata una guerra da molti anni.ParadigmiVenio-is-veni-ventum-ireSpero-as-avi-atum-areHabeo-es-habui-habitum-ereCognosco-is-cognovi-cognitum-ereExardesco-is-exarsi-exarsum-ereSum-es-fui-esseDeleo-es-delevi-deletum-ereDescisco-is-descivi / descii-descitum-ereAbalieno-as-avi-atum-areOppugno-as-avi-atum-arePerterreo-es-perterrui-perterritum-erePeto-is-petii-petitum-ereImpetro-as-avi-atum-arePervenio-is-perveni-perventum-ireFacio-is-feci-factum-ereRemoveo-es-removi-remotum-ereCompello-is-compuli-compulsum-ereClaudo-is-clausi-clausum-ereIntereo-is-interii,-interitum-ireRestituo-is-restitui-restitutum-erePropago-as-avi-atum-areReddo-is-reddidi-redditum-ereVideor-eris-visus sum-eri.
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Canis calumniator resposcebat ab ove panem, quem dederat mutuum. contendebat autem ovis numquam se a cane panem accepisse; cum autem ante iudicem venissent, canis multos dixit se habere testes, et statim lupum introduxit, qui talia verba dixit: “Scio canem ovi panem commendavisse”. Deinde supervenit milvus: “Coram me – inquit – accepit”. Tertius accipiter dixit: “Cur, improba, hoc negas, te panem accepisse?”. Ovis, a falsis testibus victa, ante tempus lanas suas vendidit, ut, quod non acceperat, redderet.Sic calumniatores fictis criminibus innocentes opprimunt.
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Un cane denigratore esigeva il pane che aveva offerto in prestito ad una pecora. D’altra parte la pecora reputava di non aver mai avuto dal cane del pane ; allora arrivati dinnanzi ai giudici, il cane affermò di avere parecchi testimoni, e immediatamente mostrò il lupo, che affermò quello che segue: “So che il cane aveva dato alla pecora del pane. Dopo arrivò un rapace che affermò: “L’ha ottenuto in mia presenza”. Per terzo lo sparviero affermò: “Come mai rifiuti questo,bugiarda, di aver ottenuto il pane?”. La pecora, assalita da finti testimoni, vendette la sua lana prima del tempo per ridare quel che non aveva ottenuto.In questo modo i denigratori assalgono gli innocenti con finti crimini.
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Cum Syracusarum tyrannus erat Dionysius, qui admodum crudelis erat ac cives cotidie variis modis excruciabat, Phintias Pythagoreus, suis civibus proficere volens, statuit eum necare. Sed, dum Phintias pugione tyrannum percussurus est, Dionysii custodes eum comprehenderunt et ad tyrannum perduxerunt, qui eum capitis damnavit. Phintias sententiam aequo animo accepit sed a tiranno tres dies petivit, ut posset matrem postremum revisere, et amicum Damonem sponsorem dedit.Dionysius, Damone in vincula coniecto, Phintiam liberavit. Phintias matrem revisit sed eius reditus admodum difficilis fuit, quia, prae pluvia vehementi, altum ac turbineum flumen transire non poterat. Die costituta iam milites Damonem pro Phintia necaturi erant, cum repente amicus pervenit. Dionysius, tanto fidei documento motus, Phintiae veniam concessit ambosque amicos incolumes dimisit.
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Quando Dionigi era tiranno di Siracusa, che era parecchio crudele e opprimeva i cittadini ogni giorno in diverse maniere, il pitagorico Finzia, volendo aiutare i suoi concittadini, stabilí di ucciderlo. Peró quando Finzia stava per attaccare il tiranno con il pugnale, le guardie di Dionigi lo catturarono e portarono dal tiranno, che lo condannò a morte. Finzia accettó la sentenza con spirito tranquillo, peró chiese al tiranno tre giorni per poter rincontrare la madre per l’ultima volta e diede come garanzia il compagno Damone. Dionigi, messo in catene Damone, liberò Finzia. Finzia rincontró la madre e il suo ritorno fu parecchio arduo, poichè, per una forte pioggia, non poteva attraversare un fiume profondo e turbinoso. Nel giorno decretato già i soldati stavano per ammazzare Damone invece di Finzia, quando improvvisamente il compagno arrivò. Dionigi, colpito da una prova talmente immensa di lealtà alla parola data, diede la clemenza a Finzia e lasciò andare tutte e due i compagni salvi.
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clarus astrologus cotidie sub vesperum e villa in agros properabat atque stellas intente observabat. Olim axtra viam ambulabat- Totum animum in atris tenebat, ideoque repente puteum calcat et in imam aquam praecipitat. Tum plebat et lamentis loca omplebat. Forte muliercula lepida augutaque ea loca peragrabat, lamenta audiebat et astrologo dicebat: tu astrorum vias in caelo spectas, sed in terra vias non vides!
