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Postquam gallorum copiae contra romanos arma ceperant et a cn. cornelio dolabella consulae deletae erant, tarentini auxilim a pyrrho, epiri rege, petiverunt; rex igitur, qui ex genere achillis originem trahebat, mox ad italiam venit tumque primum romani cum transmarino hoste dimicaverunt. contra pyrrhum missus est consul p. valerius laevinus.apud heraclem atrox pugna commissa est. acriter diu pugnatum est, sed pyrrhus elephantorum quxilio postremo vicit, quia romani milites numquam tam ingentia animalia viderant et ob terrorem tandem terga verterunt.nox proelio finem dedit; laevinus per noctem fugit, pyrrhus multos captivos cepit et summo honore tractavi. postea epiri rex coniunxit sibi samnites, lucanos bruttiosque et romam perrexit. postquam omnia ferro ignisque vastaverat campaniaeque agros deleverat, praeneste oppidum venit. mox ingenti terrore romani capti sunt, sed pyrrhus tandem pacem petivit. | Dopo che le truppe dei galli avevano preso le armi contro i Romani e dopo che erano state distrutte dal console Cornelio Dolabella, è stato dichiarato guerra ai Tarentini poiché un offesa era stata arrecata agli ambasciatori Romani. I Tarentini chiesero aiuto a Pirro,re dell’ Epiro, contro i Romani; dunque il re, che traeva origine dalla stirpe di Achille, giunse subito in Italia e allora per la prima volta i Romani combatterono con un nemico da oltremare. Il console Publio Valerio Levino è inviato contro Pirro. E’ stato intrapreso una battaglia atroce presso Eraclea. A lungo è stato combattuto accanitamente, ma successivamente Pirro vinse con l’ aiuto degli elefanti, poiché i soldati romani non avevano mai visto animali tanto grandi e finalmente volsero le spalle per il terrore. La notte diede fine alla battaglia, durante la notte Levino fugì, Pirro catturò molti prigionieri e tratto con grandissimo onore. In seguito il re dell’Epiro riunì a sé i Sanniti, i Lucani e i Bruzii e si diresse verso Roma. Dopo aver devastato col ferro e fuoco e dopo aver distrutto i campi della Campania, giunse alla città di Preneste. Subito i Romani sono state presi da grande terrore, ma Pirro finalmente chiese la pace. |
Quam multos scriptores rerum suarum magnus ille Alexander secum habuisse dicitur! Atque is tamen cum in Sigeo ad Achillis tumulum astitisset: "O fortunate" inquit "adulescens qui tuae virtutis Homerum praeconem inveneris!" Et vere. Nam nisi Illias illa exstitisset idem tumulus qui corpus eius contexerat nomen etiam obruisset. Quid? noster hic Magnus qui cum virtute fortunam adaequavit nonne Theophanem Mytilenaeum scriptorem rerum suarum in contione militum civitate donavit; et nostri illi fortes viri sed rustici ac milites dulcedine quadam gloriae commoti quasi participes eiusdem laudis magno illud clamore approbaverunt? | Si dice che molti scrittori delle sue vicende Alessandro Magno avesse con sé! E dunque lui, sostando davanti al tumulo di Achille, al Sigeo, esclamò: 'O giovane fortunato, poichè hai trovato in Omero il cantore della tua virtù'. E' vero. Poichè se quell' opera eccellente dell'Iliade non fosse esistita, lo stesso tumulo, che aveva conservato il corpo di Achille, ne avrebbe sotterrato la gloria. E anche, non è forse vero che il nostro Pompeo Magno, che dimostrò valore pari a fortuna, in un comizio militare, diede la cittadinanza a Teofane di Mitilene,il proprio storico, e quei nostri soldati coraggiosi, ma pur sempre rozzi soldati, quasi ubriacati dalla dolcezza della gloria, come partecipi dello stesso onore, approvavano con acclamazione? |
Anno urbis conditae sexcentesimo sexagesimo secundo primum Romae bellum civile commotum est, eodem anno etiam Mithridaticum. Causam bello civili C.Marius sexiens consul dedit. Nam Sulla consul contra Mithridatem gesturus bellum, qui Asiam et Achaiam occupaverat missus erat isque exercitum in Campania paulisper tenebat, ut belli socialis, de quo diximus, quod intra Italioam gestum erat, reliquiae tollerentur, Marius autem adfectavit, ut ipse ad bellum Mithridaticum mitteretur.Qua re Sulla commotus cum exercitu ad urbem venit. Illic contra Marium et Sulpicium dimicavit. Primusurbem Romam armatus ingressus est, Sulpicium interfecit, Marium fugavit, atque ita ordinatis consulibus in futurum annum Cn. Octavio et L. Cornelio Cinna, ad Asiam profectus est. | Nell’anno 662 dalla fondazione di Roma, ebbe luogo la prima guerra civile di Roma e nello stesso tempo anche quella contro Mitridate. Caio Mario, console per sei volte, fornì il motivo della guerra civile. Infatti il console Silla, che aveva occupato l’Asia e l’Acaia, era sato inviato contro Mitridate per fare la guerra e per un po’ di tempo tratteneva l’esercito in Campania, affinché fossero rimossi, all’interno dell’ Italia, i residui della guerra civile, a cui abbiamo accennato; Mario, però, si mosse affinché egli stesso fosse inviato in guerra contro Mitridate. Preso da agitazione per questo motivo, Silla giunse a Roma con l’esercito. Qui combatté Mario e Sulpicio. Entrò armato per primo nella città di Roma e uccise Sulpicio, fece fuggire Mario e, per questo, dopo aver designato consoli, per l' anno successivo, Cn.Ottavio e L. Cornelio Cinna, egli partì alla volta dell’Asia. |
Ut venatorem vitaret,lupus in silva se celavit et rogavit agricolam ne venatori locum indicaret ubi ipse lateret. Cum autem venator pervenisset et rogavisset ut lupi perfugium indicaret astutus agricola respondit: "Vidi lupum,sed sinistra parte fugit".Simul autem oculos convertebat in dexteram partem et indicabat locum ubi lupus latebat. Venator tamen cum signum non intellexisset, festinanter sinistra parte abiit. Tunc agricola dixit lupo:"Vide quanta calliditate te celaverim; praemium fidelitatis meae exspecto".Rispondit ei animal: "Gratias ago tuae linguae, sed oculis tuis falsis caecitatem opto". | Per schivare un cacciatore, un lupo si nascose nel bosco e supplicò un contadino di non indicare al cacciatore il luogo dove lo stesso si nascondesse. Giungendo il cacciatore d'altra parte, aveva chiesto di indicargli il rifugio del lupo. L'astuto contadino rispose: "Ho visto il lupo, ma è fuggito a sinistra".Allo stesso tempo però indirizzava gli occhi a destra e indicava il luogo dove il lupo si nascondeva. Il cacciatore tuttavia non comprendendo il segnale, si allontanò a sinistra precipitosamente. A quel punto il contadino disse al lupo "Vedi con quanta scaltrezza ti ho nascosto; aspetto il mio premio di fedeltà". Gli rispose l'animale: "Io ringrazio la tua lingua, ma auguro ai tuoi occhi la cecità". |
Echo, eximiae speciei nympha, cum de Iunone, Iovis uxore et numinum regina, contumeliosa verba dixisset, ei maxime invisa erat. Itaque Iuno statuit tam impudentis puellae loquacitatem punire et linguam eius oppressit. Echo nec surda nec muta fuit, sed eius os solum ultimam syllabam verborum iterabat,quia verba integra pronuntiare non valebat. Sic Narcissi,praestantis adulescentis,amorem deperdit, quia iuvenis balbam puellam respuit. Tunc nympha in speluncam inter montium saltus confugit neque umquam inde in lucem evasit.Cum dolor membra miserae puellae confecisset, sola vox tam formosae virginis superstes fuit. | Eco, ninfa di straordinaria bellezza,avendo detto calunnie a proposito di Giunone, moglie di giove e regina degli dei, era odiatissima da lei. Allora Giunone decise di punire la loquacità e paralizzò la lingua dell'impudente fanciulla; Eco non divenne né muta né sorda, ma con la sua bocca poteva ripetere solo l'ultima sillaba delle parole, quindi non poteva pronunciare parole intere. Perse così l'amore di Narciso, giovane prestante, Perchè il giovane rifiutò la fanciulla balbuziente. Allora la ninfa si rifugiò in una grotta fra i boschi dei monti e non uscì mai alla luce. Poichè il dolore aveva consumato le membra della misera fanciulla, rimase solo la voce di una tanto bella ragazza. |
Flumen est Arar, quod per fines Haeduorum et Sequanorum in Rhodanum influit, incredibili lenitate, ita ut oculis in utram partem fluat iudicari non possit. Id Helvetii ratibus ac lintribus iunctis transibant. Ubi per exploratores Caesar certior factus est tres iam partes copiarum Helvetios id lumen traduxisse, quartam vero partem citra flumen Ararim reliquam esse, de tertia vigilia cum legionibus tribus e castris profectus ad eam partem pervenit quae nondum flumen transierat.Eos impeditos et inopinantes adgressus magnam partem eorum concidit; reliqui sese fugae mandarunt atque in proximas silvas abdiderunt.Is pagus appellabatur Tigurinus; nam omnis civitas Helvetia in quattuor partes vel pagos est divisa.Hic pagus unus, cum domo exisset, patrum nostrorum memoria L. Cassium consulem interfecerat et eius exercitum sub iugum miserat.Ita sive casu sive consilio deorum immortalium, quae pars civitatis Helvetiae insignem calamitatem populo Romano intulerat, ea princeps poenas persolvit. Qua in re Caesar non solum publicas, sed etiam privatas iniurias ultus est, quod eius soceri L. Pisonis avum, L. Pisonem legatum, Tigurini eodem proelio quo Cassium interfecerant. | L'Arar è un fiume che scorre attraverso le terre degli Edui e dei Sequani nel Rodano, con incredibile lentezza, tanto che non possa esser stabilito con lo sguardo in quale delle due parti scorra.Gli Elvezi passavano questo con zattere e barche unite. Quando Cesare fu informato per mezzo degli esploratori che gli Elvezi avevano fatto passare al di là di questo fiume tre quarti delle milizie e circa una quarta parte era rimasta al di qua del fiume, dopo la terza vigilia partito dall'accampamento con tre legioni, giunse presso quella parte che non ancora aveva passato il fiume. Dopo aver assolto quelli appesantiti e sprovveduti, uccise gran parte di loro, gli altri si misero a fuggire e si ritirarono nelle selve vicine. Questo villaggio era chiamato Tigurino; infatti tutta la popolazione elvetica è divisa in quattro cantoni. Questo solo cantone, essendo uscito dalla patria a memoria dei nostri padri, aveva ucciso il console L.Cassio e aveva mandato sotto il giogo il suo esercito. Così, sia per caso, sia per volontà degli dei immortali, quella parte della popolazione elvetica che aveva portato una grave sconfitta al popolo romano, quella per prima, subì la pena. In tal modo Cesare vendicò non solo le offese pubbliche ma anche le private, poichè i Tigurini avevano ucciso l'ambasciatore L.Pisone avo di L.Pisone, suo suocero nella stessa battaglia in cui (avevano ucciso) Crasso. |
Post hunc (Caligulam) Claudius fuit, patruus Caligulae, Drusi filius. Hic medie imperavit multa gerens tranquille atque moderate, quedam crudeliter et insulse. Britannis bellum intulit, quorum insulam nemo Romanorum post C. Caesarem attigerat. Cun Britannos per Cn. Sentium et A. Palatium, illustres ac nobiles viros, devicisset, triumphum egit. Quasdam insulas etiam ultra Britanniam in Oceano positas imperio Romano addidit, quae appellantur Orcades.Tam civilis circa quosdam amicos fuit ut etiam Plautium triumphantem ipse prosequeretur. Is vixit annos quattuor et sexaginta, imperavit quattordecim. Post mortem consecratus est divusque appellatus.Successit huic (Claudio) Nero, Caligulae avunculo suo simillimus, qui Romanum imperium et deformavit et diminuit, vir inusitatae luxuriae sumptuumque, ut qui se lavaret, exemplo Caligulae, in calidis et frigidis unguentis, retibus aureis piscaretur, quae blattinis funibus extrahebat. Infinitam senatum partem interfecit, bonis omnibusque hostis fuit. | Dopo di questo (Caligola) ci fu Claudio, zio paterno di Caligola, figlio di Druso. Questo governava mediamente, gestendo molte questioni tranquillamente e moderatamente, alcune crudelmente e insulsamente. Fece guerra ai Britanni, l'isola dei quali nessun romano dopo Cesare aveva toccato. Avendo vinto i Britanni attraverso Senzio e Plozio, uomini illustri e nobili. Annesse alcune isole oltre la Bretannia poste nell'oceano che sono chiamate Orcadi. Fu tanto amabile verso alcuni amici che egli stesso seguì Plozio trionfante. Visse sessantaquattro anni, governò quattordici. Dopo la morte fu consacrato e fu decretato divino.Successe a questo (Claudio) Nerone, molto simile a suo zio Caligola, che alterò e indebolì l'impero romano, uomo di insolito lusso e spese, visto che era tipo da lavarsi, secondo l'esempio di Caligola, in unguenti caldi e freddi,pescare con reti d'oro, che erano tirate con funi di porpora. Uccise un'indefinita parte del senato, fu nemico di tutti gli ottimati. |
Romanum imperium a Romolo, Rheae Silviae, Vestalis virginis, et dei Martis filio, exordium habet.Romulus urbem exiguam in Palatino monte constitui, civitatemque nomine suo Romam appellat.Multitudinem finitinorum in civitatem recipit et centum ex snibus legit et senatores creat. Quoniam vero Romanis uxores non erant, ad spectaculum ludorum vicinas urbis Romae nationes invitat atque virgines vi rapit. Propter iniuriam raptarumvirginum multa bella commoventur et Romulus Sabinos, Fidenates, Veientes aliasque nationes vincit.Post Romuli mortem per annum unum senatores imperant.Postea Numa Ponpilius rex creatur, qui bellum nullum gerit, sed leges moresque Romanis constituit;Romani civesenim antea consuetudine proeluorum latrones ac semibarbari putabantur.Annum in decem menses describit et infinita Romae sacra ac templa constituit.numae succedit Tullus Hostilius: bella reparat, albanos aliosque populos finitimor vincit et urbi adicit Caelium montem. Triginta et et duos annos regnat, at postea fulmine ictus cum aedibus suis ardet. | L’impero romano ha inizio da Romolo, figlio del dio Marte e di Rea Silvia, vergine vestale. Romolo costruisce una città modesta sul monte Palatino, e chiama Roma dal suo nome. Poiché in verità i Romani non possedevano mogli, invita i confinanti vicini alla città di Roma allo spettacolo. Molte guerre vennero mosse a causa dell’oltraggio del rapimento delle vergini e Romolo vince i Sabini, i Fidenati, i Veienti ed altri popoli. Dopo la morte di Romolo i senatori governano per un anno. Dopo viene eletto il re Numa Pompilio, il quale porta nessuna guerra, ma costituisce le leggi e le tradizioni a vantaggio dei Romani. I cittadini Romani infatti prima del consuetudine del combattimento erano considerati briganti e incivili. Descrive l’anno in dieci mesi e costruisce infinite santuari e templi a Roma. A Numa succede Tullo Ostilio; riprende le guerre, vince gli Albani e gli altri popoli vicini e aggiunge il monte Celio alla città. Regna trentadue anni e in seguito brucia insieme a casa sua colpito da un fulmine. |
Aeneas et Sibylla per umbram et per vacua regna Orci procedunt. Ante Averni vestibulum Luctus et Curae iacent; inique pallidi Morbi habitant et Letum et mala animi Gaudia et mortiferum Bellum et Discordia et alia vitae tormenta. In vestibolo ulmus opaca ramos annosaque braccchia pandit; sub ulmi foliis vana Somnia haerent. Praeterea multa monstra variarum ferarum stabulant; itaque Aeneas Centauros, Scyllas, Briaerum beluam Lernaem, Chimaeram, Harpyas multaque alia portenta videt.Aeneas trepidus contra monstra ferrum corripit, sed Sibylla virum admonet, quia umbrae ante eius oculos volitant. | Enea e la Sibilla procedono attraverso l’ombra e il vacuo regno degli inferi.Lutti e affanni giacciono davanti l’atrio dell’ Averno; qui abitano pallide malattie, la Morte e i cattivi piaceri dell’anima, la guerra portatrice di morte e la Discordia ed altri tormenti della vita. Nel vestibolo l’olmo ombreggiato distende i rami e le vecchie braccia; sotto le foglie dell’olmo si fermarono i vani sogni. Inoltre stanno nella stalla molti mostri di strane bestie: poi Enea vede i Centauri, le Scille, Briarea la bestia di Lerna, la Chimera , le Arpie e molti altri portenti. Enea impaurito afferra la spada contro i mostri , ma la Sibilla ammonisce l’uomo poiché innanzi ai suoi occhi svolazzano ombre. |
Contemptu paucitatis hostium, Galli, sine respectu pericolo rum in proelium ruebant; sed Delphi eos summo montis vertice saxis et armis obruebant. Repente etmpli antistites, cum insignibus atque infulis, pavidi, in primam aciem procurrunt, clamitantes se vidisset ipsum Apollinem delisintem in templum per culminis fastigium, nec oculis tantum perspexisse sed audisse etiam stridorem dei arcus at strepitum armorum. His vocibus incense, omnes in Proelium prosiliunt.Presentiam dei ipsi Galli senserunt: nam terrae motu portio montis abrupta barbarorum exercitum stravit; deinde tempestas grandine et frigore saucios absumpsit. | I Galli, con la noncuranza del numero esiguo si buttavano in battaglia senza la preoccupazione del pericolo, ma gli abitanti di Delfi si scontrano con loro dal punto più alto del monte con sassi e armi. All'improvviso i sacerdoti impauriti corrono nella prima schiera, con le insegne e le bende, acclamando di aver visto lo stesso Apollo mentre scendeva nel tempio dalla parte più alta del tetto, e non l’avevano visto solo con gli occhi ma l’avevano sentito anche lo stridore dell’arco del dio e lo strepito delle armi. Sentite queste voci, si gettarono in battaglia. Gli stessi galli si accorsero della presenza del dio; infatti la parte del monte spezzata per il terremoto distrusse l'esercito dei barbari; poi la tempesta con la grandine e il freddo uccise i feriti. |
libertate athenis restituta, laetitia Alcibiadis non nimis fuit diuturna. Nam, postquam decreti sunt et honores summi ac tota res publica domi bellique tradita est eius unius arbitrio, cum duobus collegis et cum ingenti classe vectus est in Asiam, ut Cymen, opulentum oppidum, in Athenarum potestatem redigeret. Quoniam irrita protrahebatur expeditio, Athenienses sibipersuaserunt ut alcibiades, eximiae virtutis ac summi conilii imperato, neglegenter aut malitiose rem ageret.Alii memorabant eum bello Peloponnesiaco Lacedaemoni se dedisse sine cura patriae, alii plane denuntiabant eum corruptum esse a Persarum rege ne Cymen caperet. Itaque ei putamus summo malo fuisse nimiam opinionem ingenii atque virtutis eius: multi timebant ne, secunda fotuna masgnisque opius incensus, tyrannidem concupisceret. Itaque inimici civitatem induxerunt ut ei magistratum abrogaret et alium in eius locum subsitueret. | Restituita la libertà ad Atene, la gioia di Alcibiade non fu molto durevole. Infatti, dopo che gli furono assegnati i sommi onori e tutto lo stato in pace e in guerra fu affidato nel potere di lui solo, fu portato in Asia con due compagni e un’ingente flotta affinché riducesse Cime, ricca città, in potere di Atene. Poiché la vana spedizione era prolungata gli Ateniesi si convinsero che Alcibiade, generale di straordinario valore e di somma saggezza, conducesse l’impresa negligentemente o astutamente. Alcuni ricordavano che lui nella guerra del Peloponneso si consegnò a sparta senza cura delle patria, altri dichiaravano che fosse stato corrotto dal re persiano affinché non prendesse Cime. Perciò crediamo che l’eccessiva considerazione del suo ingegno e del suo valore fu per lui un grandissimo male: molti temevano che, infiammato dalla buona sorte e il grande potere, desiderasse la tirannide. Perciò i nemici indussero la cittadinanza a togliergli la carica e mettere un altro al suo posto. |
Sub praesidio deae Minervae erant non solum poetae, sed etiam athletae. In palaestris athletae Minervam ita vocabant: "Audi nos, dea!". Ad deae templa veniebatur et deae victoriarum coronae donabantur. In Graeciae terris Athenarum incolae Minervam colebant, sapientiae et philosophiae deam. In proeliis petebatur eius auxilium; post pugnas, cum milites victorias ceperant, mittebant copiam praedae ad eius templum donum. Minervae fanum accipiebat cotidie plurimas divitias.In hoc templo magnum signum aureum et eburneum deae dicatum erat. Agricolae, in silvis et in oris, Minervam timebant et ab ea petebant custodiam olearum. Poetae Minervae dicebant: "Ingenii patrona, da nobis donum memoriae et eloquentiae!" | Sotto la protezione della dea Minerva vi erano non solo i poeti, ma anche gli atleti. Così gli atleti invocavano Minerva nelle palestre: “Ascoltaci, o dea!”. Si giungeva ai templi della dea e le corone delle vittorie erano donate alla dea. Nelle terre della Grecia gli abitanti di Atene onoravano Minerva, dea della sapienza e della filosofia. Nelle battaglie era invocato il suo aiuto; dopo i combattimenti, quando i soldati avevano ottenuto le vittorie, mandavano in dono al suo tempio una gran quantità del bottino di guerra. Il santuario di Minerva riceveva quotidianamente moltissime ricchezze. In questo tempio una grande statua d'oro e d'avorio era stata dedicata alla dea. I contadini, nei boschi e lungo i litorali, temevano Minerva e le chiedevano la custodia degli olivi. I poeti dicevano a Minerva: “Protettrice dell’intelletto, dacci il dono della memoria e dell'eloquenza!” |
Fama est olim ranas magnis clamoribus et ingenti strepitu regem a Iove petivisse qui suo imperio mores dissolutos compesceret.Narrant poetae patrem hominum deorumque immortalium paullum risisse atque parvum tigillum de caelo in stagnum demisisse. Cum hoc, in undas levi strepitu incidens, paululum aquas movisset, ranae, pavidissimum genus, subito casu territae, celeriter in ripas fugerunt et, in dumis latentes, aliquantum temporis quieverunt et siluerunt.Postea autem, cum vidissent tigillum immotum in aquis natantem, omnibus contumeliis contempserunt.Cum diu risissent petulanter obstrepentes, Iovem rursus rogaverunt ut alterum regem, fortiorem priore, mitteret.Narrant Iovem, ira ob tantam stultitiam et petulantiam motum, hydrum misisse, qui miseras, aspero dente correptas, devoravit. Fabula docet mutationem rerum saepe priore statu peiorem esse. | Si dice che un tempo le rane con grandi urla e con grande fragore chiesero un re a Giove per contenere le usanze sregolate col suo comando.I poeti narrano che il padre degli uomini e degli dei immortali rise un po' e che fece cadere dal cielo un piccolo travicello nello stagno.Poichè questo, cadendo con un modesto rumore fra le onde, aveva mosso un po' le acque, le rane, specie timorosissima, spaventate improvvisamente dalla caduta, fuggirono velocemente nelle rive e, nascoste nei cespugli, stettero quiete e in silenzio per parecchio tempo.Dopo invece, dopo che avevano visto il travicello immobile che galleggiava nelle acque, trascurarono ogni affronto.Dopo aver riso a lungo schiamazzando sfacciatamente, pregarono di nuovo Giove affinché mandasse un altro re, più forte del precedente.Raccontano che Giove, mosso dall'ira a causa della tanta stupidità e della petulanza, mandò un serpente acquatico, che divorò le sventurate, afferrate dal dente avvelenato.La favola insegna che il cambiamento delle situazioni spesso è peggiore dello stato precedente. |
Tandem omnibus rebus obsessi quartum iam diem sine pabulo retentis iumentis aquae lignorum frumenti inopia colloquium petunt et id si fieri possit semoto a militibus loco. Ubi id a Caesare negatum et palam si colloqui vellent concessum est datur obsidis loco Caesari filius Afranii. Venitur in eum locum quem Caesar delegit. Audiente utroque exercitu loquitur Afranius: non esse aut ipsis aut militibus succensendum quod fidem erga imperatorem suum Cn.Pompeium conservare voluerint. Sed satis iam fecisse officio satisque supplicii tulisse perpessos omnium rerum inopiam; nunc vero paene ut feras circummunitos prohiberi aqua prohiberi ingressu neque corpore dolorem neque animo ignominiam ferre posse. Itaque se victos confiteri; orare atque obsecrare si qui locus misericordiae relinquatur ne ad ultimum supplicium progredi necesse habeat. Haec quam potest demississime et subiectissime exponit | Infine assediati da ogni parte, già da quattro giorni senza cibo per le bestie restanti, privi di acqua, legna, grano, pregano un colloquio, se è possibile in un posto distante dallo sguardo dei soldati. Essendo negato ciò da Cesare, e concesso, se lo volevano, solo un colloquio davanti a tutti, a Cesare fu consegnato in ostaggio il figlio di Afranio. L'incontro avviene nel posto decretato da Cesare. Al cospetto di tutti e due gli eserciti prende la parola Afranio: nè loro nè i militari sono da biasimare per avere voluto essere devoti al loro comandante Cn. Pompeo. Ma ormai abbastanza hanno svolto il loro dovere e abbastanza hanno penato; hanno sopportato la scarsità di tutto; adesso, accerchiati come bestie, è negato a loro di bere, di spostarsi e non riescono a sopportare col fisico i dolori e con lo spirito la vergogna. Perciò si proclamano vinti; implorano e pregano, se vi è un sentimento di pietà, di non essere posti in condizione di arrivare al martirio. Afranio pronuncia queste parole quanto più miseramente e modestamente potesse. |
Misso ad vesperum senatu omnes, qui sunt eius ordinis, a Pompeio evocantur. Laudat promptos Pompeius atque in posterum confirmat, segniores castigat atque incitat. Multi undique ex veteribus Pompei exercitibus spe praemiorum atque ordinum evocantur, multi ex duabus legionibus, quae sunt traditae a Caesare, arcessuntur. Completur urbs et ipsum comitium tribunis, centurionibus, evocatis. Omnes amici consulum, necessarii Pompei atque eorum, qui veteres inimicitias cum Caesare gerebant, in senatum coguntur; quorum vocibus et concursu terrentur infirmiores, dubii confirmantur, plerisque vero libere decernendi potestas eripitur.Pollicetur L. Piso censor sese iturum ad Caesarem, item L. Roscius praetor, qui de his rebus eum doceant: sex dies ad eam rem conficiendam spatii postulant. Dicuntur etiam ab nonnullis sententiae, ut legati ad Caesarem mittantur, qui voluntatem senatus ei proponant. | Conclusa verso sera la seduta del senato, da Pomepeo tutti i senatori furono convocati fuori città. Pompeo esalta i sostenitori e li solleva per l'avvenire, sgrida e incoraggia quelli troppo pigri. Da ogni luogo parecchi soldati delle antiche truppe di Pompeo vengono riconvocati, con la speranza di promozioni e di compenso, sono riconvocati parecchi soldati dalle due legioni che furono assegnate da Cesare. La città e lo stesso comizio si affolla da di richiamati, tribuni, i centurioni. Tutti i compagni dei consoli, i sostenitori di Pompeo e di quelli, che avevano ostilità passate con Cesare si radunano nel senato,che con le urla e con il confluire della massa abbattono i più fiacchi, tranquillizzano gli insicuri; a quasi tutti è stato privato il diritto di parlare. Il censore L. Pisone, e anche il pretore L. Roscio,si proclamarono a disposizione per recarsi da Cesare, per metterlo al corrente su ciò; esigono sei giorni di tempo per compiere l'incarico. Da certi fu pure detto di mandare ambasciatori a Cesare, affinché gli mostrino la volontà del senato. |
Duo sunt genera figurarum quae a geometris "schemata" appellantur, "planum" et "solidum". "Planum" est quod tantum in duas partes lineas habets,id est in latitudinem atque in longitudinem, ut sunt triquetra et quadrata, sine altitudine. "Solidum" autem est cum non solum longitudines ac latitudines planas lineae habent, sed etiam altitudines extollunt, ut ferme sunt metae triangulae quae "pyramidae" appellantur, vel ut quadrata undique, quae "cubos" Graeci, nos autem "quadrantalia" dicimus.Nam "cubus" est figura ex omni latere quadrata, ut sunt tesserae quibus in alveolo luditur. | Due sono le categorie di figure che dai geometri sono nominate “dimensioni”, il piano e il solido. E' piano quello che ha linee in due parti, cioè la longitudine e latitudine, che sono i triangoli e i quadrati, senza spessore. Al contrario è solido quello che non solamente ha linee longitudinali e latitudinali ma si innalza in altezza, come i vertici del triangolo che sono nominati piramidi, o come i quadrati da qualsiasi lati che i greci definiscono cubi e noi dado. Difatti il cubo è la figura quadrata da ogni parte, come sono le tessere nelle quali viene giocato nel tavolo. |
Die festo Alexander amicos in convivium adhibuit. Mox omnes vino gravati sunt. Tum convivarum quidam Philippi, Alexandri patris nobilissima gesta numeravit. Itaque Alexander surrexit ut responderet :”Ego patrem meum supero gestaque mea maiora sunt”. Omnes convivae, ut regi indulgerent, annuerunt praeter Clitum, inveteratum Philippi amicum, qui mortui regis memoriam defendit. Clitus eius gesta tam ardenter laudavit ut Alexander ira in excanduerit amicumque sagitta confixerit.Ubi ira deferbuit crapulaque exhalata est, tantum dolorem ex facinore suo Alexander accepit ut morte culpam expiare cuperet. In hac mortis voluntate multos dies permansit. Omnes tandem amici militesque Alexandrum exoraverunt ne esercitum in hostilibus inexploratisque regionibus relinqueret. Itaque Alexander ne milites deciperet bellum renovavit. | Ad una festa Alessandro invitò i conoscenti ad un banchetto. Presto furono tutti gravati dal vino. Allora uno degli invitati aveva elencato le nobilissime gesta di Filippo, padre di Alessando. E dunque Alessandro si alzò per rispondere: "Io supero mio padre e le mie gesta sono più grandi delle sue". Tutti i conviviali, per acquietare Alessandro, annuirono fatta eccezione per Clito, fidatissimo e vecchio amico di Filippo, che difese la memoria del re defunto. Le sue famosissime gesta furono lodate da Clito tanto ardentemente che Alessandro ardente dall'ira trafisse l'amico con un giavellotto. Quando l'ira si placò e l'ubriachezza venne meno, Alessandro iniziò a provare tanto dolore per la sua azione malvagia che desiderava espiare la colpa con la morte. Rimase per molti giorni con questa volontà di morte. Dunque tutti gli amici e i soldati esortarono Alessandro affinchè non lasciasse l'esercito nelle regioni ostili ed inesplorate. E dunque Alessandro per non deludere i soldati ricominciò la guerra. |
Nox supervenit terroremque auxit. Milites in armis vigilabant. Babylonii, alius e muri, alius e culmine tecti sui prospectabant, certiora visuri. Nec quisquam lumina audebat accendere; et, quia oculorum usus cessabat, fremitus vocesque auribus captabant; ac plerumque, vanu metu territi, per obscuras semitas alius alii occursantes invicem suspecti ac solliciti ferebantur. Persae suo more comas detonderant et in lugubri veste cum coniugibus ac liberis Alexandrum non ut victorem et hostem sed ut gentis suae iustissimum regem lugebant.Ac sueti sub rege vivere, non alium qui imperaret ipsis digniorem fuisse confiterbantur. Nec muris urbis luctus continebatur, sed proximam regionem deinde magnam partem Asiae cis Euphratem tanti mali fama pervaserat. | La notte sopraggiunse e aumentò il terrore. I soldati vigilavano armati. I Babilonesi, chi dalle mura, chi dalle sommità del proprio tetto, altri per farsi più certi. Nessuno osava accendere le luci; e poiché l'uso degli occhi cessava, coglievano rumori e voci con le orecchie; e la maggior parte, atterrita da una vana paura, si muovevano sospetti e agitati per le strade oscure andando chi da una parte chi dall'altra. I Persiani, come loro uso, tagliando i capelli e in veste da lutto, con i coniugi e i figli piangevano Alessandro non come vincitore e nemico ma come giustissimo re del suo popolo. E abituati a vivere sotto un re, non riceveranno nessun altro che fosse più degno di lui di comandare. E il lutto non era contenuto tra le mura della città, ma la fama di tanti mali aveva pervaso la regione vicina, poi gran parte dell'Asia al di qua dell'Eufrate. |