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il famoso astrologo ogni giorno verso sera andava rapidamente dalla casa ai campi e osservava con attenzione le stelle .Una volta com'era sua abitudine camminava fuori casa e teneva tutta l'attenzione sulle stelle, e per questo motivo calpestò improvvisamente una fossa e precipitava nelle acque più profonde. Allora piangeva e riempiva con lamenti il luogo .Per caso una graziosa donnetta percorreva quei luoghi, la quale udì i lamenti e disse all'astrologo :" tu guardi le vie delle stelle, ma non vedi le vie in terra ".
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Ac principio terra universa cernatur, locata in media sede mundi, solida et globosa et undique in sese conglobata nutibus suis, vestita floribus, herbis, arbori bus, frugibus, quorum varietatem aliquis gaudio insaziabili miratus sit. Licet pulchra sint hominum opera, licet mirabilia carmina a poetis composita sint! Quid ergo est? Glidorum fontium perennitas mirabilior est! Adde huc liquores perlucidos amnium, riparum vestitus viridissimos, speluncarum concavas amplitudines, saxorum asperitates, impendentium montium altitudines immensitatesque campo rum; adde etiam recondita sauri argentique venas infinitatemque vim marmoris.Quid autem dicamus de bestiis, cicuribus aut feris? Nonne videmus quam varia genera sint? Quis autem volucrum cantus despiciat? Quid iam de hominum genere dicam? Qui, quasi cultores essent terrae, non patiuntur eam nec immani tate beluarum efferari nec stirpium asperitate vastari. Si haec oculis atque animis videre possemus, nemo, cunctam intuens terram, de divina ratione dubitaret.
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E all’inizio si distingue la terra nella sua interezza, collocata al centro dell’universo, densa, sferica e arrotondata in sé stessa in ogni luogo secondo le proprie volontà, adorna di fiori, alberi, frutti, della cui moltitudine chiunque ne sarebbe meravigliato con gioia insaziabile. È lecito che siano una bella opera degli uomini, è lecito che siano composti i più straordinari canti dai poeti! Che cos’è dunque? La perennità delle fonti gelide è più degna di ammirazione! Aggiungi a ciò anche le acque cristalline dei fiumi, i rivestimenti verdissimi delle rive, le concave grandezze delle grotte, le asperità dei sassi, l’altezza dei monti impraticabili, le immensità dei campi; aggiungi anche i nascosti filoni di oro ed argento e l’infinita forza del marmo. Che cosa però potremmo dire degli animali, sia di quelli addomesticati che di quelli selvaggi? Forse che non vediamo quanti diversi tipi ne esistano? Chi invece disprezza il canto degli uccelli? Che cosa potrei già dire del genere umano? Questi, quasi fossero dei coltivatori della terra, non tollerano che quella sia devastata né dalla disumanità delle bestie né dall’asperità delle piante. Se possiamo vedere ciò con i nostri occhi e con i nostri animi, nessuno, osservando tutta la terra, dubiterebbe dell’esistenza di una mente divina
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Libenter ex his, qui a te veniunt, cognomi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. “ Servi sunt “. Immo nomine. “ Servi sunt”. Immo contubernales. “ Servi sunt”. Immo humiles amici. “ Servi sunt”. Immo conservi, si cogitaveris utrosque expositos esse fortunae. Itaque stulti mihi videntur qui turpe existimant cum servo suo cenare. At infelicibus servis ne movere labra quidem licet ut loquantur. Murmur omne virga compescitur, et ne fortuiti quidem soni verberibus excepti sunt, tussis, sternumenta, singultus: si forte ulla voce silentium interpellant, tota nocte ieiunti mutique perstare iubentur.Deinde eadem adrogantia fertur proverbium illud, totidem hostes esse quot servos: non enim illi hostes sunt sed a nobis creantur, cum illis abitimur non tamquam ho minibus, sed tamquam iumentis. Cum ad cenandum discubuimus, alius sputa detergere iubetur, alius reliquias temulentorum colligere; alius preziosa aves scindit, infelix, qui huic uni rei vivit, ut altilia decenter secet; alius vini minister in muliebrem modum ornatus, cum aetate lutatura, ut iuvenis in aeternum vedeatur.
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Ho appreso piacevolmente da questi, che vennero da te, che tratti familiarmente gli schiavi: ciò si addice alla tua saggezza ed alla tua cultura. “ Sono servi “. Invece sono uomini. “ Sono servi “. Invece sono compagni. “ Sono servi “. Invece sono umili amici. “ Sono servi “. Invece sono compagni di schiavitù, se pensi che siete entrambi in balia della fortuna. Dunque mi sembrano stupidi quelli che ritengo vergognoso cenare con un loro servo. Invece ai servi infelice non è neppure lecito muovere le labbra per parlare. Ogni brusio è contenuto con un colpo di frusta e sicuramente anche i suoni accidentali sono allontanati con colpi di frusta, la tosse, gli starnuti e i singhiozzi: se interrompono il silenzio fortemente, è ordinato che rimangano tutta la notte a digiuno e muti. In seguito con la medesima presunzione si racconta quel famoso proverbio, che esistono tanti nemici quanti servi: quelli infatti non sono nemici ma sono creati da noi, poiché gli sfruttiamo non tanto come uomini, ma come bestie da soma. Quando ci sediamo a cenare, è ordinato ad uno di pulire gli sputi, ad un altro di radunare le restanti persone ubriache; un altro ancora uccide i preziosi uccelli, infelice, perché vivere solo per quella cosa, affinché uccida decentemente i volatili; un altro, il servo del vino, adornato come una donna, poiché si deve opporre all’età che avanza, sembra che debba essere giovane per sempre.