Diviciacus multis cum lacrimis Caesarem complexus obsecrare coepit ne quid gravius in fratrem statueret: scire se illa esse vera, nec quemquam ex eo plus quam se doloris capere, propterea quod, cum ipse gratia plurimum domi atque in reliqua Gallia, ille minimum propter adulescentiam posset, per se crevisset, quibus opibus ac nervis non solum ad minuendam gratiam, sed paene ad perniciem suam uteretur. Sese tamen et amore fraterno et existimatione vulgi commoveri.Quod si quid ei a Caesare gravius accidisset, cum ipse eum locum amicitiae apud eum teneret, neminem existimaturum non sua voluntate factum. Qua ex re futurum uti totius Galliae animi a se averterentur.Haec cum pluribus verbis flens a Caesare peteret, Caesar eius dextram prendit; consolatus rogat, finem orandi faciat; tanti eius apud se gratiam esse ostendit uti et rei publicae iniuriam et suum dolorem eius voluntati ac precibus condonet. Dumnorigem ad se vocat, fratrem adhibet; quae in eo reprehendat ostendit; quae ipse intellegat, quae civitas queratur proponit; monet ut in reliquum tempus omnes suspiciones vitet; praeterita se Diviciaco fratri condonare dicit. Dumnorigi custodes ponit, ut quae agat, quibuscum loquatur, scire possit. | Diviziaco con parecchie lacrime aggrappandosi a Cesare iniziò a pregarlo di non scegliere niente di eccessivamente funesto per il fratello: che era a conoscenza che quelle vicende fossero vere e che nessuno otteneva più male di lui da quella vicenda, per ciò che, possedendo grande prestigio nella sua patria e nella restante Gallia mentre suo fratello, troppo giovane, non ne godeva nessuna, lo aveva sostenuto ad imporsi; ed adesso lui sfruttava gli averi e il prestigio ottenuto non solamente per stremare la sua importanza, ma come per organizzare la sua distruzione. Ma egli era preoccupato sia per affetto del fratello che per rispetto del popolo. Che se gli fosse successo qualcosa di eccessivamente funesto a causa di Cesare, mentre lui, Diviziaco, gli era molto amico, nessuno sarebbe stato convinto della sua innocenza, e gli avrebbe assicurato odio da ciascun Gallico. Supplicando ciò a Cesare gemendo, con parecchi vocaboli, Cesare afferra la sua mano destra; confortandolo implora di mettere fine al suo supplicare; gli mostra in questo modo una grande riverenza di lasciar perdere per le sue suppliche e per la sua brama come l'insulto causato allo Stato sia il suo legittimo rancore. Porta a sé Dumnorige, al cospetto del fratello; afferma ciò che disapprova in lui; dichiara ciò che lui è a conoscenza, ciò in cui il popolo biasima; lo ammonisce affinché eviti nell'avvenire di rendere occasione a incertezze; afferma che lascerà stare le vicende accadute per merito del fratello Diviziaco. Pone sentinelle per Dumnorige affinchè possa venire a conoscenza di ciò che stia facendo e con chi discute. |
Cassandra regis Priami filia ideoque Paridis et Hectoris soror erat. Narrant eam ab Apolline adamatam esse et eius amorem recusavisse. Qua re poenam singularem acerbumque privilegium a deo irato eam accepisse constat: instinctu divino afflatuque vera auguria rerum futurarum praedicabat, sed nullus homo eius vaticiniis fidem habebat. Ita vero, quamquam troianis infelix virgo denuntiabat patriae perniciem iam proximama esse, nullam fidem cives ei tribuebant, sed in magna spe erant se a bello discessuros esse victores.Postquam Graeci urbem Troiam dolo expugnaverunt, Cassandra in aedem Palladis confugit, sed Aiax, Oilei filius, nullo deorum metu deterritus, eam e sacro templo supplicem traxit sociisque ut praedam belli tradidit. Notum est huius scelestae nefriaeque rei Aiacem postea poenam solvisse quod di vetuerant illum in patriam reditum facere posse. Apud Euboeam insulam eius navem ad scopulos impegerunt et vir, obrotus fluctibus, vitam amisit. | Cassandra figlia del re Priamo era perciò la sorella di Paride e Ettore. Raccontano che lei sia stata desiderata da Apollo e che abbia respinto il suo affetto. Per questo motivo è risaputo che dall dio arrabbiato avesse ricevuto una pena particolare e un immaturo beneficio: per natura e volere divino prevedeva le reali vicende dell'avvenire, però neanche un uomo aveva fede nei suoi presagi. In realtà, malgrado la umile ragazza informava i troiani che la distruzione della patria era vicina, gli abitanti non le assegnavano nessuna fede, ma avevano grande speranza che sarebbero stati vincitori della guerra. Dopo che i greci espugnarono la città di Troia con l'inganno, Cassandra si riparò nel tempio di Atena, ma Aiace, figlio di Oileo, non spaventato da alcuna paura degli dei, la portò fuori supplicante dal tempio e la donò agli alleati come preda di guerra. E' risaputo che per codesto sacrilegio e atrocità Aiace scontò una pena poichè gli dei avevano proibito a questo di fare rientro in patria. Vicino l'isola di Eubea portarono la sua imbarcazione contro gli scogli e l'uomo, avvolto nelle onde, perse la vita. |
Omnes regem Alexandrum Magnum Iovis filium existimabant.Nam in Lybia sacerdos,ante,comites,Iovis Hnnonis filium Alexandrum declaraverat.Tum Alexander in India iamdìu errabat atque vastabat regiones omnino ignotas non modo Macedonibus sed etiam populis Indiae finitimis.Interea oppidum magnum obsidione clausit,ibique in opere diu et frustra longum tempus consumpsit.Olim moenium partem vacuam defensoribus quaerebat,cum statim hostes sagittà eum vulneraverunt.Inceptum temen agere perseveravit.Tandem milites Alexandrum in praetorium adduxerunt,ubi aliquandiu sine voce stetit.Medicus multas medicinas applicabat,sed vulneris dolor crescebat et crus paulatim obtorpuit.Tunc Alexander: "Non Iovis filius sum-inquit-,sicut homines dicunt;vulnus me hominem indicat". | Tutti reputavano il sovrano Alessandro Magno figlio di Giove. Difatti in Libia un prelato,dinnanzi agli amici, aveva dichiarato Alessandro discendente di Giove Annone. Così Alessandro che già da tempo si dirigeva in India e distruggeva regioni del tutto sconosciute non solamente ai Macedoni ,però, pure ai popoli vicini all'India. Intanto cinse d'assedio di una enorme città, e vi passò molto tempo nell'impresa per molto e inutilmente. Una volta tentava di ottenere una parte delle mura spoglia di difensori, ma gli avversari lo lesionarono con una freccia immediatamente. Però insistette nel portare in conclusione il piano. In conclusione i militari portarono Alessandro nel palazzo del governatore, dove rimase per un po di tempo senza voce. Il medico gli diede molti farmaci, però il supplizio della lesione aumentava e la gamba piano piano si bloccò. Allora Alessandro affermò:"Io non sono figlio di Giove, come affermano gli uomini; la lesione indica che io sono un uomo". |
Tristissimus haec tibi scribo, quod amici nostri filia minor defuncta est. Qua puella nihil umquam festivius, amabilius, nec modo longiore vita sed prope immortalitate dignius vidi. Annum quartum decimum agebat, sed iam illi anilis prudentia, matronalis gravitas erat, et tamen suavitas puellaris cum virginali verecundia. Quam studiose, quam intellegenter lectitabat! Ut parce custoditeque ludebat! Qua temperantia, qua patientia, qua etiam constatia illa novissimam valetudinem tulit! Medicis obsequebatur, sororem, patrem adhortabatur, ipsamque se, destitutam corporis viribus, vigore animi sustinebat.Duravit hic vigor illi usque ad extremum, nec aut spatio valetudinis aut metu mortis infractus est, quo plures gravioresque nobis causas relinqueret et desiderii et doloris. O triste plane acerbumque funus! Iam destinata erat egregi iuveni, iam electus erat nuptiarum dies. Quod gaudium quo maerore mutatum est! | Ti scrivo queste cose immerso nella piu profonda tristezza, poichè è morta la figlia minore del nostro amico. Io non ho mai visto nulla di piu allegro di questa fanciulla, nulla di piu amabile, e che maggiormente meritasse non solo una vita piu lunga ma quasi l'immortalità. Aveva quattordici anni, ma già dimostrava l'avvedutezza di una vecchia e la compostezza di una matrona, e tuttavia conservava la sua dolcezza di fanciulla unitamente alla sua modestia di giovinetta. Con quale passione e con quale intelligenza leggeva e rileggeva! Come si divertiva sobriamente e con ritegno! Con che compostezza, con che pazienza ed anche con che forza d'animo quella sopportò la sua ultima malattia! Obbediva ai medici, faceva coraggio alla sorella e al padre e, sebbene fosse oramai abbandonata dalle forze del corpo, si teneva su con il vigore dello spirito. Questo vigore le durò fino all'ultimo, e non fu spezzato nè dalla lunghezza della malattia nè dalla paura della morte, così da lasciarci più numerosi e più penosi motivi di rimpianto e di dolore. O morte davvero straziante e prematura! Era già fidanzata ad un esimio giovane, era già stato scelto il giorno delle nozze. E questa gioia in quale angoscia si è trasformata! |
1. Ave, Caesar, morituri te salutant!2. Tibi de nostris rebus nihil sum mandaturus per litteras.3. Tibi scripturus sum litteras.4. Ducis consilia perventura erant ad aures hostium.5. Milites, qui pugnaturi erant, arma paraverunt.6. Cum apes evolaturae sunt, vehementer consonant.7. Hostes urbem oppugnaturi sunt.8. Quid acturus es?9. Tribuni allaturi sunt triste nuntium.10. Cyrus qui moriturus erat, filios ad se advocavit.11.Bellum scripturus sum, quod populus Romanus cum Iugurtha, rege Numidarum, gessit.12. Metellus ad bellum, quod gesturus erat, animum intendit.13. Leonidas cohortabatur milites suos ad proelium, quo perituri erant.14. A Caesare Helvetii petituri sunt pacem.15. Athenienses urbem relicturi erant.16. Xerses ad Graeciam profecturus erat.17. Hannibal, Carthaginiensium dux, contra Romanos pugnaturus est.18. Hannibal patri suo iuravit se Romanos victurum esse.19. Promitto hoc me facturum esse.20. Discipuli, qui audituri magistrum sunt, tacent.21. Librum tuum lecturus sum.22. Achilles dixit se Hectorem necaturum esse23. Caesar legatis pollicebatur se eos adiuturum esse.24. Venturus sum Romam cum amicis meis. | 1Salve, Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano.2.Delle mie cose non ti sto mandando nulla per lettera.3.Ti sto per scrivere delle lettere.4.I progetti del comandante stavano per giungere alle orecchie dei nemici.5.I militari che stavano per combattere prepararono le armi.6.Poiché le api stanno per spiccare il volo, ronzano intensamente.7.I nemici stanno per assediare la città.8.Che cosa stai per fare?9.I tribuni stanno per portare una triste notizia.10.Ciro, che era in punto di morte (stava per morire), chiamò a sé i figli.11.Mi accingo a scrivere la guerra che il popolo romano combatté con Iugurta, re dei Numidi.12.Metello, rivolse l'animo alla guerra che stava per combattere .13.Leonida, esortava i suoi soldati alla battaglia nella quale erano destinati a morire14.Gli Elvezi stanno per chiedere la pace a Cesare.15.Gli Ateniesi stavano per abbandonare la città.16.Serse stava per partire alla volta della Grecia.17.Annibale, comandante dei Cartaginesi, si accinge a combattere contro i Romani.18.Anibale giurò a suo padre che avrebbe vinto i Romani.19.Prometto che farò ciò subito.20. Gli allievi che sono in procinto di ascoltare il maestro, tacciono.21.Sto per leggere il tuo libro.22.Achille disse che presto avrebbe ucciso Ettore23.Cesare si era offerto agli ambasciatori di aiutarli.24.Sto per venire a Roma con i miei amici. |
Romulus et Remus gemini sunt sed Romulus Remum necat et unus dominus novi oppidi fit. Is Palatinum munit et templa aedificat. Roma magna fit sed incolarum inopia in oppido est. Quare Romulus asilum advenis promittit et magna perfugarum turba a finitimis vicis in novum oppidum accurrit, sed feminae desunt. Tum Romulus callidum dolum excogitat: Sabinarum populum cum feminis ad ludorum spectaculum invitat. Sabini cum filiis filiabusque Romam veniunt et, dum ludis ludis adsunt, repente Romani puellas Sabinas rapiunt.Propter iniuriam Sabini Romanis bellum ferunt, quod a Romanis, post aspera proelia, vincitur. Tum Sabini cum Romanis de pace agunt, feminae Romae manent et Romani viri puellas Sabinas in matrimonium ducunt. Sic Romani et Sabini propinquitatis vinculis iunguntur. | Romolo e Remo sono gemelli ma Romolo uccide Remo e diventa l'unico signore della nuova città. Egli fortifica il Palatino e costruisce templi. Roma diventa grande ma in città c'è mancanza di abitanti. Per questo Romolo promette asilo agli stranieri e una grande folla di fuggiaschi accorre nella nuova città dai villaggi vicini, ma mancano le donne. Allora Romolo escogita un astuto inganno: invita il popolo dei Sabini con le donne ad uno spettacolo di giochi. I Sabini vanno a Roma con i figli e le figlie e, mentre assistono ai giochi, i Romani rapiscono improvvisamente le ragazze sabine. A causa dell'offesa i Sabini portano ai Romani la guerra, che è vinta dai Romani dopo duri combattimenti. Allora i Sabini trattano la pace con i Romani, le donne restano a Roma e gli uomini Romani sposano le fanciulle sabine. Così i Romani e i Sabini sono uniti da vincoli di parentela. |
Alexander vehiculum quo Gordius vectus erat aspexit. Notabile erat iugum adstrictum compluribus nodis in semetipsos implicatis et celantibus nexus. Antiqua oracula cecinerant eum Asia potiturum esse qui inexplicabile vinculum solvisset. Tum animo regis cupido incessit oraculi sortem implendi. Circa regem erat et Phrygum turba et Macedonum illa expectatione suspensa haec sollicita temerari regis fiducia. Ille nequaquam diu luctatus cum latentibus nodis: "Nihil inquit interest quomodo solvantur." Igitur gladio ruptis omnibus nodis oraculi sortem vel elusit vel implevit. | Alessandro guardò il carro con il quale Gordio venne trasportato. Era considerevole il giogo, legato in molti nodi, in legami stessi aggrovigliati e celati. Gli antichi oracoli avevano narrato che colui che avesse slegato il nodo inticato avrebbe dominato l'Asia. Così andò incontro allo spirito bramoso del re all'opportunità di accontentare l'oracolo. Presso al re vi era sia una folla di Frigi e di Macedoni; quella era angosciata dalla riuscita; questa era vigile per la coraggiosa fede del sovrano. Quello, avendocombattuto a lungo inutilmente con i nodi celati, affermò: "Non mi interessa niente di come siano slegati." Perciò, spezzati tutti i nodi con la spada, eluse e colmò il presagio dell'oracolo. |
[18] De C. Petronio pauca supra repetenda sunt. Nam illi dies per somnum, nox officiis et oblectamentis vitae transigebatur; utque alios industria, ita hunc ignavia ad famam protulerat, habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur. Proconsul tamen Bithyniae et mox consul vigentem se ac parem negotiis ostendit.Dein revolutus ad vitia seu vitiorum imitatione inter paucos familiarium Neroni adsumptus est, elegantiae arbiter, dum nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset. unde invidia Tigellini quasi adversus aemulum et scientia voluptatum potiorem. Ergo crudelitatem principis, cui ceterae libidines cedebant, adgreditur, amicitiam Scaevini Petronio obiectans, corrupto ad indicium servo ademptaque defensione et maiore parte familiae in vincla rapta. | Poche cose (dette) precedentemente sono da riprendere riguardo a Petronio. Infatti, per lui il giorno si trascorreva nel sonno, la notte nelle occupazioni e nei divertimenti della vita, e come lo zelo aveva portato alla fama altri, così la pigrizia (aveva portato alla fama) questo, e veniva considerato non crapulone e dissipatore, come la maggior parte di coloro che dilapidano i loro beni, ma un lusso raffinato. E le sue cose dette e fatte quanto più (erano) libere e mostravano la sua negligenza, tanto più volentieri venivano prese nell’apparenza di semplicità. Tuttavia, come proconsole di Bitinia e poi come console si mostrò energico e all'altezza dei compiti. In seguito, ritornato ai vizi, o piuttosto all’imitazione dei vizi, fu accolto tra i pochi vicini a Nerone, come arbitro di eleganza, al punto che non riteneva nulla piacevole e di dolce abbondanza, se non ciò che Petronio avesse approvato. Da lì la gelosia di Tigellino come se (fosse) contro il rivale e più forte (superiore) nella scienza del piacere. Dunque, si rivolge alla crudeltà del principe, a cui tutte le altre brame erano inferiori, imputando a Petronio l’amicizia di Scevino, avendo condotto uno schiavo a farsi delatore e avendo sottratto la difesa e avendo trascinato la maggior parte della famiglia in prigione. |
Corpore fuit amplo atque robusto; latus ab humeris et pectore, ceteris quoque membris usque ad imos pedes aequalis et congruens; sinistra manu agiliore ac validiore, articoli ita firmis ut recens et integrum malum digito terebraret. Colore erat candido, capillo pone occipitium summissiore ut cervicem etiam obtegeret; facie honesta, in qua tamen erant crebri tumores, cum praegrandibus oculis. Incedebat cervice rigida et obstipa, adducto fere vultu, plerumque tacitus, nullo aut rarissimo etiam cum proximis sermone, nec sine molli quadam digitorum gesticulatione.Valetudine prosperrima usus est, paene toto tempore principatus, quamvis a tricesimo aetatis anno eam rexerit arbitratu suo sine adiumento aut consilio medicorum. | Fu di corpo ampio e robusto; largo di spalle e di petto, regolare e ben proporzionato anche in tutte le parti del corpo, fino ai piedi; aveva la mano sinistra particolarmente agile e forte, con le articolazioni così ferme che forava con un dito una mela integra e fresca. Era di colore bianco, aveva i capelli che gli scendevano piuttosto in basso sulla nuca che nascondevano anche il collo; aveva una faccia bella, nella quale tuttavia vi erano numerosi gonfiori, con occhi enormi. Camminava con il collo rigido e piegato all’indietro, generalmente con un volto severo, la maggior parte delle volte silenzioso, senza mai pronunciare un discorso oppure facendolo raramente anche con i parenti, e neppure quando non vi era nessuno nella gesticolazione delle dita. Godette di buonissima salute, durante quasi tutto il tempo del principiato, sebbene abbia retto quello da quando aveva 13 anni a suo giudizio senza l’aiuto o il consiglio dei medici. |
Minerva quia sapientiae dea appellata erat puellorum matronarumque operis praesidebat dearumque vestimenta texebat. Totius Graeciae puellae Minervam magistram vocabant sed in Lydia vivebat Arachne puella superba. Olim nymphae quoniam puellae Lydiae pulchra lina magnificasque telas viverant Arachnes operam laudabant et propter texturae peritiam obstupescebant. Puellae nymphae dixerunt: ”Minerva magistra tua est quod magna est tuae operae peritia”.Tum Lydia puella magnam superbiam ostendit et deam ad pugnam lacessivit. | Minerva siccome era nominata dea della conoscenza, sorvegliava le attività delle fanciulle e delle padrone e tesseva gli abiti delle dee. Le fanciulle di tutta Grecia soprannominavano maestra Minerva però in Lidia abitava Aracne, una fanciulla arrogante. Un giorno le ninfe, siccome avevano notato le sublimi tele di prezioso lino, celebravano l'opera di Aracne e contemplavano la bravura nella tessitura. Così le ninfe affermarono: "Minerva è tua maestra, poiché c’è grande abilità nella tua arte". La fanciulla della Lidia così manifestò grande arroganza e sfidò in una competizione la dea. |
Hodie in viridibus agris dei agrestes venere mirabili cum laetitia: bacchus venit primus, dulcisque e capite eius uva pendebat, dum cereris tempora spicis maturis cinguntur, saturnus agrestem falcem ostendit. requivevit hodia fertilis humus, requievit etiam alacer arator et gravia opera hominum boumque cessavere. Sacer agnus ad aram vectus est, gravis sacerdos eum diis agrestibus immolavit et, dum agros purgat, sic oravit:"di patrii, graves morbos de nostris depellite limitibus, et celere lupos ad agnis arcete! salubre caelum copiosamque segetem concedite nobis, quia semper vos colimus".postea humilis agricola claro foco grandia ligna ingessit, turbaque iuvenum vernarum omnes fruges domino collegit et virgis casam exstruxit. | Oggi gli dei campestri arrivano nei campi verdi con un amore straordinario: Bacco giunge per primo, dalla sua testa pendeva un chicco d’uva dolce, mentre i tempi di Cerere sono cinti con spighe mature, Saturno mostra una falce agreste. La terra fertile oggi ha riposato, anche l’aratore alacre ha riposato e cessano il lavoro pesante degli uomini e dei buoi. Il sacro agnello è portato all’altare, il solenne sacerdote lo ha immolato agli agresti e, mentre purifica i campi, pregò: O dèi padri, allontanate le gravi malattie dai nostri confini e tenete lontano i veloci lupi dagli agnelli. Concedete a noi un clima salutare (cielo /clima mite) e un raccolto abbondante, poiché onoriamo sempre voi. Poi l’umile contadino incendia con il fuoco luminoso le grandi legnami, e la folla di giovani indigeni raccolse tutti i legumi (cereali) per il padrone e costruì capanne per le vergini. |
Dionysius, Syracusanorum tyrannus, propter iniustam dominatum cupidatem velut in carcerem ipse se inconcluserant. Nam, se tonsori collum committeret, tondere filias suas docuit. Ita sordido ancillarique artificio ragiae virgines ut tonstriculae tondebant barbam et capillum patris. Et tamen ab iis ipsis, cum iam essent adultae, ferrum removit instituitque ut cadentibus iuglandium putaminibus barbam sibi et capillum adurerent. Cumque duas uxores haberet, Aristomachen civem suam, Doridem autem Locrensem, sic noctu ad eas ventitabat, ut omnia perspiceret et observaret ante. | Dionigi, tiranno dei Siracusani a causa dell'ingiusto desiderio di potere, si era rinchiuso lui stesso come in una prigione. Infatti, per non affidare il collo al barbiere, insegnò alle sue figlie a radere. Così, con uno squallido e servile artificio le fanciulle reali tagliavano barba e capelli del padre come barbieri. E tuttavia, essendo quelle ormai adulte, le tolse gli arnesi e stabilì che bruciassero a lui barba e capelli con i gusci ardenti delle noci. Avendo due mogli, Aristomache sua cittadina e invece Doride di Locri andava di notte da quelle così che vedeva e osservava prima tutte le cose. |
Neptunus, Saturni et Rheae filius, traditus est deus dominusque universorum Oceanorum, qui ventis ac procellis imperabat et universarum aquarum imperium cum Aeolo, ventorum domino, et nymphis dividebat; Neptuni concha ab equis marinis transportbantur: ea per undas celeriter trahebatur. Equi feros oculos atque iubas caeruleas habebant, at a Neptuno semper habenis firme ducti sunt. Deus nautis saepe apparebat: nautae, semper viventes in pelagi periculis, multis hostiis benevolentiam Neptuni rogabant: etiam sacra templa ei dicata sunt et plerumque in insularum oris aedificata sunt, ubi nautae deum patronum vitae suae orabant.Neptuno sacri erant equus et delphinus et inter plantas pinus. | Si narra che Nettuno, figlio di Saturno e di Rea, dio di tutti gli Oceani, fosse colui che comandava i venti e le tempeste e che divideva il dominio di tutte le acque con Eolo, dominatore dei venti, e con le ninfe; la conchiglia di Nettuno era trainata da cavalli marini: essa era trasportata velocemente attraverso le onde. I cavalli avevano occhi indomiti e criniere scure, e sono sempre stati guidati fermamente con le briglie da Nettuno. Il dio spesso appariva ai marinai: i marinai, che vivevano sempre tra i pericoli dell’oceano, chidevano la benevolenza di Nettuno con molti sacrifici: gli vennero dedicati anche templi sacri e la maggior parte di essi furono costruiti sulle coste delle isole, dove i marinai pregavano il dio patrono della loro vita. Per Nettuno erano sacri il cavallo e il delfino e, tra le piante, il pino. |
Proderit pueros statim salubriter institui; difficile autem est, quia dare debemus operam ne aut iram in illis nutriamus aut indolem retundamus. Necesse est enim pueros incorruptos crescere atque discere quid sibi prosit ad bene vivendum. Raro id accidit! Saepissime autem fit ut pueri parentum consilia ne audiant quidae. Crescit licentia puer, servitute comminuitur. Sed eadem licentia insolentiam et iracundiam generat. Nihil servile patiatur; numquam illi necesse sit rogare suppliciter.In certaminibus aequalium nec illum irasci patiamur; demus operam ut familiaris sit iis cum quibus contendere solet, ut in certamine adsuescat non nocere sed vincere; quotiens superaverit et dignum aliquid laude facerit, eum nimis gestire non patiamur; gaudium enim sequitur exsultatio, exultationem tumore et nimia aestimatio sui sequitur. Nemo autem dubitat quin aliquod laxamentum dandum sit, sed nimium otuim pueros deterrebit quominus quid utile discant. Non resistet difficultationibus ille cui nihil numquam negatum est, cuius lacrimas semper sollicita mater abstersit, cui de paedagogo satisfactum est. | È utile istruire i bambini in modo salutare; però è difficile, poiché ci dobbiamo adoperare sia per non nutrire ira nei loro confronti sia per non indebolire il loro carattere. È necessario infatti che i bambini crescano puri e imparino che cosa gli sia utile per vivere bene. Di rado ciò accade! Spessissimo infatti accade che i bambini non ascoltino per nulla i consigli dei genitori. Il bambino cresce in libertà, minaccia la servitù. Ma la medesima libertà genera superbia e collera. Non sopporta per nulla le cose proprie di uno schiavo; ci adoperiamo affinché si comporti bene con coloro con cui è solito gareggiare, affinché si abitui non a far del male nel combattimento ma a vincere; quante volte vince e si rende degno di un quale elogio, non sopportiamo che si abbandoni troppo alla gioia; alla gioia infatti segue l’esaltazione, all’esaltazione segue l’eccitazione e la troppa soddisfazione in sé stessi. Nessuno però dubita che bisogna dare qualche tregua ma troppo tempo libero distoglie i ragazzi da ciò che è utile che imparino. Non resiste alle difficoltà quello al quale non è mai stato negato qualcosa, le lacrime del quale sempre asciugò la madre turbata, al quale è stata data vinta contro il maestro. |
Rectius vives, Licini, neque altumsemper urgendo neque, dum procellascautus horrescis, nimium premendolitus iniquum.auream quisquis mediocritatemdiligit, tutus caret obsoletisordibus tecti, caret invidendasobrius aula.saepius ventis agitatur ingenspinus et celsae graviore casudecidunt turres feriuntque summosfulgura montis.sperat infestis, metuit secundisalteram sortem bene praeparatumpectus: informis hiemes reducitIuppiter, idemsubmovet; non, si male nunc, et olimsic erit: quondam cithara tacentemsuscitat Musam neque semper arcumtendit Apollo.rebus angustis animosus atquefortis adpare, sapienter idemcontrahes vento nimium secundoturgida vela. | Vivrai meglio, o Licinio, senza spingerti sempre in alto mare né, mentre cautamente temi le tempeste, non seguirai troppo da vicino la costa pericolosa.Chiunque prediliga la preziosa via di mezzo, al sicuro, resta lontano dallo squallore di una casa fatiscente; moderato, e sta lontano da un palazzo che crea invidia .Molto spesso il pino troppo alto è agitato dai venti, e le torri più elevate sono quelle che crollano al suolo in modo più rovinoso, ed i fulmini colpiscono le cime dei monti .Un animo ben preparato nella situazione avversa si augura una sorte favorevole, nella buona teme la sorte contraria. Squallidi inverni scatena su di noi Giove ed è lui stesso che li allontana.E se le cose ora vanno male, non è detto che sarà così anche la prossima volta: talvolta, Apollo con la cetra risveglia la poesia [fino ad allora] silenziosa, e non sempre tende l’arco.Nelle avversità mostra un animo forte e coraggioso, ed allo stesso modo, saggiamente, raccogli le vele gonfiate da un vento troppo favorevole. |
Caesari omnia uno tempore erant agenda: vexillum proponendum erat, quod erat insigne, cum ad arma concurri oporteret; signum tuba dandum; abopere revocandi milites erant, qui paulo longius aggeris petendi causa processerant, arcessendi, acies instruenda erat, milites cohortandi erant, signum dandum erat. Quarum rerum magnam partem temporis brevitas et incursus hostium impediebat. His difficultatibus duae res erant subsidio, scientia atque usus militum, quod superioribus proeliis exercitati. | Tutte le cose dovevano essere fatte da Cesare in un solo tempo: una bandiera doveva essere esposta, ciò che era importante, poiché occorreva correre alle armi; il segno doveva essere dato con una tromba; i soldati dovevano essere richiamati dal lavoro, quelli i quali erano andati avanti un poco più lontano per cercare un argine; la truppa doveva essere messa in fila, i soldati dovevano essere esortati, il segnale doveva essere dato. La brevità del tempo e l'assalto dei nemici impedivano parte di queste importanti attività. A queste difficoltà due cose erano di supporto, la conoscenza e l'esperienza dei soldati, perché, esercitati nelle battaglie precedenti |
Longum et cruentum bellum fuit: modo Romani vicerunt proelio Sabinos,modo Sabini Romanos. Denique Titus Tatius, Sabinorum rex, dolo Capitolium occupavit, dum Romani in campo, qui inter Capitolium et Palatium est, copias instruunt. Romanorum et Sabinorum copiae ad supremum proelium se parant. Tum Sabinae, quae iam amare viros coeperant et liberos genuerant, inter maritos et patres se iecerunt et eos suppliciter ita invocaverunt:"A proelio desistite, si nos amatis, aut nos,quae causa belli fuimus, necate:soceri generos ne necent, neve generi soceros".Tum silentium est: non solum Romani et Sabini bellum intermittunt, sed etiam regnum consociant. | La guerra fu lunga e cruenta: ora i Romani vinsero la battaglia contro i Sabini,ora i Sabini vinsero i Romani. E poi Tito Tazio,re dei Sabini, con astuzia occupò il Campidoglio, mentre i Romani schierarono l'esercito nella pianura che è tra il Campidoglio e il Palatino. L'esercito dei Romani e dei Sabini si preparano per l'ultima battaglia. Allora le Sabine, che avevano già cominciato ad amare i mariti e avevano generato figli si gettarono tra mariti e padri e supplichevolmente, così invocarono:" Desistete dalla battaglia, se ci amate, o uccidete noi che fummo la causa della guerra: i suoceri non uccidano i generi, né i generi i suoceri". Allora vi fu silenzio: non solo i Romani e i Sabini cessarono la guerra ma divisero fra loro anche il regno. |
Quia Apollinis Delphis oraculum Macedonum regem Philippum admonuit a quadrigae violentia salutem suam custodire rex toto regno disiungi plaustra statuit locumque, qui in Boetia Quadriga vocatur, semper vitavit. Nec tamen periculi genus effugit: nam Pausanias gladio eum occidit et in eius capulo quadrigam caelatam esse tradunt. Tam pertinax necessitas in patre filio Alexandro consimilis apparuit: nam Callanum Indum, ubi sua sponte se ardenti rogo superiecebat, Alexandro dixisse tradunt: "Brevi te videbo"; nec id sine causa, quia post voluntarium eius vitae finem rapida mors Alexandri fuit. | Siccome a Delfi l'oracolo di Apollo ammonì Filippo, sovrano dei Macedoni, di custodire la sua salute dalla brutalità della quadriga, il sovrano stabilì che fossero distrutti in tutto il regno i carri e evitò sempre il posto che in Beozia viene nominato quadriga. Nè tuttavia sfuggì al genere di rischio: difatti Pausania lo trafisse con la spada e affermano che nel suo sepolcro sia stato celato un cocchio. Così la tenace esigenza nel padre appare simile nel figlio Alessandro: difatti si narra che Callano presso l'Indo, dove per spontaneo volere si gettava su un rogo rovente, abbia detto ad Alessandro: "Ti vedrò a breve"; né questo senza motivazione, perché dopo la volontaria fine della sua vita vi fu la veloce morte di Alessandro. |
Lupus et agnus inimici semper fuerunt et erunt. Ferus lupus in densa atqueobscura silva habitabat, ut diu noctque haedorum et agnorum stabula visitabat ac saeve vexabat. Olim timidus et parvus agnus in vicino prato sine cura currebat et ludebat. Repente lupus famelicus agnum vidit. Tum agnus, maxime axanimus ac tremebundus, multis lacrimis vita implorat. At lupus, famelicus et saevus, misericordiam et vota ignorat et miserum angum repente dilaniat ac devorat.interea stabuli dominus misera agni lamenta audivit ac statim agricolas propinquos assidue advocavit. Tum seduli agricolae cum baculis et armis accurrerunt ac saevum lupum necaverunt. | Lupo e agnello furono e saranno sempre nemici. Il lupo selvaggio viveva nel denso e oscuro bosco, e lungamente di notte visitava le dimore delle capre e degli agnelli. Un tempo il piccolo e timido agnello correva e giocava in un preto vicino senza cura. Improvvisamente il famelico lupo vide l'agnello. Allora l'agnello assai impaurito e tremolante chiese salvezza con molte suppliche. Il lupo, famelico e feroce, ignora le misericordie e le preghiere e allora dilania e divora il misero agnello. Nel frattempo il padrone della dimora ascoltò i miseri lamenti dell'agnello e subito chiamò assiduamente i contadini vicini. Allora i diligenti contadini con i bastoni e le armi accorsero e uccisero il feroce lupo. |