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Clara est formica industria sua, cicada autem vita otiosa et nimia imprudentia. Aestate summa - sic narrat fabella - cicada beate cantat, operas vitat et consumit escas quas florida natura sponte silvarum belvis praebet. Sedula formica autem magnam micarum copiam per rimas terrae trahit et in latebram suam congerit; frustra formica cicadam eius stultitia reprehendit et industria sua a cicada deriditur. Sed postea bruma procellas inducit, terram herbasque siccat; assiduae pluviae belvas prohibent e latebris evadere.Stulta cicada in latebra sua escam non habet et inedia laborat; formicae autem magna micarum copia est et imprudentia cicadae a formica merito luditur.
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Famosa è la formica per la sua laboriosità, la cicala al contrario per la vita oziosa e per la smisurata incoscienza. Nel culmine dell'estate, così raccontano le favole, la cicala canta allegramente, schiva i lavori e mangia il cibo che la fiorente natura concede in modo spontaneo agli animali dei boschi. La laboriosa formica al contrario trasporta una grande abbondanza di briciole attraverso le crepe della terra e le raccoglie nella sua dimora, la formica invano ammonisce la cicala per la sua stoltezza e viene schernita dalla cicala per la sua laboriosità. Però poi l'inverno porta bufere e inaridisce il suolo e le erbe, le abbondanti piogge ostacolano le bestie di uscire dalle dimore. La stolta cicala non ha rifornimenti nella propria tana e si strazia per la carenza, al contrario la formica ha una enorme quantità di briciole e l'incoscienza della cicala viene schernita giustamente dalla formica.
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In vasta planitie, quae ad meridiem vergebat, consul die statuta aciem instruxit et pugnae signum dedit. Ingentes erant hostium vires, dux autem rei militares peritus et rebus gestis insignis ( erat ). Hostes cursus irruperunt in romanorum dextrum cornu quod impetum sustinuit et in acie permansit. Totum per diem proelium anceps fuit. Sub vesperum con sul equites immittit in hostes inopinantes qui improviso impetu perturbantur et paulatim cedunt. Tum spes victoriae nostris augentur: pedites sagittarii, funditores procurrunt, pila ac sagittas mittentes, et aciem hostium infringunt qui terga vertunt et fuga salutem petunt.
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Nella vasta pianura, che volgeva a sud, il console, nel giorno stabilito, dispose le truppe in ordine di battaglia e diede il segnale della battaglia. Le truppe dei nemici erano ingenti, il comandante (era) esperto nell’arte della guerra ed (era) insigne nel gestire le circostanze. I nemici irruppero di corsa sul lato destro dei Romani che fece fronte all’assalto e restarono fermi nella battaglia. Per tutto il giorno l’esito della battaglia fu incerto. Sul far della sera il console fa avanzare la cavalleria verso i nemici (che) presi alla sprovvista sono scompigliati dall’inaspettato assalto e si ritirano alla spicciolata. Allora sono accresciute la speranza della vittoria nei nostri: fanti, arcieri e frombolieri si slanciano avanti, scagliando giavellotti e frecce, e infrangono il campo di battaglia dei nemici i quali voltano le spalle e cercano la salvezza nella fuga.
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Neptunus, clarus Saturni et Rheae filius, firmum pelagi imperium habebat; deus marinus alti pelagi et rapidorum fluviorum aquarum dominus et patronus putabatur; neptunus marino carro vehebatur; ab equis marinis de carrus trahebatur. Neptunus turbidades procellas morvebat et sedabat. a graecis et romanis neptuno sacra temola et purae arae in insulis, promuntoriis et maritimis oris aedificabuntur, pulchrae dei statuae in stadiis et in circo collocabuntur; deo marino rubustus taurus saepe in sacrificiis immolabitur.
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Nettuno, illustre figlio di Saturno e Rea, aveva il dominio dei mari; era considerato il dio del mare signore e padrone delle acque dell'alto mare e dei veloci fiumi; Nettuno era condotto in giro da una carrozza marino, la carrozza era trainata da cavalli marini. Nettuno muoveva e asserenava le turbolenze delle tempeste. Da Greci e Romani in onore a Nettuno sacri santuari erano costruiti e bei altari sulle isole, sulle penisole e nelle caverne marine, furono poste nello stadio e nel circo sublimi statue del dio; al dio marino si sacrificava molte volte in offerta un imponente bue.