Persae in lugubri veste cum coniugibus ac liberis vero desiderio Alexandri mortem lugebant. Adsueti sub regibus servilem vitam vivere, non alium rectorem sibi eo meliorem fuisse confitebantur. Fama Alexandri mortis ad Darei quoque matrem celeliter perlata est; quam non puduit lugubrem vestem sumere atqua, laceratis crinibus, humi corpus abicere. Adsidebat ei altera ex neptibus, puella circuite vinginti annorum, quae pari dolore flebat. Sed Sisigambis in more Alexandri etiam suam, etiam neptium fortunam dolebat.Cogibat enim:"Quem miserebit mei et mearum neptium?Qui alius Alexander futurus est?" Ad ultimum vitae eam pertaesum est atque dolori succubuit; cibo abstinuit et luce, atque post quinque dies extincta est. | Persiani, vestiti da funerale, gemevano con le mogli e i figli per il decesso di Alessandro con vero dolore. Nonostante furono abituati sempre a trascorrere una vita da servi, sapevano di non aver avuto nessun sovrano più bravo di lui. La notizia del decesso di Alessandro arrivò velocemente pure alla madre di Dario; lei non si vergognava di portare la veste da funerale e, strappatasi i capelli, a gettarsi al suolo. Le stava vicino la seconda nipote, una ragazza di quasi vent'anni, che gemeva con ugual supplizio. Però Sisigamba era dolorante per il suo destino e delle nipoti, con il decesso di Dario. Difatti, rifletteva: "Chi proverà pena per me e le mie nipoti? Ci sarà un altro Alessandro?". In conclusione, decise di finirla e si lasciò vincere dal supplizio, si abbandonò morire di fame e decedette dopo 5 giorni. |
Nemo nostrum ignorat quantum veteres Romani res rusticas amaverint. Notum est enim nobilissimos quoque cives inter agros vitam egisse. Humum arare atque agros colere apud eos turpe non erat. Ipse senatus saepe viros ex agris vocavit, ut rem publicam regerent exercitibusque praeessent. Cum quondam hostes appropinquarent, consules senatusque Cincinnatum, hominem frugi ac rei militaris peritum, ab aratro arcessiverunt, ut dictator esset. Qui, cum hostes victuros fugavisset patriamque liberavisset, donum properavit iterumque inter flaventes agros vixit. | Nessuno di noi ignora quanto gli antichi romani adorassero la vita rustica. E' noto difatti che pure i nobilissimi abitanti abbiano trascorso la vita tra i campi. Non era osceno presso codesti difatti dissodare il suolo e coltivare i campi.Il medesimo senato molte volte convocò dai campi gli uomini, affinché mantenessero lo stato e fossero a capo degli eserciti. Poiché una volta gli avversari si avvicinarono, i consoli e il senato inviarono a chiamare dall'aratro Cincinnato, uomo esperto di coltura e di arte militare, perché diventasse dittatore. Lui, avendo messo in fuga gli avversari che erano sul punto di trionfare e avendo liberato la patria, ricevette un regalo e di nuovo trascorse tra i campi dorati. |
Bello Peloponnesio Alcibiadis consilio atque auctoritate Athenienses bellum Syracusanis indixerunt. Ad quod gerendum ipse dux delectus est, duo praetera collegae dati sunt, Nicia et Lamachus. Id cum appararetur, priusquam classis exiret, accidit ut una nocte omens Hermae, qui in oppido erant Athenis, deicerentur praeter unum, qui ante ianuam erat Andocidi. Itaque ille postea Mercurius Andocidi vocitatus est. Hoc cum appareret non sine multorum consensione esse factum, quae non ad privatam, sed publicam rem pertineret, moltitudini timor est iniectus, ne qua repentina vis in civitate exsiseret, quae libertatem opprimeret populi.Hoc maxime conveniebat in Alcibiadem, quod et potentior et maior quam privatus existimabatur: multos enim liberalitate devinxerat, plures etiam opera forensi suos reddiderat.Qua re fiebat ut omnium oculos, quotienscumque in publicum prodisset, ad se converteret neque ei par quisquam in civitate poneretur. Itaque non solum spem in eo habebant maximam, sed etiam timorem, quod et obesse plurimum et prodesse poterat. | Nella guerra del Peloponnso, per consiglio e incitamento di Alcibiade gli ateniesi dichiararono guerra ai siracusani. Per fare ciò fu eletto comandante lo stesso Alcibiade e gli furono dati due colleghi, Nicia e Lamaco. Mentre si preparava la guerra, prima che uscisse la flotta, accadde che in una sola notte tutte le Erme che erano nella città di Atene furono abbattute, tranne una che era davanti alla porta di Andocide. Essendo evidente che ciò fosse stato fatto non senza un grande consenso di molti, affinchè non avesse come scopo l'interesse privato ma quello pubblico, fu inculcato grande timore nella moltitudine affinchè nessun modo scaturisse nella cittadinanza un colpo di Stato per sopprimere la libertà del popolo. Ciò sembrava principalmente essere conveniente ad Alcibiade poichè era stimato sia più potente, sia più importante, che un privato cittadino: infatti aveva legato a sè molti con la generosità, e anche molti aveva reso suoi alleati con il lavoro forense.Per questo motivo, ogni volta che si presentava in pubblico, accadeva che attirasse su di sè gli occhi di tutti che nessuno nella cittadinanza fosse stimato pari a lui. Così avevano in lui non solo grandissima speranza, ma anche la paura, poichè poteva sia danneggiare sia giovare molto. |
Facio non numquam versiculos severos parum, facio; nam et comoedias audio et specto mimos et lyricos lego et Sotadicos intellego; aliquando praeterea rideo iocor ludo, utque omnia innoxiae remissionis genera breviter amplectar, homo sum. Nec vero moleste fero hanc esse de moribus meis existimationem, ut qui nesciunt talia doctissimos gravissimos sanctissimos homines scriptitasse, me scribere mirentur. Ab illis autem quibus notum est, quos quantosque auctores sequar, facile impetrari posse confido, ut errare me sed cum illis sinant, quorum non seria modo verum etiam lusus exprimere laudabile est.An ego verear ne me non satis deceat, quod decuit M. Tullium, C. Calvum, Asinium Pollionem, M. Messalam, Q. Hortensium, M. Brutum, L. Sullam, Q. Catulum, Q. Scaevolam, Servium Sulpicium, Varronem, C. Memmium, Annaeum Senecam et, si non sufficiunt exempla privata, Divum Iulium, Divum Augustum, Divum Nervam, Tiberium Caesarem? | Compongo, compongo talvolta dei versi disimpegnati poco seri; infatti sia sto ad ascoltare le commedie, sia guardo i mimi sia leggo i poeti lirici sia apprezzo i sotadici; qualche volta inoltre rido, scherzo, gioco anche affinché io possa abbracciare in breve tutti i tipi di svago innocente: sono un uomo. Né in verità sopporto a malincuore che questa sia la stima della mia austera moralità affinché quelli che non sanno che tali cose scrissero uomini autorevolissimi, saggissimi ed integerrimi, si meraviglino di scrivere di me. Invece da quelli ai quali è noto quali e quanti modelli segua, confido che possano facilmente capire che permettono che io sbagli e che è lodevole invece imitare quelli non solo nelle cose serie ma anche nel gioco. Forse che temo che non si addica a me ciò che si addisse a Marco Tullio, Caio Calvo, Asinio Pollione, M. Messalla, Quinto Ortensio, M. Bruto, L. Silla, Q. Catulo, Q. Scevola, Servio Sulpicio, Varrone, Caio Memmio, Anneo Seneca e se non sono eventi sufficienti, il divino Augusto, il Divino Nerva, Tiberio Cesare? |
Reperio apud scriptores senatoresque eorundem temporum Adgandestrii principis Chattorum lectas in senatu litteras, quibus mortem Arminii promittebat si patrandae neci venenum mitteretur, responsumque esse non fraude neque occultis, sed palam et armatum populum Romanum hostis suos ulcisci. Qua gloria aequabat se Tiberius priscis imperatoribus qui venenum in Pyrrum regem vetuerant prodiderantque. Ceterum Arminius abscedentibus Romanis et pulso Maroboduo regnum adfectans libertatem popularium adversam habuit, petitusque armis cum varia fortuna certaret, dolo propinquorum cecidit: liberator haud dubie Germaniae et qui non primordia populi Romani, sicut alii reges ducesque, sed florentissimum imperium lacessierit, proeliis ambiguus, bello non victus. | Trovo negli scrittori e nei senatori dello stesso periodo del principe dei Catti Adgandestro, che in Senato furono lette le lettere, con cui egli prometteva la morte di Arminio, se gli venisse inviato del veleno per compere l'uccisione,e che gli fu risposto che non con l'inganno nè con azioni segrete,ma alla luce del sole ed armato il popolo romano era solito uccidere i suoi nemici.Ed in quella gloria Tiberio si equiparava agli antiche comandanti che avevano vietato il veleno contro il re Pirro e denunciato la cosa.Peraltro, mentre i Romani andavano via dopo che Marobodno era stato cacciato, Arminio che aspirava al regno,trovò contraria l'aspirazione di libertà dei popolani,ed affrontato in armi, mentre combatteva con varia fortuna, cadde per l'inganno dei congiurati: egli senza dubbio liberatore della Germania e osò sfidare non gli albori del popolo romano, così come altri re e comandanti, ma un fiorentissimo impero, alterno nei successi e negli scontri, invitto in guerra. |
Cum caelum suspeximus caelestiaque contemplati sumus, quid potest esse tam apertum tamque perspicuum quam esse aliquod numen praestantissimae mentis, quo haec regantur? Si quis in domum aliquam aut in gymnasium aut in forum venerit, cum videat omnium rerum rationem, modum, disciplinam, non possit ea sine causa fieri iudicare, sed esse aliquem qui praesit et cui pareatur. Multo magis in tantis motionibus tantisque vicissitudinibus, tam multarum rerum atque tantarum ordinibus, statuat necesse est ab aliqua mente tantos naturae motus gubernari."Si enim" inquit Chrysippus "est aliquid in rerum natura, quod potestas humana efficere mon possit, certe id quod illus efficit, est homine melius; atqui res caelestes ab homine confici non possunt; est igitur id, a quo illa conficiuntur, homine melius".Id autem quid potius dixeris quam Deum? | Quando innalziamo (perfetto gnomico) lo sguardo al cielo e contempliamo le cose celesti, cosa può essere tanto palese e tanto manifesto quanto il fatto che essiste qualche divinità dall'intelligenza assai straordinaria, dalla quale le cose sono regolate? Se qualcuno venisse in qualche casa o in una palestra o nel foro, vedendo l'organizzazione, la giusta misura e la norma di condotta di tutte le cose, non potrebbe concludere che quelle cose sono fatte senza un motivo fondato, ma che esiste qualcuno che sovrasta e a cui si è sottoposti. Molto di più è inevitabile che si decida che, in così grandi movimenti, in così grandi mutamenti, nelle regolarità di cose tanto importanti e numerose, i così grandi moti della natura siano governati da una qualche intelligenza. Disse Crisippo: "Se infatti c'è qualcosa nella natura, che la potenza umana non può fare, certamente ciò che ha fatto quello, è migliore dell'uomo; eppure le cose celesti non possono essere fatte dall'uomo, pertanto quest'essere, da cui sono state fatte, è migliore dell'uomo". Ma quest'essere come lo chiameresti, se non Dio? |
Omnibus pueris nota est Phaedri fabella de cervi vanitate .Cervus quondam, qui ad fontem venerat, effigiem suam intentis oculis in aqua observans, ramosa cornua laudabat crurumque nimiam tenuitatem virtuperabat. Subito agitantium vocibus conterritus et canes latrantes audiens, per campum fugere coepit, brevi tempore curribus exilibus quidem, velocibus tamen, canes elusit et in tutum se recepit inter vicinae silvae arbores. Paulo post, cum canes appropinquantes audivisset, salutem fuga petere iterum temptavit; sed densi rami, cornua retinentes, eius fugam impediverunt.Venatores eum ceperunt et cervus,moriens ,flebili voce talia dixit:"O me infelicem! Crura contempsi et crura mihi salutem praebuerunt; cornua magnopere laudavi et cornua mihi mortem paraverunt" | Tutti i bambini conoscono la favoletta di Fedro intitolata "La vanità del cervo". Una volta un cervo che, spinto dalla sete, era andato ad una fonte, osservando la sua immagine, elogiava con ammirazione le sue corna ramificate e biasimava l'eccessiva gracilità delle sue gambe. Improvvisamente spaventato dalle grida dei cacciatori e udendo l'abbaiare dei cani, incominciò a fuggire per la pianura e in breve tempo grazie alle sue gambe esili si, ma veloci, sfuggi ai cani e si mise in salvo in mezzo agli alberi del bosco vicino. Poco dopo udendo abbaiare i cani ed avvicinarsi di nuovo, tentò di cercare la salvezza con la fuga; ma i rami fitti trattenendo le corna impedirono al cervo di fuggire.Catturato dai cacciatori e dai cani, morendo con voce flebile parlò così: "O me infelice: ho disprezzato le zampe e le zampe sono state la mia salvezza; ho molto elogiato le corna e le corna sono state la causa della mia morte". |
Simonides, clarus ille poeta, cum ad litus navem appulisset inhumatumque corpus iacens sepulturae mandasset, admonitus ab eo ne proximo die navigaret, in terra remansit. Qui inde solverant, fluctibus et procellis in conspectu eius obruti sunt: ipse laetatus est, cum vitam suam somnio quam navi credere maluisset. Memor autem beneficii, alegantissimo carmine salutis aucotrem aeternitati consecrevit, diuturnius in animis hominum sepulcrum ille costituens quam in desertis et ignotis harenis struxerat | Simonide, quel famoso poeta, quando diresse la nave alla riva e affidò alla sepoltura il corpo che giaceva insepolto, ammonito da quello di non navigare il giorno seguente, rimase a terra. Quelli che erano salpati da lì, furono sommersi alla sua vista dalle onde e dalla tempesta: questi si rallegrò, poiché preferì affidare la sua vita a un sogno piuttosto che ad una nave. Tuttavia memore del favore, immortalò l’autore della sua salvezza con un’elegantissima poesia, collocando negli animi degli uomini le sue tombe in modo più duraturo che se l’avesse innalzato nei solitari e sconosciuti deserti. |
Pericles, felicissimis doti bus instructus et summo studio perpolitus Anaxagora praeceptore, liberis Atheniensium cervici bus urbem servitutis imposti; nam egi et versavit urbem arbitrio suo. Cumque loqueretur ad versus voluptatem populi, iucunda nihilominus et popularis sua vox erat. Itaque etiam veteris comoediae maledica lingua, quamvis potentiam illius viri perstringere cupiebat tamen in libris eius videbat habitare leporem dulciorem melle. Senex quidam, qui forte audibit primam concionem Pericles adulescentuli et qui iuvenis, audiverat Pisistratum iam decrepitum concionantem “Cadete-inquit-hunc civem vestrum, quod Pisistrati urationi simillima eius oratio est”.nec ille senex erravit et de eloqui aestimatione et de morum augurio. Nulla re enim Pericles dissimili Pisistrati fuit, nisi quod ille armatus his sin armis tyrannidem gessit. | Pericle, fornito di ottime doti e perfezionato il sommo studio dal precettore Anassagora, impose il giogo della schiavitù sulle libere menti degli Ateniesi, infatti, guidò e rigirò la città a suo piacimento. Sebbene parlasse contro la volontà del popolo, tuttavia la sua voce era gradita e popolare. Pertanto anche la lingua maldicente dall’antica commedia, anche se desiderava restringere la potenza di quell’uomo tuttavia sulle sue labbra vedeva risiedeva un’amabilità più dolce del miele. Un vecchio, già decrepito, che per caso vide il primo discorso del molto giovane Pericle e che da giovane, aveva ascoltato il discorso di Pisistrato, “State in guardia- disse- da questo vostro concittadino, poiché la sua orazione è molto simile all’orazione di Pisistrato”. Né quel vecchio si sbagliò, sia nel giudizio dell’eloquio sia nella previsione. In nessuna cosa infatti Pericle fu dissimile da Pisistrato, se non perché quello armato, questo esercitò la tiranide senza armi. |