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Caedi vero discentis, quamlibet id receptum sit et Chrysippus non improbet, minime velim, primum quia deforme atque servile est et certe (quod convenit si aetatem mutes) iniuria: deinde quod, si cui tam est mens inliberalis ut obiurgatione non corrigatur, is etiam ad plagas ut pessima quaeque mancipia durabitur: postremo quod ne opus erit quidem hac castigatione si adsiduus studiorum exactor adstiterit. Nunc fere neglegentia paedagogorum sic emendari videtur ut pueri non facere quae recta sunt cogantur, sed cur non fecerint puniantur.Denique cum parvolum verberibus coegeris, quid iuveni facias, cui nec adhiberi potest hic metus et maiora discenda sunt?
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Tuttavia, anche se ciò è stato accettato e Crisippo non lo respinge, io non vorrei assolutamente che i bambini fossero picchiati, anzitutto perché è sconveniente e utile solo con gli schiavi ed è anche offensivo; inoltre perché, se uno ha un’indole tanto ignobile da non essere corretta con il rimprovero, costui si indurirà anche di fronte alle percosse, come tutti gli schiavi peggiori; infine perché non ci darà bisogno di questo tipo di castigo se sarà vicino un’assidua guida per gli studi. Oggi per lo più a causa della negligenza dei maestri, sembra giusto correggere in modo che i bambini non siano costretti a fare ciò che è bene, ma siano punti perché non lo hanno fatto. Infine, se anche avrai obbligato il bambino con le percosse, che cosa farai al giovane per cui non vale più questa paura e che deve imparare nozioni più difficili?
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Legio Pompeiana celeris spe subsidii confirmata ab decumana porta resistere conabatur atque ultro in nostros impetum faciebat. Equitatus Caesaris quod angusto itinere per aggeres ascendebat receptui suo timens initium fugae faciebat. Dextrum cornu quod erat a sinistro seclusum terrore equitum animadverso ne intra munitionem opprimeretur ea parte quam proruerat sese recipiebat ac plerique ex his ne in angustias inciderent ex X pedum munitione se in fossas praecipitabant primisque oppressis reliqui per horum corpora salutem sibi atque exitum pariebant.Sinistro cornu milites cum ex vallo Pompeium adesse et suos fugere cernerent veriti ne angustiis intercluderentur cum extra et intus hostem haberent eodem quo venerant receptu sibi consulebant omniaque erant tumultus timoris fugae plena adeo ut cum Caesar signa fugientium manu prenderet et consistere iuberet alii admissis equis eodem cursu confugerent alii metu etiam signa dimitterent neque quisquam omnino consisteret.
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La legione di Pompeo, confortata dalla speranza di un pronto soccorso, cercava di resistere alla porta decumana e reagire ai nostri. La cavalleria di Cesare, siccome si vide a passare per uno stretto varco attraverso il rialzo, avendo paura di non potersi battere in ritirata dava inizio alla fuga. L'ala destra, che era divisa dalla sinistra, intuendo che i cavalieri erano in preda all'angoscia, poichè avevano paura di essere calpestati entro la cittadella, si dava alla ritirata dal fianco dal quale era entrato e la maggior parte di quei soldati, per non ritrovarsi in strettoie,saltarono da un terrapieno alto dieci piedi dal fossato e, calpestati i primi che avevano saltato, gli altri trovavano salvezza e uscita saltando sulle loro membra. I soldati dell'ala sinistra,scorgendo dal bastione che Pompeo si avvicinava e che i loro compagni scappavano, avendo paura di ritrovarsi intrappolati in strettoie con il nemico avanti e indietro, tentarono la ritirata da dove erano arrivati. Dappertutto c'era scompiglio, timore, fuga, cosi che, malgrado Cesare prendeva gli stendardi dalle mani di chi scappava e ordinava di arrestarsi, taluni, abbandonati i cavalli, proseguivano la loro fuga, altri per la paura lasciavano pure le insegne e nessuno continuava a resistere.
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Saturnus deus erat Romanosque magna cum benevolentia regebat ac protegebat. In scholis autem a magistris de Saturnomira fabula narratur, a poetis composita. "Olim", narrat magister, "a love filio Saturnus, universi ac deum dominus, regno expellitur; tunc ex Olympo in Italiam venit atque in Latio receptaculum invenit; ibi enim ab incolis comiter excipitur et Latinorum regnum obtinet. Tum vero inter paeninsulae incolasconcordia atque benevolentia vigebant,quia Saturnus regni fundamentum in iustitia ac temperantia ponebat.Ideo Saturni regnum adhuc grata memoria celebratur: nam Saturni aevum aureum, Italiae terra autem etiam Saturnia appellantur; a Romae incolis, denique, quotannis etiam nunc ad Saturni memoriam magna frequentia ac magnificentia ludis iocisque Saturnalia aguntur.