Imperator Marcus Aurelius omnibus orientalibus provinciis carus fuit et apud multas etiam clementiae et philosophiae studii vestigia reliquit. Apud Aegyptos magna cum diligenzia principia antiquae eorum sapientiae quaesivit. Fuit diu Alexandriae et Antiochiae,clementer cum civibus agens. Pacem cum multis Asiae regibus et Persarum legatis, ad se (da lui) venientibus, fecit. Faustinam uxorem sub radicibus montis Tauris, in parvo vico,exanimatam vi subi morbi, amisit.Postea Faustinae,divae a senatum appellatae, aedem exstruxit. Rediens ad Italiam navi gravem tempestatem Romanorum classe quassantem fortiter tulit. Brundisio Romam pergens, et ipse (lui stesso) et milites, eius iussus, sagum deposuerunt et togam sumpserunt. Postquam Urbem venit, triumphum egit, congiarium et spectacula mirifica populo dedit; deinde civitatis mores corruptos correxit atque sumptus et publicos et privatos minuit.Sententia Platonis semper in eius ore fuit: "Florent civitates, si aut philosophi imperant aut imperates pro philosophis agunt." | L’imperatore Marco Aurelio fu caro a tutte le province orintali e in presenza di multe lasciò le tracce della cura della clemenza e della filosofia. Presso gli Egiziani cercò di ottenere le fondamenta del loro sapere. Stette a lungo ad Alessandria e ad Antiochia comportandosi mitemente xon i cittadini. Fece la pace con molti re dell’Asia e ambasciatori dei Persiani,andati da lui. Perse la moglie Faustina sotto le radici del monte Tauro in una piccola strada, uccisa con la forza di un’improvvisa malattia. Poi edificò un tempio a Faustina, dea chiamata dal senato. Andando in Italia in nave sopportò una violenta tempesta che sconquassò energicamente la flotta dei Romani. Proseguendo da Brindisi a Roma, sia lui stesso sia i soldati con il suo comando, deposero il mantello militare e indossarono la toga. Dopo essere arrivati a Roma, condusse il trionfo, diede una donazione e spettacoli meravigliosi al popolo; poi corresse le tradizioni corrotte dei cittadini e diminuì le spese sia pubbliche sia private. Il pensiero di Platone fu sempre nella sua bocca:”Cittadini fiorenti, se o comandando o comandati i filosofi agiscono in favore dei filosofi”. |
Roma, olim terrarum domina, Latinam linguam divulgabat ubi Romanorum militiae incolaeque colonias constituebant. Latina lingua Romanorum scientiam peritiamque docebat, adhuc Romanorum sapientia prudentiaque vitam nostram alit. Non solum Italiae, sed etiam Europae incolae olim Latina lingua dicebant et dicunt. Italica lingua Latinae linguae filia est; si Latinam linguam curamus, Italicam linguam melius discimus et disciemus. In schola multas horas in Romanorum litteris historia grammaticaque discipuli consumunt.Nam Latinam linguam discere est antiqua experientia vivere et bonam laetitiam impetrare. | Roma, una volta signora delle terre, divulgava la lingua Latina dove le milizie dei Romani e gli abitanti fondavano colonie. La lingua Latina divulgava la scienza e la perizia dei Romani, anche ora la sapienza e la prudenza dei Romani alimentano la nostra vita. Gli abitanti non solo dell'Italia, ma anche dell'Europa una volta parlavano e parlano in lingua latina. La lingua italica è figlia della lingua latina, se curiamo la lingua latina, apprendiamo e sapremo meglio la lingua italica. A scuola gli alunni dedicano molte ore alla letteratura, alla storia e alla grammatica dei Romani. Infatti apprendere la lingua latina è vivere secondo l'antica esperienza e ottenere buona gioia. |
Audite, discipuli, de Icaro luctuosam fabulam. Daedalus captivus Cretae domini erat com Icaro filio in Cretae Labyrintho et exilium finire optabat, at undique pelagus locum claudebat. Improviso Daedalus exclamavit: "Tyrannus autem caelum non possidet!" et subito, ingenii auxilio, humanam naturam novavit: pennae collectae sunt, lino et cera alligatae sunt atque umeris suis et filii Icari aptatae sunt. Interea filium monuit: "Fili mi, in media via caeli vola! Undae enim pelagi alas gravant, contra solis radii urunt.Meis consiliis semper obtempera!". Postea Icaro oscula dedit et, pennis levatus, in caelum ascendit, ante filium volabat et filii alas observabat. At Icarus, ob nimium gaudium, mediam viam deseruit e in altum caelum volavit. Ita solis radiis alarum cera mollita est et miser puer in undas pelagi praecipitavit. | Ascoltate, oh discepoli, della triste storia di Icaro. Dedalo era prigioniero con il figlio Icaro del despota di Creta e cercava di porre fine all'esilio nel Labirinto di Creta ma il mare circondava il luogo da ogni parte. Improvvisamente Dedalo esclamò: "Il tiranno non possiede anche il cielo!" e immediatamente, con l'aiuto dell'ingegno, cambiò la natura umana: raccolse delle piume, le legò assieme con spago e cera e le dispose sulle spalle sue e di suo figlio Icaro. Tuttavia ammonì il figlio: "O figlio mio, vola nella parte centrale del cielo! Poichè le onde dell’oceano appesantiscono le ali, mentre i raggi del sole le bruciano. Obbedisci sempre ai miei consigli!". Poi diede un bacio a Icaro e, levatosi in alto grazie alle penne, salì nel cielo, volava davanti al figlio e osservava le ali del figlio. Ma Icaro, per il troppo entusiasmo, abbandonò la via centrale e volò nell’alto cielo. Così la cera delle ali si ammorbidì con i raggi del sole e il giovane sventurato precipitò tra le onde dell'oceano. |
Quod si ipsi haec neque attingere neque sensu nostro gustare possemus tamen ea mirari deberemus etiam cum in aliis videremus. Quis nostrum tam animo agresti ac duro fuit ut Rosci morte nuper non commoveretur? qui cum esset senex mortuus tamen propter excellentem artem ac venustatem videbatur omnino mori non debuisse. Ergo ille corporis motu tantum amorem sibi conciliarat a nobis omnibus: nos animorum incredibilis motus celeritatemque ingeniorum neglegemus? Quotiens ego hunc Archiam vidi, iudices, quotiens ego hunc vidi, cum litteram scripsisset nullam, magnum numerum optimorum versuum de eis ipsis rebus quae tum agerentur dicere ex tempore! Quotiens revocatum eandem rem dicere, commutatis verbis atque sententiis! Quae vero adcurate cogitateque scripsisset, ea sic vidi probari, ut ad veterum scriptorum laudem perveniret.Hunc ego non diligam? non admirer? non omni ratione defendendum putem! | E se non possiamo toccare proprio noi né provare con il nostro senso gli studi letterari, tuttavia dovremmo ammirarli, anche vedendoli in altri. Chi di noi è stato di animo tanto rozzo e insensibile da non essere stato commosso dalla morte di Roscio? Lui che, morto perché era vecchio, tuttavia sembrava non dovesse morire del tutto grazie alla superba arte e alla bellezza. Dunque quello si era procurato da tutti noi attraverso l'atteggiamento del corpo un affetto tanto grande; noi trascureremo (dovremmo trascurare) l’incredibile moto dello spirito e agilità della mente? Quante volte io ho visto questo Archia, o giudici, quante volte l’ho visto, quando non aveva scritto neanche una parola, improvvisare un gran numero di ottimi versi sugli stessi argomenti, che allora venivano trattati! Quante volte (l’ho visto) invitato a ripetere la stessa cosa con altre parole e frasi! E (se) certamente trascriveva queste cose accuratamente e con riflessione, ho giudicato che esse fossero così gradite, da giungere alla lode di anziani scrittori. Io non dovrei apprezzarlo? Non dovrei ammirarlo? Non dovrei pensare di doverlo difendere in ogni maniera? |
Catilinam luxuria primum, tum hinc conflata egestas rei familiaris, simul occasio, quod in extremis finibus mundi arma Romana peregrinabantur, in nefaria consilia opprimendae patriae suae compulere. Senatum confodere, consules trucidare, distringere incendiis urbem, diripere aerarium, totam denique rem publicam funditus tollere et quidquid nec Hannibal videretur optasse, quibus - o nefas - sociis adgressus est! Ipse patricius; sed hoc minus est: Curii, Porcii, Sullae, Cethegi, Autronii, Varguntei atque Longini, quae familiae! quae senatus insignia! Lentulus quoque tum cum maxime praetor.Hoc omnis inmanissimi facinoris satellites habuit. Additus est pignus coniurationis sanguis humanus, quem circumlatum pateris bibere: summum nefas, nisi amplius esset, propter quod biberunt. Actum erat de pulcherrimo imperio, nisi illa coniuratio in Ciceronem et Antonium consules incidisset, quorum alter industria rem patefecit, alter manu oppressit. | Dapprima l'amore per il lusso, poi da lì una povertà ammassata col patrimonio familiare, allo stesso tempo la circostanza che le forze romane viaggiavano agli estremi confini del mondo, spinsero Catilina agli empi propositi di sopraffare la sua patria. Cancellare il senato, trucidare i consoli, logorare la città con incendi, saccheggiare l’erario, infine, abolire completamente la Repubblica e qualunque cosa sembrava che Annibale avesse scelto, con quali alleati – oh maledetto!- assalì! Lui stesso (fu) patrizio; ma è questo è il meno: i Curii, i Porci, i Silla, i Cetegi, gli Autroni, i Varguntei e i Longini, quali famiglie! Quali rappresentanti del Senato! Anche Lentulo allorché soprattutto fu pretore. Ebbe tutti questi come complici della sua crudelissima impresa. Fu aggiunto come garanzia della congiura sangue umano, che bevvero passato di mano in mano in coppe: massimo sacrilegio, se non fosse il più grande a causa di ciò che bevvero. Sarebbe finita per il nobilissimo potere, se quella congiura non fosse capitata sotto i consoli Cicerone e Antonio, dei quali uno svelò la faccenda con lo zelo, l’altro la schiacciò con la forza. |
Olim aestate vulpinos catulos aquila abripuit et in alta arbore ante pullorum ieiunorum suum nidum posuit. Catulorum mater ad arborem anxia adpropinquavit et luctuosis precibus catulos suos petivit. Aquila, quae in alto nido tuta stabat, miserae matris lamentationes per multas horas contempsit. Tum vulpes maesta ab Iovis ara igneam facem rapuit et, apud altae arboris pedes, aquilae inimicae dixit: <Meos filios mihi redde, alioquin flammis et tuam arborem et tuum nidum incendam>.Tum aquila, terroris plena, vulpi natos integros tradidit et aius veniam imploravit. | Un giorno in estate un’aquila rapì dei cuccioli di volpe e li depose nel suo nido su un alto albero davanti ai becchi dei suoi pulcini affamati. La madre dei cuccioli si avvicinò angosciata all’albero e reclamò i suoi cuccioli con lacrimevoli suppliche. L’aquila, che stava protetta nell’alto nido, ignorò per diverse ore i lamenti della povera madre. Allora la volpe, afflitta, portò via dall’altare di Giove una fiaccola infuocata e, ai piedi dell’alto albero, disse all’aquila nemica: “Restituiscimi i miei figli, altrimenti incendierò il tuo albero e il tuo nido”. Allora l’aquila, piena di paura, consegnò alla volpe i figli incolumi e si appellò alla sua benevolenza. |
Alexander ille, qui Magnus est appellatus, qui Persas et Hyrcanos et Indos fugavit atque subegit, regum quidem et infinitarum gentium victor evasit, non sui. Magnus igitur iure propter bellicam laudem atque res gestas vocari potest, sed nec beatus vixit nec sapiens. Non sapiens: nemo enim sapiens umquam exstitit qui continentiam et moderationem despiceret: quas virtutes Alexander in superbiam atque lasciviam vertit, Persicae vestis ornatum requirens et purpureum diadema quale Dareus habuerat; superbiam vero habitus insolentia animi sequebatur.At ne beatus quidem fuit: nam cum Clitum amicum interemisset, statim ut ira deferbuit, sceleris conscientia exagitatus, cum tanto dedecori nollet esse superstes, vix amicorum precibus est devictus ut sibi parceret atque cibum sumeret. | Il celebre Alessandro, che viene soprannominato Magno, che mise in fuga i persiani e gli Ircani e li dominò, uscì trionfatore dei sovrani e dei popoli vicini, non del suo. Può essere quindi in modo corretto definito grande per i meriti bellici e le opere però non visse felice né sapiente. Non saggio: non è esistito mai nessun saggio difatti che disprezzò la moderazione e la continenza: le quali virtù Alessandro mutò in superbia e lascivia, esigendo l'ornamento di abiti persiani e il turbante purpureo come aveva avuto Dario; veramente l'arroganza dell'animo seguiva la superbia dell'aspetto. Però non fu comunque felice: difatti avendo ucciso il compagno Clito, non appena l'ira passò, agitato per la coscienza del uccisione, non volendo essere superstite a tanto disonore, venne vinto dalle suppliche degli amici perchè si risparmiasse e assumesse cibo. |
Igitur domi militiaeque boni mores colebantur; concordia maxima minima avaritia erat; ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat. Iurgia discordias simultates cum hostibus exercebant cives cum civibus de virtute certabant. In suppliciis deorum magnifici domi parci in amicos fideles erant. Duabus his artibus audacia in bello ubi pax evenerat aequitate seque remque publicam curabant. Quarum rerum ego maxima documenta haec habeo quod in bello saepius vindicatum est in eos qui contra imperium in hostem pugnaverant quique tardius revocati proelio excesserant quam qui signa relinquere aut pulsi loco cedere ausi erant; in pace vero quod beneficiis magis quam metu imperium agitabant et accepta iniuria ignoscere quam persequi malebant. | Dunque in pace e in guerra erano coltivati i buoni costumi; c’era massima concordia, minima avidità. Presso di loro la giustizia e il bene valevano non più per le leggi, quanto per la natura. Praticavano litigi, discordie, rancori con i nemici, i cittadini combattevano con i cittadini per il valore. Erano magnifici nei sacrifici per gli dei, economi a casa, fedeli verso gli amici. Con queste due qualità, l'audacia in guerra, l'uguaglianza quando si compieva la pace, curavano se stessi e lo Stato. Di queste cose io ho queste grandissime testimonianze, che in guerra più spesso furono puniti quelli che avevano combattuto il nemico contro il comando (ricevuto), e quelli che, richiamati, avevano abbandonato troppo tardi la battaglia, piuttosto che coloro che avevano osato lasciare le insegne o, respinti, cedere la posizione; in pace in verità esercitavano il potere con i benefici più che con il timore e, ricevuta un offesa, preferivano perdonare che perseguitare. |
Davus probus servus a Iulio putatur.Pompeius consul cum Crasso eligitur.Romani caecam existimabant fortunam.Philosophia vitae magistra recte iudicari potest.Tarquinius non ferus, non impius sed superbus habebatur et ducebatur.Marius, propter audaciam suam, validus et magnus existimabatur.Magister Marcum puerum impigrum et studiosum putat.Triumviri ex improviso pervenerunt et oppidum invenerunt desertum, quia incolae propter Gallorum adventu fugerant.Iulia fidam existimat Liviam et puellam in amicitiam recipit.Philosophorum praecepta viros honestos atque liberos faciunt.Fortuna caeca est et caecos saepe efficit viros. | Davo è considerato un buon servo da Giulio.Pompeo è eletto console con Crasso.I Romani consideravano la fortuna cieca.La filosofia può essere giustamente considerata come una maestra di vita.Tarquinio era ritenuto e considerato non selvaggio, non scellerato, ma superbo.Mario era considerato potente ed eccelso per la sua audacia.Il maestro considera Marco un ragazzo zelante e studioso.I triumviri giunsero all'improvviso e trovarono vuota la città poiché gli abitanti erano fuggiti a causa dell'arrivo dei Galli.Giulia considera Livia fedele e accetta la fanciulla in amicizia.Gli insegnamenti dei filosofi rendono gli uomini onesti e liberi.La fortuna è cieca e spesso rende ciechi gli uomini. |