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Saturno era un dio e con grande favore guidava e tutelava i Romani. Nelle scuole però dai maestri sono raccontate storie su Saturno, realizzate dai poeti. Una volta, racconta il docente, dal figlio Giove Saturno, signore dell'universo e degli dei, venne mandato via dal regno, così andò dall'Olimpo in Italia e trovò rifugio nel Lazio, qua difatti venne ospitato favorevolmente dai cittadini e ottenne il regno del Lazio. Così tra gli abitanti della penisola convivevano intesa e benevolenza, poichè Saturno metteva la base del regno nella giustizia e controllo. Allora il regno di Saturno è elogiato con lieto ricordo: difatti dopo l'epoca d'oro di Saturno, le terre di Italia sono soprannominate Saturnia, dagli abitanti di Roma in conclusione, ogni anno pure adesso sono realizzate in ricordo di Saturno con grande costanza e bellezza degli spettacoli e ludi i Saturnalia.
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Herculis templum est apud Agrigentinos non longe a foro sane sanctum apud illos et religiosum. Ibi est ex aere simulacrum ipsius Herculis, quo non facile dixerim quicquam me videsse pulchrius (tametsi non tam multum in istis rebus intellego quam multa vidi), usque eo, iudices, ut rictum eius ac mentum paulo sit attritius, quod in precibus et gratulationibus non solum id venerari, verum etiam osculari solent. Ad hoc templum, cum esset iste1 Agrigenti, duce Timarchide, repente nocte intempesta servorum armatorum fit concursus atque impetus.Clamor a vigilibus fanique custodibus tollitur. Qui primum cum obsistere ac defendere conarentur, male mulcati clavis ac fastibus repelluntur. Postea convolsis repagulis ecfractisque valvis demoliri signum ac vectibus labefactare conantur. Interea ex clamore fama tota urbe percrebuit expugnari deos patrios non hostium adventu necopinato neque repentino praedonum impetu, sed ex domo atque ex cohorte praetoria manum fugitivorum instructam armatamque venisse.
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C’è un tempio sacro ad Ercole presso gli Agrigentini, non lontano dal foro, davvero venerabile presso di quelli e sacro. Lì c’è una statua di bronzo proprio di quel famoso Ercole, della quale difficilmente (lett. non facilmente) potrei dire di averne vista una più bella – anche se non sono molto esperto in queste cose tanto quanto le molte cose che ho visto – fino a quel punto, o giudici, che l’apertura della bocca e un po’ del mento sono rovinati, poiché nelle preghiere e nei rendimenti di grazie non solo sono soliti venerarla ma anche baciarla. Verso questo tempio, poiché costui si trovava ad Agrigento, all’improvviso, sotto il comando di Timarchide, a notte fonda accorsero e ci fu l’assalto di (alcuni) servi armati. Si levò un grido dalle guardie del tempio e dai custodi; i quali dapprima poiché tentarono di resistere e di respingerli, furono colpiti a colpi di randello e bastone uscendone malconci. In seguito divelti i catenacci e sfondata la porta cercarono di tirare giù la statue e di smuoverla con delle leve. Intanto per il rumore in tutta la città si sparse la voce che gli dei patrii erano conquistati, non per l’arrivo inaspettato dei nemici né per il rapido attacco di pirati, ma (si sparse la voce che) era giunto dalla città e dalla guardia del corpo del generale un manipolo schierato ed armato di fuggitivi.
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Quo in discrimine versetur salus mea et bonorum omnium atque universae rei publicae ex eo scire potes quod domus nostras et patriam ipsam vel diripiendam vel inflammandam reliquimus. In eum locum res deducta est ut, nisi qui deus vel casus aliquis subvenerit, salvi esse nequeamus. Equidem, ut veni ad urbem, non destiti omnia et sentire, et dicere, et facere quae ad concordiam pertinerent; sed mirus invaserat furor non solum improbis, sed etiam iis qui boni habentur, ut pugnare cuperent, me clamante nihil esse bello civili miserius.Itaque, cum Caesar amentia quadam raperetur et, oblitus nominis atque honorum suorum, Ariminum, Pisarum, Anconam occupavisset, urbem reliquimus: quam sapienter aut quam fortiter, nihil attinet disputari.
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In quale pericolo si trova la salvezza mia e di tutti gli onesti e dell’intera repubblica, ciò lo puoi capire dal fatto che abbiamo lasciato le nostre case e la stessa patria (destinate) o al saccheggio o al fuoco. La situazione è stata condotta a tal punto che, se un qualche dio o un qualche evento accidentale non sopraggiunge, non possiamo essere salvi. Senza dubbio, quando arrivai in città, non mancai di pensare e dire e fare tutte le cose che mirano alla concordia, ma una strana follia si era impadronita non solo dei disonesti, ma anche di coloro che sono considerati onesti, al punto che desideravano combattere, anche se io proclamavo che non c’era niente di più misero della guerra civile. Pertanto, essendo Cesare preso da una certa pazzia ed avendo occupato Rimini, Pesaro, Ancona, Arezzo, dimentico del suo nome e dei suoi onori, lasciammo la città: quanto saggiamente o quanto coraggiosamente, non importa discuterne.