Dum haec in his locis geruntur, Cassivellaunus ad Cantium, quod esse ad mare supra demonstravimus, quibus regionibus quattuor reges praeerant, nuntios mittit atque his imperat ut, coactis omnibus copiis, castra navalia Romanorum de improviso adoriantur atque oppugent. Ii cum ad castra venissent, nostri, eruptione facta, multis eorum interfectis, capto etiam nobili duce Lugotorige, suos incolumes reduxerunt. Cassivellaunus, hoc proelio nuntiato, tot detrimentis acceptis, vastatis finibus, maxime etiam permotus defectione civitatum, legatos per Atrebatem Commium de deditione ad Caesarem mittit.Caesar, cum constituisset hiemare in continenti propter repentinos Galliae motus, neque multum aestatis superesset atque id facile extrahi posse intellegeret, obsidus imperatis, quid in annos singulos vectigalis populo Romano Britannia penderet constituit; interdicit atque imperat Cassivellauno, ne populi Romani sociis noceat. | Mentre si svolgevano questi fatti in questi luoghi, Cassivellauno mandò ambasciatori nel Canzio, che abbiamo detto prima è presso il mare, alle cui quattro contrade erano a capo (quattro) re, e ordinò a questi di assalire all'improvviso il campo navale dei Romani, dopo aver raccolto tutte le truppe, e di espugnarlo. Dopo che quelli erano giunti all'accampamento, i nostri, fatta una sortita, uccisi molti dei loro, catturato anche il nobile comandante Lutorige, ricondussero i loro incolumi. Cassivellauno, essendogli stato annunciato (l'esito di) questo combattimento, ricevute tante perdite, essendo stati devastati i suoi territori, ma spinto anche soprattutto dalla defezione delle tribù, mandò per mezzo di Commio l'Atrebate ambasciatori a Cesare per la resa. Cesare, avendo deciso di trascorrere linverno sul continente a causa dei moti improvvisi dei Galli, e poichè non rimaneva molto dell'estate e comprendeva che quello (che rimaneva) si poteva facilmente consumare, ordinati degli ostaggi, stabilì quali tributi la Britannia dovesse pagare al popolo romano ogni anno; e ordinò solennemente a Cassivelauno di non recar danno agli alleati del popolo romano. |
Legati Romani ab Carthagine, sicut iis Romae imperatum erat, in Hispaniam ut adirent civitates ut in societatem perlicerent aut averterent a Poenis traiecerunt. Ad Bargusios primum venerunt, a quibus benigne excepti, quia taedebat imperii Punici, multos trans Hiberum populos ad cupidinem novae fortunae erexerunt. Inde est ventum ad Volcianos, quorum celebre per Hispaniam responsum ceteros populos ab societate Romana avertit. Ita enim maximus natu ex iis in concilio respondit: "Quae verecundia est, Romani, postulare vos uti vestram Carthaginiensium amicitiae praeponamus, cum qui id fecerunt crudelius quam Poenus hostis perdidit uos socii prodideritis? Ibi quaeratis socios censeo ubi Saguntina clades ignota est; Hispanis populis sicut lugubre, ita insigne documentum Sagunti ruinae erunt ne quis fidei Romanae aut societati confidat." Inde extemplo abire finibus Volcianorum iussi ab nullo deinde concilio Hispaniae benigniora verba tulere. | I legati romani, secondo gli ordini ricevuti a Roma, una volta partiti da Cartagine, si dirigeranno in Spagna per mettersi contatto con quei popoli che potevano entrare nel complesso di alleanze romano o come minimo distanziate dai Cartaginesi. Il primo rapporto lo ebbero con i Bargusi: ricevuti cordialmente da questa popolazione, servendosi dell'insoddisfazione verso il regno cartaginese, assoggettarono molti popoli stanziate al di là dell 'Ebro facendo riaccendere la speranza di modificare la loro situazione. I legati arrivarono dopo dai Volciani, che dettero ai Romani un responso poi divulgato per tutta la Spagna e che avvicinò tutti gli altri popoli a Roma. Codeste le parole che affermò in consiglio il più vecchio tra i Volciani:"Con quale volto, Romani, pretendete di mettere davanti la vostra alleanza a quella dei Cartaginesi? Per i Saguntini che si erano delegate a voi, la vostra infedeltà si è mostrata più atroce della medesima strage svolta dai Cartaginesi. E' adeguato, io credo, che vi dirigiate a ricercare soci dove nessuno ha sentito parlare della strage di Sagunto. La distruzione di Sagunto saranno per le popolazioni della Spagna un avvertimento tanto importante quanto mortuario a non credere della lealtà dei Romani e della loro amicizia". I Romani ottennero l'ordine di andarsene dal suolo dei Volciani e da qui nessun consiglio di popolazioni ispanici serbò loro accoglienza più cortese. |
Avicula est parva, nomen est cassita. Habitat nidulaturque in segetibus. Ea cassita in segetes forte concesserat tempestiviores ; propterea, frumentis flavescentibus, pulli etiam tunc involucres erant. Dum igitur ipsa iret cibum pullis quaesitum, monet eos ut, si quid ibi rei novae fieret dicereturve, animadverterent idque ut sibi, ubi redisset, nuntiarent. Dominus postea segetum illarum filium adulescentem vocat et: "Videsne - inquit - haec ematuruisse et manus iam postulare ? Idcirco die crastino, ubi primum diluculabit, fac ad amicos eas et roges veniant operamque mutuam dent et messim hanc nobis adiuvent".Haec ubi ille dixit, discessit. Atque ubi redit cassita, pulii tremibundi, trepiduli circumstrepere orareque matrem ut iam statim propéret inque alium locum sese asportet: "Nam dominus - inquiunt – misit qui amicos roget ut luce oriente veniant et metant". Mater iubet eos otioso animo esse: "Si enim dominus - inquit - messim ad amicos reicit, crastino seges non metetur neque necesse est hodie ut vos auferam."Die igitur postero mater in pabulum volat. Dominus quos rogaverat opperitur. Sol fervit, et fit nihil; it dies, et amici nulli eunt. Tum ille rursum ad filium: "Amici isti magnam partem - inquit - cessatores sunt. Quin potius imus ad cognatos adfinesque nostros oramus ut adsint cras tempéri ad metendum?" Itìdem hoc pulli pavefacti matri nuntiant. Mater hortatur ut tum quoque sine metu ac sine cura sint, cognatos adfinesque nullos ferme tam esse obsequibiles ait, ut ad laborem capessendum nihil cunctentur et statim dicto oboediant. "Vos modo - inquit - advertite, si modo quid denuo diceretur".Alia luce orta avis in pastum profecta est. Cognati et adfines operam, quam dare rogati sunt, supersedérunt. Ad postremum igitur dorninus filio: "Valeant- inquit - amici cum propinquis. Afferes prima luce falces duas, unam egòmet mihi et tu tibi capiens alteram et frumentum nosmet ipsi manibus nostris cras metemus". Id ubi ex pullis dixisse dominum mater audivit: "Tempus - inquit - est cedendi et abeundi; fiet nunc dubio procul quod futurum dixit. Atque ita cassita nidum migravit, seges a domino demessa est. | Esiste un piccolo uccello chiamato allodola. Abita e nidifica fra le messi; essa era capitata (aveva fatto il nido) fra messi venute a maturazione prima del tempo; perciò, i pulcini, quando il frumento biondeggiava, non erano ancora capaci di volare. Mentre lei stessa andava a cercare cibo per i piccoli, li avvertì che, se qualcosa di nuovo veniva fatto o detto, stessero a sentire e glielo riferissero, quando sarebbe ritornata. Successivamente il padrone di quelle terre chiama il giovane figlio e gli disse:" Vedi che queste cose (messi) sono mature e richiedono già la manodopera? Perciò domani, non appena sorge il sole, vedi di andare dagli amici e pregali di venire e di tagliare con noi le messi". Dopo aver detto questo se ne andò. E quando l’allodola ritornò, i pulcini [tutti] spauriti e tremanti assalirono e pregarono la madre affinché si affrettasse subito a trasportarli in un altro luogo: "Infatti – riferiscono - il padrone ha mandato a chiamare il figlio per pregare gli amici di venire all'alba e mietere". La madre li esorta a starsene tranquilli. "Se infatti il padrone – disse - affida la mietitura agli amici, domani il campo non sarà mietuto e per oggi non è necessario che io vi porti via".Quindi, il giorno successivo la madre vola in cerca di cibo. Il padrone sta ad aspettare coloro che aveva chiamato. Il sole brucia; e non viene fatto niente; il giorno se ne va, e nessun amico viene. Allora egli [dice] di nuovo al figlio "In buona parte, questi amici sono dei poltroni. Perché piuttosto non andiamo e preghiamo i parenti e i nostri vicini affinché siano presenti domani a tempo debito per mietere?" Nello stesso modo i pulcini, spaventati, riferiscono [questo] alla madre. La madre li esorta a essere ancora senza preoccupazione e senza paura, dice che nessun parente e nessun vicino è tanto disponibile da non astenersi dal mettersi all’opera e da obbedire subito al comando. " Voi – disse - avvertitemi soltanto se per caso qualcos'altro viene detto ". Sorta un'altra alba, l'uccello partì alla ricerca del pasto. Parenti e vicini rimandarono il lavoro che erano stati pregati di fare. Quindi alla fine il padrone dice al figlio: "Addio agli amici con i vicini. Alla prima luce, porta due falci, una per te , l'altra per me e noi stessi mieteremo con le nostre mani". Quando la madre sentì dai pulcini ciò che il padrone aveva detto disse: "E' [giunto] il momento di partire e di andare via, senza dubbio ha detto ora ciò che sarebbe avvenuto " E così l’allodola portò via il nido, [e] il campo fu mietuto dal padrone. |
Eodem tempore tertiam aciem Caesar, quae quieta fuerat et se ad id tempus loco tenuerat, procurrere iussit. Ita cum recentes atque integri defessis successissent, alii autem a tergo adorirentur, sustinere Pompeiani non potuerunt, atque universi terga verterunt. Neque vero Caesarem fefellit, quin ab eis cohortibus, quae contra equitatum in quarta acie collocatae essent, initium victoriae oriretur, ut ipse in cohortandis militibus pronuntiaverat. Ab his enim primum equitatus est pulsus, ab isdem factae caedes sagittariorum ac funditorum, ab isdem acies Pompeiana a sinistra parte circumita atque initium fugae factum.Sed Pompeius, ut equitatum suum pulsum vidit atque eam partem, cui maxime confidebat, perterritam animadvertit, aliis quoque diffisus acie excessit protinusque se in castra equo contulit et eis centurionibus, quos in statione ad praetoriam portam posuerat, clare, ut milites exaudirent, "tuemini," inquit, "castra et defendite diligenter, si quid durius acciderit. Ego reliquas portas circumeo et castrorum praesidia confirmo." Haec cum dixisset, se in praetorium contulit summae rei diffidens et tamen eventum exspectans. | Nello stesso tempo Cesare ordinò al terzo schieramento, che era stato inattivo e si era tenuto in posizione fino a quel momento, di avanzare. Così, essendo succeduti soldati freschi e in forze a quelli stanchi, mentre gli altri assalivano alle spalle, i pompeiani non poterono resistere e tutti quanti si volsero alla fuga. E, in verità, non sfuggì a Cesare che dalle sue coorti, che erano state collocate nel quarto schieramento contro la cavalleria, aveva origine l'inizio della vittoria, come lui stesso aveva promesso nell’esortare i soldati. Infatti, da questi fu respinta per prima la cavalleria, dagli stessi fu fatto un massacro di arcieri e frombolieri, sempre da loro era stato circondato lo schieramento pompeiano dalla parte sinistra, provocando (lett. “e si era verificato”) l’inizio della fuga. Ma Pompeo, non appena vide la sua cavalleria respinta e notò che quella parte, nella quale confidava di più, era spaventata, non fidandosi più degli altri, si allontanò dal campo e subito si recò a cavallo nell’accampamento, e ai suoi centurioni, che aveva collocato in posizione di difesa presso la porta pretoria, a voce alta, affinché i soldati sentissero, disse: “Proteggete l’accampamento e difendetelo attentamente, se dovesse accadere qualcosa di più grave. Io ispeziono le restanti porte e rafforzo le difese dell’accampamento”. Dopo aver detto queste cose si recò nella tenda pretoria disperando dell’esito finale e, tuttavia, aspettando gli eventi. |
M.Aurelius Antoninus Bassianus nomen Caracallae accepit ab inusitato vestimento defisso usque ad talos, unde holidieque Antoninianae dicuntur caracallae huiusmodi, in usu maxime apud Romam plebem. Ipse Romae opus reliquit thermos eximias ex nomine eius appellatas. Sacra Isidis Romam deportavit et templa ubique magnifica eidem deae fecit.Sacra etiam maiore reverentia celebravit, quam ante celebrabantur. Interest scire quemadmodum novercam suam Iuliam uxorem duxerit.Quae cum esset pulcherrima et quasi per neglegentiam se maxima corporis parte nudavisset, dixit Antoninus: ”Vellem, si liceret”. Illa respondisse fertur: “Si libet, licet. Te enim imperatorem decet leges dare, non accipere”. | Marco Aurelio Antonino Bassiano prese il nome di Caracalla, dallo strano vestito abbassato fino al tallone, da cui ancora oggi vengono chiamate Antoniniane le vesti con le maniche di tal fatta, moltissimo in uso presso la plebe romana. Lo stesso lasciò a Roma il lavoro delle straordinarie terme chiamate con il suo nome. A Roma riportò le feste religiose di Iside e creo magnifici templi alla stessa dea. Celebrò anche le feste religiose con maggiore riverenza,di quanto venivano celebrate prima. Importa sapere in quale modo prese in moglie la sua matrigna Giulia. Essendo quella bellissima ed essendosi spogliata per trascuratezza gran parte del corpo, Antonino disse: ”Vorrei, se fosse permesso”. Si tramanda che quella rispose:” Se piace, è lecito. A te infatti in qualità di imperatore si addice dare leggi, non riceverle”. |
A Graecis antiquam virorum historiam in multis fabulis accipimus una cum vita virorum fortissimorum deorumque. Prometheus, Iapeti filius, primos viros ex luto finxit. Humani flammam non habebant et miseri erant. Tunc is flammam a deis rapuit et in ferula eam in terras portavit et virisque monstravit donavitque. Itaque Iuppiter Prometheo dixit: <Ego te ob audaciam tuam puniam>. Ob illam causam, Mercurius, lovis imperio, Prometheum in Caucaso ad saxum clavis ferreis deligavit et aquilam illi adiciebat, quae iecur eripiebat et manducabat.Aquilam post triginta annos Hercules interfecit et Prometheum liberavit. | Dai Greci apprendiamo in molte leggende l’antica storia degli uomini, insieme con la vita degli eroi e degli dei. Prometeo, figlio di Giapeto, per primo creò gli uomini dal fango. Gli uomini non avevano il fuoco ed erano infelici. Allora egli rubò il fuoco agli dei e lo portò sulla terra su una ferula, e lo mostrò e lo donò agli uomini. Di conseguenza Giove disse a Prometeo: “Io ti punirò per la tua insolenza”. Per questo motivo, Mercurio, per ordine di Giove, incatenò Prometeo a una roccia, sul Caucaso, con catenacci di ferro e gli pose accanto un’aquila che estraeva e mangiava il suo fegato. Ercole uccise l’aquila e liberò Prometeo dopo trent’anni. |
Quingentesimo et quadragesimo anno ab Urbe condita L. Aemilus Paulus et P.Terentius Varro consules contra Hannibalem mittuntur, et Q. Fabio Maximo succedunt. Fabius dictator autem eos monuerat, ne cum Hannibale, callido et impazienti duce,pugnarent. Verum, profecto Fabio, propter impatientiam Varronis consulis apud Cannas pugnantum est atque ambo ceciderunt ac magna pars de Hannibalis exercitu sauciata est. Sed Romani quoque gravissimam caedem acceperunt.Occisus est enim in proelio con sul Aemilius Paulus, consulares aut praetorii XX,s enatores capti aut occisi XXX, nobiles viri CCC, militum XL milia, equitum III milia et quinti genti. In quibus malis tamen nemo Romanorum ratus est de pace mentionem facere. Post eam pugnam multae Italiae civitates, quae Romanis paruerant ,ab Hannibalem se dederunt. Hannibal variis supplicitiis captivos interfeci et tres modios amulorum aureo rum Carthaginem misit, quos ex minibus equitum Romanorum, senatorum et militum detraxerat. | Nel 1540 anno della fondazione di Roma i consoli Lucio Emilio e Publio Tenerzio Vanone vengono inviati contro Annibale e succedono a Quinto Fabio Massimo. Inoltre il dittatore Fabio li aveva esortati affinché non combattessero con Annibale comandante astuto e senza pazienza. Tuttavia, partito Fabio, a causa dell’impazienza del console Varrone si combattè presso Canne ed i consoli furono entrambi vinti da Annibale. In questa battaglia vennero uccisi tremila Africani e una grande parte dell’esercito di Annibale venne ferita. Ma anche i Romani subirono una gravissima strage. Infatti nella battaglia vennero uccisi il console Emilio Publio,venti ex consoli o pretori, trenta senatori vennero catturati ed uccisi, trecento uomini nobili, quarantamila soldati, tremilacinquecento cavalieri. E tuttavia in queste sventure nessuno dei Romani pensò di fare menzione di pace. Dopo questa battaglia molte città dell’Italia ,che erano state agli ordini dei romani, si diedero ad Annibale. Annibale, con varie torture,uccise i prigionieri e mandò a Cartagine tre maggi di anelli d’oro, che erano stati sottratti dalle mani dei cavalieri, senatori e soldati dei romani. |