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Potestas regni atque imperii dar ipotest solum a Deo vero, qui datarus est felicitatem in regno caelorum solis piis; regnum vero terrenum et pii set impiis, sicut ei placet, et Deo nihil ingiuste placet. Unus igitur verus Deus, qui numquam deserturus est nec deserturus erit genus humanum, antiquitus Romanis regnum dedit. Mundus igitur atque universum totum plane a Domino uno et vero regitur et gubernatur, ut ei placet: causae occultae sunt, at numquam iniustae.Sic etiam tempora bellorum sunt in Domini arbitrio, sicut in eius iusto sudicio est misericordia vel adterere vel ricreare genus humanum, ita ut alia bells citius, alia tardius finiantur. Cristiani ergo sempre magna cum fide Deum verum orare debent.
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La possibilità di governare e ordinare, in realtà, può essere data solamente da Dio, che nel regno dei cieli ha intenzione di dare la felicità solamente ai credenti; invece concederà il regno terreno ai credenti e agli empi, così come preferisce, e Dio non preferisce niente ingiustamente. Quindi un solo vero Dio, che non ha mai lasciato la specie umana e che non la lascerà mai, anticamente donò il regno ai Romani. Quindi il mondo e circa tutto il cosmo, in realtà, è sia giusto sia guidato da un solo Signore, come gradisce: le cause sono misteriose, però mai scorrette. Allora pure i momenti di guerra sono a scelta del Signore, come nel suo giusto parere vi è misericordia o di devastare o di far rigenerare la specie umana, affinché alcune guerre terminano prima, altre più tardi. Quindi i Cristiani devono sempre supplicare il vero Dio con enorme fede.
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Inter patres et plebem, acres contentiones usque a primordio urbis fuerant. Nam patricii omnes divitias possidebat civitatemque arroganter administrabant. Plebs contra graves labores tolerare, onerosa vectigalia pendere et in summa paupertate vitam degere debebat; sic plebeiorum via valde ardua ac difficilis erat. Sed olim plebei urbem reliquerunt, in Sacrum Montem secesserunt ibique castra posuerunt. Nam sic cogitabant: "Si terram colere recusaverimus agri messes iam non suppeditabunt, et patriciorum mensae pane carebunt: tunc fortasse plebis iura valebunt".Atque ita evenit. Patricii legatos ad plebem miserunt et legati senatorum verba nuntiaverunt: "Remeate, cives, in urbem! Patricii enim debita vestra remittent atque in posterum pericula laboresque aequaliter inter patres ac plebem distribuent". Tunc plebei simultates deposuerunt et in urbem remeaverunt; ceterum patricii promissa servaverunt tribunosque ad defensionem plebis creaverunt.
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Fin dagli inizi della città c'erano state aspre lotte tra patrizi e plebei. Infatti i patrizi possedevano tutte le ricchezze e amministravano la città arrogantemente. La plebe invece doveva sopportare le pesanti fatiche, pagare pesanti tributi e vivere in grande povertà; così la vita dei plebei era molto difficile e dura. Ma una volta i plebei lasciarono la città, si radunarono sul Monte Sacro e posero qui l'accampamento. Infatti pensavano così: "se smetteremo di coltivare la terra i campi non forniranno più le messi e le mense dei patrizi scarseggeranno di pane: allora forse i diritti della plebe varranno" . E così accadde. I patrizi mandarono ambasciatori alla plebe e gli ambasciatori annunciarono le parole dei senatori: "Tornate in città, o cittadini! I patrizi infatti rimetteranno i vostri debiti e distribuiranno ugualmente le fatiche e i pericoli tra patrizi e plebei. Allora i plebei si arresero e tornarono in città; del resto i patrizi mantennero le promesse e crearono in difesa della plebe i tribuni.
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Arion Corinthius omnes fidium cantu delectavit. Corintho, ut narrant, in Siciliam atque Italiam venit, ubi arte sua ingentem quaestum fecit. Postea Corinthum remeare statuit et navem conscendit. At in itinere nautae pecuniam Arioni subripuerunt ac paraverunt ei insidias. Tunc Arion rem intellexit et nautas sic oravit: «Ante perniciem meam, audite miseri Arionis suaves cantus!». Illi precibus cesserunt at Arion in navis pupi de more ornatus cantavit: sed repente se iecit in profundum.Nautae cantorem in fluctibus deseruerunt neque de Arionis interitu dubitaverunt. Tum autem nova miraque res contigit: delphinus, quem cantus ad navem attraxerat, Arioni dorsum subdidit incolumemque corpore et ornatu in terram Laconicam eum devexit.
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Arione di Corinto dilettava tutti con il suono della cetra. Da Corinto, come narrano, venne in Sicilia e in Italia, dove si guadagnò un ingente profitto con la sua arte. Quindi, decise di ritornare a Corinto e si imbarcò su una nave. Durante il viaggio i marinai sottrassero il denaro ad Arione e gli prepararono un'agguato. Allora Arione se ne accorse e pregò i marinai così: "Prima della mia rovina, ascoltate il soave canto dello sventurato Arione!" quelli cedettero alle preghiere e Arione, adornato secondo tradizione, cantò sulla poppa della nave: ma improvvisamente si gettò nell'alto mare. I marinai abbandonarono il cantore tra i flutti e non dubitarono della morte di Arione. Ma in quel momento accadde una cosa nuova e straordinaria: un delfino, che il canto aveva attratto alla nave, mise il dorso sotto Arione e lo trasportò incolume nel corpo e nell'abbigliamento fino alla terraferma spartana.
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Cato sextum et octogesimum annum agens, dum in re publica tuenda iuuenili animo perstat, ab inimicis capitali crimine accusatus causam suam egit, neque aut memoriam eius quisquam tardiorem aut firmitatem lateris ulla ex parte quassatam aut os haesitatione inpeditum animaduertit, quia omnia ista in suo statu aequali ac perpetua industria continebat. quin etiam in ipso diutissime actae uitae fine disertissimi oratoris Galbae accusationi defensionem suam pro Hispania opposuit.idem Graecis litteris erudiri concupiuit, quam sero, inde aestimemus, quod etiam Latinas paene iam senex didicit, cumque eloquentia magnam gloriam partam haberet, id egit, ut iuris ciuilis quoque esset peritissimus.
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Catone che stava vivendo l'86esimo anno d'età mentre continua a difendere lo Stato con giovanile esuberanza accusato di delitto capitale dai suoi nemici , prese le proprie difese ; nessuna vide un qualsiasi cedimento di memoria o un indebolimento della capacità polmonare né tantomeno una minor capacità di linguaggio dato che preservava tutte queste nel loro assetto originario in virtù di una indifesa attività. Anzi, in tarda età, contrappose all'atto d'accusa del fecondissimo oratore Galba un'orazione per la difesa della Spagna. Catone desiderò studiare la lingua greca; quanto tardi, lo deduciamo dal fatto che - già oramai anziano - cominciò ad approfondire addirittura la lingua latina; pur avendo conseguito grande gloria nell'eloquenza s'assorbì in quell'impresa per acquisire somma perizia anche in ambito di diritto civile.
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Graecorum principibus fere cunctis vulneratis, Patroclus, cum Achillis Arma induisset, contra Troianos in pugnam proficisci ausus est. Sperabat enim Troianos, armorum specie deceptos et Achillem iram suam deposuisse ratos, in fugam converti posse. Iam Hector , fossa non intermisso impetu traiecta, incendium Graecorum navibus minabatur, neque tamen Achilles Graecis in angustias compulsis opem ferebat; immo, implacabili odio detentus, sub tentorio otiosus sedebat et imperturbato vultu Graecorum corpora a Troianis Conesterni videbat.Troiani vero, ut Patroclum, fulgentibus Achillis armis tectum, incedentem conspexerunt, falsa specie decepti, paulatim regrediebantur. Patroclus contra, de periculo minime cogitans, hostes usque ad Troiae moenia insecutus, ab Hectore est interfectus, auctore Apolline atque adiutore. Achilles, quem antea nemo placare potuerat, ubi amicum mortuum esse cognovit, in medios hostes prosiluit et, magna edita strage, ad Mirmidonas rediit.
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Feriti quasi tutti i principi dei Greci, Patroclo, avendo indossato le armi di Achille, osò andare in guerra contro i Troiani. Sperava infatti che i troiani, ingannati con l'apparizione delle armi e convinti che Achille avesse deposto la sua ira, potessero volgersi in fuga. Ormai Ettore, attraversata la fossa con il continuato impeto, minacciava l'incendio alle navi dei Greci nè tuttavia Achille portava aiuto ai greci messi in difficoltà; anzi trattenuto da un implacabile odio sotto la tenda sedeva tranquillo e con il volto imperturbato vedeva i corpi dei Greci essere trucidati dai Troiani. In verità i Troiani arretravano a poco a poco, ingannati dalla falsa apparenza, quando videro Patroclo che incedeva coperto dalle splendenti armi di Achille. Viceversa PAtroclo, pensando molto poco al pericolo, avendo inseguito i nemici fino alle mura di Troia venne ucciso da Ettore, essendo aiutante e autore Apollo. Achille, che prima nessuno aveva potuto placare , quando seppe che l'amico era morto, saltò in mezzo ai nemici e fatta una grande strage ritornò dai Mermidoni.
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Graecia clara et pulchra Mediterranei paeninsula est sed ob montuosam territorii naturam terra non admodum frugifera est; ideo agricolae praesertim oleas et vites colunt et magnam vini oleique copiam ferunt. Graeci non solum agricolae industrii sed etiam periti nautae sunt: nam et Athenis et Corintho solvunt et per Aegaeum pelagus ad isulas Cretam RhodumCyprum vel ad Adia Africaeque oras perveniunt et magna negotia cum populis Mediterranei gerunt.Graeci multos deos deasque colunt et magnopere eorum iram timet: ideo magna templa dis aedificant et copiosa dona Superis Inferisque praebent. In Graecia multae urbes sunt sed praesertim memorantur Athenae poetarum ac philodophorum patriaet Spartapropter suam severam disciplinam clara.
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La Grecia è una illustre e bella penisola del mediterraneo, però non è molto feconda per la natura montuosa del territorio; quindi gli agricoltori seminano innanzitutto ulivi e viti e producono una enorme quantità di oli e vini. I Greci non sono solamente operosi agricoltori, però sono pure bravi naviganti, difatti salpano ad Atene ed a Corinto e arrivano alle isole di Creta, Rodi, Cipro o sulle coste dell' Asia e dell' Africa tramite il mar Egeo e stipulano affari con le popolazioni del mediterraneo. I Greci celebrano parecchi dei e parecchie dee e hanno molta paura della loro ira: quindi costruiscono grandi templi agli dei e danno ricchi regali agli dei del cielo e agli dei degli inferi. In Grecia vi sono parecchie città, però sono ricordate innanzitutto Atene, casa dei poeti e dei filosofi e Sparta, illustre per la sua rigida educazione.
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Ille Solon qui sapientissimus ominum Graecorum aestimabatur olim Croeso Lydiae ditissimo regi dixerat felicem vere dici posse eum tantum qui ad vitae exitum beatus pervenisset. Postea cum Cyrus Persarum rex Croesum cepisset et in rogum imposuisset ut ille vivus cremaretur audivit Lydiae regem inter gemitus Solonem nominantem. Interrogatus quis esset Solon Croesus: <Atheniensium - inquit - sapientissimus est; qui meas ingentes opes semper contempsit,adfirmans nullum hominem beatum dici posse qui nondum ad finem vitae feliciter pervenerit.Et hoc aequabile est in omnes qui se putent beatissimos suis opibus>. Tunc Cyrus pyram iam incensam exstingui iussit quod cognovisset se quoque mortalem esse et Croesum opibus inferiorem non fuisse at sapientem esse.
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Quel Solone, che era ritenuto il più colto di tutti gli uomini greci, un giorno aveva affermato a Creso, re tanto ricco della Lidia, di potersi realmente essere ritenuto contento quanto lui, poiché era arrivato felice alla fine della vita. Dopo, avendo Ciro, re dei Persiani, stretto Creso e avendolo condannato al rogo perché colui venisse arso vivo, sentì che il re della Lidia tra i lamenti invocava Solone. Domandato su chi fosse Solone, Creso disse " E’ il più colto tra gli Ateniesi, che disdegnò sempre le mie enormi fortune, pensando che nessun uomo può essere reputato contento se non arriva allegramente alla fine della vita. Questo vale per tutti coloro che si considerano molto contenti per i loro beni". Così Ciro comandò che la pira che era accesa venisse spenta, giacché aveva compreso che lui medesimo era un mortale e che Creso non era minore a lui per opere, e che era sapiente.
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Postquam Archidamus, Lacedaemoniorum rex, in Atticam cum magno exercitu irruit, omnium civium multitudo in urbem confugit, atque eodem tempore pestilentia gravis Piraei portum occupavit et in cives ingruit, qui intra moenia Athenarum erant congregati. Brevi tempore in cives omnium ordinum morbus et contagio saevit. Nec divites magis quam pauperes, nec viros magis quam feminas pestis iactavit. In tota urbe luctus erat et et ingens fletus et gemitus.In animalia quoque incidit morbus: viae ac porticus, ubi homines et animalia iacebant, spectaculum praebebant horribilem.
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Dopo che Archidamo, sovrano di Sparta, occupò l’Attica con un enorme esercito, tutto il popolo si nascose nella città; nel medesimo tempo, una peste spaventosa si espande nel porto del Pireo e si abbatte contro gli abitanti che si erano raccolti dentro le mura di Atene. In piccolo periodo, il contagioso morbo infuriò contro gli abitanti di qualsiasi ceto: la peste abbatte tanto i ricchi quanto i poveri, tanto gli uomini quanto le donne. Nell'intera città,vi era atmosfera di funerale, e gemiti e lamenti. La malattia si abbatte pure sugli animali: le strade ed i portici, dove si trovavano uomini e animali, davano uno scenario orrendo.
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Is Diagoras tris filios adulescentis habuit, unum pugilem, alterum pancratiasten, tertium luctatorem. Eos omnis vidit vincere oronarique Olympiae eodem die et, cum ibi cum tres dulescentes amplexi coronis suis in caput patris positis saviarentur, cum populus gratulabundus flores undique in eum iaceret, ibidem in stadio inspectante populo in osculis atque in manibus filiorum animam efflavit.
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Questo Diagora aveva Tre figli giovani, uno pugile, un altro atleta di pancrazio, il terzo lottatore. Li vide tutti e tre vincere e ricevere la corona ad Olimpia nel medesimo giorno e, mentre in quella circostanza i 3 giovani, abbracciatolo e poste le loro corone sul capo del padre, lo baciavano mentre il pubblico, congratulandosi, gettava da ogni parte fiori verso di lui, rese l'anima proprio li nello stadio, sotto gli occhi della gente, tra i baci e le braccia dei figli
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