Pausanias lacedaemonius magnus homo, sed varius in omni genere vitae fuit: nam, ut virtutibus eluxit, sic vitiis est obrutus. Huius illustrissimum est proelium apud Plateas. Namque, illo duce, Mardonius, satrapes regius, natione Medus, regis gener, in primis omnium Persarum et manu fortis et consilii plenus, cum ducentis militibus peditum, quos viritim legerat, et viginti equitum parva manu Graeciae fugatus est eoque ipse dux cecidit proelio. Qua Victoria elatus, plurima miscere coepit et maiora concupiscere.Sed primum in eo est reprehensus quod ex praeda belli tripodem aureum Delphis posuisset epigrammate inscripto, in quo haec erat sententia: suo ductu barbaros apud Plataeas esse deletos eiusque victoriae apollini illud donum dedisse. Hos versus Lacedaemonii exsculpserunt neque aliud scripserunt quam nomina earum civitatum, quarum auxilio Persae victi erant. | Lo spartano Pausania fu un grande personaggio spartano, però di aspetti assai differenti tra loro in ogni circostanza della vita: infatti, come brillò per le buone doti, così fu carico di vizi. La sua azione più nota fu la battaglia di Platea. Infatti, durante il suo comando, Mardonio, satrapo del re di Persia, medo di origine e genero del re, uomo dotato di coraggio e di saggezza tra i primi dei Persiani, fu messo in fuga da un piccolo contingente di Greci con duecentomila fanti, che egli aveva scelto uno per uno, e con ventimila cavalieri in una battaglia in cui cadde il comandante stesso. Esaltatosi per quella vittoria, diede inizio a moltissimi disegni pericolosi e ad aspirazioni sempre più ambiziose. Soprattutto fu rimbeccato a proposito del fatto di aver fatto porre a Delfi un tripode d’oro, frutto del bottino di guerra, con un’iscrizione in versi, il cui senso era questo: che i barbari a Platea erano stati disfatti sotto il suo comando e per quella vittoria egli aveva offerto quel dono ad Apollo. Questi versi gli Spartani li fecero cancellare e non scrissero altro che i nomi di quelle città che avevano contribuito alla sconfitta persiana. |
Deorum maxime Mercurium colunt. Huius sunt plurima simulacra, hunc omnium inventorem artium ferunt, hunc viarum atque itinerum ducem, hunc ad quaestus pecuniae mercaturasque habere vim maximam arbitrantur. Post hunc Apollinem et Martem et Iovem et Minervam; de his eandem fere quam reliquae gentes habent opinionem: Apollinem morbos depellere, Minervam operum atque artificiorum initia tradere, Iovem imperium caelestium tenere, Martem bella regere. Huic, cum proelium dimicare constituerunt, ea quae bello ceperint plerumque devovent: cum superaverunt, animalia capta immolant reliquasque res in unum locum conferunt. | Degli dei venerano moltissimo Mercurio. Di questo ci sono molte statue, considerano questo l'inventore di tutte le arti, (considerano) questo la guida delle vie e dei viaggi, ritengono che questo abbia il massimo potere nelle questioni di denaro e di commerci. Dopo questo (venerano) Apollo e Marte e Giove e Minerva; di questi hanno pressoché la stessa opinione delle altre genti: (hanno opinione che) Apollo scaccia le malattie; Minerva trasmette i principi dei lavori e delle arti, Giove detiene l'impero dei celesti, Marte regge le guerre. A questo, quando hanno deciso di combattere una battaglia, offrono spesso le cose che hanno conquistato in la guerra: quando hanno vinto, immolano gli animali catturati e raccolgono le altre cose in un solo luogo. |
Germania terra aspera et foeda erat. Nam magnae et obscurae erant silvae, horrida loca inculta, parum (=poco) frugiferi agri, iniucundum caelum et asperi venti. Germanis incolis caerulei oculi et flavi capilli erant eique(=ed essi) in parvis casis habitabant; casas non saxo, sed ligno aedificabant. Deos non in templis adorabant, sed in silvis. Germani, gloriae et praedae avidi, crebra bella cum finitimis gerebant et interdum feminae saucios curabant mortuosque sepeliebant.Romani copias in Germaniam mittunt et terras in ripa sinistra fluvii Rheni occupant; terrae enim in ripa dextera fere semper liberae erunt. | La Germania era una terra aspra e avversa. Infatti, i boschi erano grandi e oscuri, orridi luoghi incolti, campi poco fertili, cielo sgradevole e venti avversi. Gli abitanti germanici avevano occhi azzurri e capelli biondi ed essi abitavano in piccole case; edificavano case non con la roccia ma col legno. Non adoravano gli dei in templi ma nei boschi. I Germani, avidi di gloria e bottino, combattevano sovente guerre con i vicini e intanto le femmine curavano i feriti e seppellivano i morti. I Romani mandano le milizie in Germania e occupano le terre sulla riva sinistra del fiume Reno; infatti, le terre sulla riva destra saranno quasi sempre libere. |
Ab Italia Hannibal invictus in patriam revocatus est et tunc bellum gessit adversus P. Scipionem, filium eius Scipionis, quem ipse primo apud Rhodanum, iterum apud Padum, tertio apud Trebiam fugaverat. Cum eo, quoniam iam patriae facultates exhaustae erant, cupivit impraesentiarum bellum componere, quo valentior postea congrederetur. In colloquium convenit, sed condiciones non convenerunt. Post id factum paucis diebus apud Zamam cum illo conflixit: fugatus est; biduo et duabus noctibus post, Hadrumetum pervenit, quod adest a Zama circiter milia passuum trecenta.In ea fuga Numidae, qui simul cum eo ex acie excesserant, insidias paraverunt ei, quos non solum effugit, sed etiam oppressit. Hadrumeti reliquos e fuga collegit, novis dilectibus paucis diebus multos contraxit. | L’invincibile Annibale fu richiamato in patria dall’italia e allora mosse guerra contro P. Scipione, figlio di quel Scipione che egli aveva già fugato al Rodano, per la seconda volta al Po’, la terza volta presso il Trebbia. Poichè con lui ormai le risorse della patria erano state esaurite, volle in quel momento porre fine alla guerra per poi riprenderla con più energia. Venne a colloquio, ma non si accordarono sulle condizioni. Dopo quell’evento in pochi giorni si scontrò con egli (Scipione) presso Zama; fu messo in fuga; dopo due giorni e due notti arrivò ad Adrumeto, che dista da Zama circa 300 miglia. Durante quella fuga i Numidi, che assieme a lui avevano abbandonato la battaglia, gli tesero degli agguati, che egli non solo evitò ma anche espugnò. Ad Adrumeto raccolse gli altri superstiti dalla fuga, con nuove leve radunò molti uomini in pochi giorni. |
Pausania Lacedaemonius clarus sed varius in omni genere vitae fuit. Nam non solum magnis virtutibus eluxit, sed etiam vitiis multis obrutus est. Postquam cum ingenti exercitu contra Persas pugnaverat apud Plateas, ubi hostium copias vicerat atque Mardonius, Persarum regis gener, ceciderat, ab insula Cypro barbarorum praesidia depulit et pari exitu Byzantium expugnavit. Sed postremo, cum ob principatus cupiditatem totam Graeciam in suam potestatem redigere voluit, in Lacedaemoniorum suspicionem venit.Cum ephori eum in iudicium vocaverunt, Pausanias in Minervae templum confugit, ubi atrocem mortem invenit. Nam, dum in templo est, ephororum iussu cives valvas aedis obstruxerunt. Sic Pausanias belli gloriam turpi morte maculavit. | Pausania lo Spartano fu un uomo illustre ma diverso sotto ogni aspetto della vita. Infatti non solo si distinse per le grandi virtù, ma fu anche sopraffatto da molti vizi. Dopo che aveva combattuto con un grande esercito contro i Persiani presso Platea, dove aveva vinto le truppe nemiche e aveva ucciso Mardonio, figlio del re dei Persiani, respinse i presidi dei barbari dall'isola di Cipro ed espugnò Bisanzio con lo stesso risultato. Ma alla fine, quando a causa della brama di supremazia volle ridurre in suo potere tutta la Grecia, destò il sospetto degli Spartani. Quando gli efori lo convocarono in giudizio, Pausania si rifugiò nel tempio di Minerva, dove trovò una morte atroce. Infatti, mentre si trovava nel tempio, per ordine degli efori, i cittadini sbarrarono le porte del tempio. Così Pausania macchiò con una morte ignobile la gloria della guerra. |
Non eadem sunt officia omnium aetatum, sed alia iuvenibus alia senioribus exercenda sunt. Nunc, cum de officiis universis dicturi simus, pauca de hac distinctione nobis dicenda sunt. Adulescentibus maxime senes verendi sunt atque, cum aliquid suscepturi sunt diligendi ex iis optimi, ut eorum consilium et auctoritatem sequantur. Nam imperitia et inscitia iuvenum legenda erunt senibus, qui longa aetate omnium rerum usum adepti sunt. Adulestentium prima aetas a libidinus arcenda este et exercendia in laboribus et animi sunt ut se iucunditati tradant, maxima temperantia iuvenibus adhibenda erit et servanda.Senibus autem labores corporis minuendi sunt;animi exercitationes augendae. Nam iter omnes constat quantum civibus et rei publicae eorum prudentia profutura sit. | Non medesimi sono i doveri per tutte le età, ma alcuni devono essere esercitati dai giovani altri dagli anziani. Ora dobbiamo dire alcune cose su questa distinzione, poiché siamo sul punto di parlare riguardo a tutti i doveri. Gli anziani devono essere scelti fra i migliori, quando devono prendere una decisione, affinchè seguano il loro consiglio e la loro esperienza. Infatti l’inesperienza e l’ignoranza dei giovani devono essere guidate dagli anziani, che hanno raggiunto l’esperienza grazie alla loro lunga vita. La prima età deve essere allontanata dai piaceri e deve essere esercitata nello studio sia dell’animo sia del corpo e nelle arti nobili. Ed deve essere usata la massima moderazione dai giovani e la modestia deve essere osservata anche quando si stanno rilassando e ristorando gli animi, affinché si abbandonino al piacere. Ma gli anziani devono diminuire le fatiche del corpo; le esercitazioni degli animi devono essere aumentate. Infatti a tutti è noto quanto la loro prudenza sia sul punto di giovare allo stato e ai cittadini. |
Fabricius Luscinus magna gloria vir magnisque rebus gestis fuit. P. Cornelius Rufinus manu quidem strenuus et bellator bonus militarisque disciplinae peritus admodum fuit, sed furax homo et avaritia acri erat. Hunc Fabricius non probabat neque amico utebatur. Sed cum in temporibus rei difficillimis consules creandi essent et is Rufinus peteret consulatum competitoresque eius essent imbelles quidam et futiles, summa ope adnixus est Fabricius ut Rufino consulatus deferretur.Eam rem plerisque admirantibus, quod hominem avarum, cui esset inimicissimus, creari consulem vellet, «Malo» - inquit - «civis me compilet quam hostis vendat».da Aulo Gellio | Fabrizio Luscino fu un uomo di grande fama e di grandi imprese. Publio Cornelio Rufino fu certamente valoroso, un abile guerriero e un esperto della disciplina militare, ma era un uomo rapace e di un’impensabile avarizia.Fabrizio non lo lodava, né ricorreva a lui. Ma poiché durante un periodo molto difficile per lo Stato, dovevano essere eletti i consoli e Rufino ambiva al consolato e certi suoi avversari erano inoffensivi e senza valore, con grande forza, Fabrizio si adoperò affinché a Rufino fosse affidato il consolato. E alla maggior parte di coloro che si meravigliano di questa scelta, cioè che volesse che fosse eletto console un uomo avaro e suo grande nemico, disse: “ Preferisco che mi derubi un cittadino piuttosto che mi venda un nemico”. |
Antiquissimis temporibus primi in Asia Assyrii regnum condidisse feruntur. Quorum rex Ninus, primum finitimis, tum aliis populis perdomitis, totius Orientis populos subegit. Postremo illi bellum cum Zoroastre, rege Bactrianorum, fuit,qui primus dicitur artes magicas invenisse siderumque motus diligentissime spectasse. Hoc occiso etiam ipse decessit, relicto impubere filio Ninya et uxore Semiramide. Semiramis, nec filio immaturo ausa tradere imperium, nec ipsa palam capessere, sexum dissimulans, brachia et crura velamentis, caput tiara tegit; et, ne novo habitu aliquid occultare videretur, eodem modo etiam populum vestiri iussit; sic Semiramis primis regni initiis Ninyas esse credita est.Magnas deinde res gessit, ita ut mulier etiam viros virtute superare videretur. Babyloniam condidit muroque urbem cocto latere circumdedit, Aethiopiam imperio adiecit et Indis bellum intulit. Ad postremum a filio interfecta est, cum duo et quadraginta annos post Ninum regnavisset. | Si narra che, tanto tempo fa, gli Assiri fossero stati i primi a creare un regno in Asia. Nino, il loro sovrano, dominò le popolazione dell’intero Oriente, avendo dominato, in un primo tempo, i popoli vicini, dopo gli altri. Infine, fu in guerra contro Zoroastro, che come si dice, fu l’ideatore delle arti magiche e il primo, reale astrologo. Avendolo annientato, anche lui morì, lasciando il giovane figlio Ninia e la moglie Semiramide. Semiramide, non osando lasciare il regno al figlio assai immaturo, né osando prendere lei medesima il regno apertamente, coprì la chioma in una tiara, nascondendo il sesso, le braccia e le gambe con veli; e per non sembrar di voler celare qualcosa con quel particolar abito, comandò che pure la popolazione si vestisse allo stesso modo. Allora, ai primi periodi del regno, Semiramide fu creduta Ninia. Poi, fece enormi opere, cosicchè da donna sembrò superare anche gli uomini in valore. Fondò Babilonia, e circondò la città con una solida muraglia, aggiunse al regno l’Etiopia e portò guerra agli Indi. In conclusione, avendo governato 42 anni dal decesso di Nino, fu uccisa dal figlio. |
Dum ea res geritur, L. Sulla quaestor cum magno equitatu in castra venit. Sed quoniam nos tanti viri res admonuit, idoneum visum est de natura cultuque eius paucis verbis dicere. Neque enim alio loco de Sullae rebus dicturi sumus et L. Sisenna, optime et diligentissime omnium, qui eas res dicere, parum mihi libero ore locutus videtur. Igitur Sulla gentis patriciae nobilis fuit, familia prope iam extincta maiorum ignavia, litteris Graecis atque Latinis iuxta atque doctissimi eruditus, animo ingenti, cupidus voluptatum, sed gloriae cupidior; facundus, callidus et amicitia facilis, ad simulanda negotia altitudo ingenii incredibilis, multarum rerum ac maxime pecuniae largitor.Atque illi felicissimo omnium ante civilem victoriam numquam super industriam fortuna fuit, multique dubitavere ( = "furono incerti"), fortior an felicior esset. Nam postea quae fecerit, incertum habeo pudeat an pigeat magis disserere. | Compiute tutte queste cose, il questore L.Silla venne all'accampamento con una grande cavalleria. Ma poichè il fatto ci ricordò un così grande uomo, sembrò opportuno trattare con poche parole sulla natura e sul suo costume. Noi infatti non abbiamo intenzione di parlare delle imprese di Silla in un altro luogo e Lucio Sisenna, nel modo migliore e più diligente di tutti, quelli che parlarono di quei fatti, perseguitato, mi sembra che abbia parlato poco liberamente. Silla dunque fu di gente patrizia e nobile, ma di famiglia quasi decaduta per la viltà degli antenati, erudito espertissimo nella letteratura greca e in ugual modo in quella latina, d'animo grande, desideroso di piacere ma ancor più di gloria eloquente, furbo e facile all'amicizia, dall'incredibile ingegno dell'impenetrabilità nel trattare gli affari, prodigio di molte cose ma sopratutto di denaro. Ma giammai lui ebbe sopratutto più fortuna che abilità prima della guerra civile e molti furono incerti se egli fosse più valoroso e più fortunato. Infatti dopo quelle cose che avrebbe fatto, sono incertose a parlare ci si vergogni e maggiormente si provi disgusto. |
Hic primus labor incohare sulcoset rescindere limites et altoegestu penitus cavare terras;mox haustas aliter replere fossaset summo gremium parare dorso,ne nutent sola, ne maligna sedeset pressis dubium cubile saxis;tunc umbonibus hinc et hinc coactiset crebris iter alligare gonfis.o quantae pariter manus laborant-hi caedunt nemus exuuntque montes,hi ferro scopulos trabesque levant;illi saxa ligant opusque texuntcocto pulvere sordidoque tofo;hi siccant bibulas manu lacunaset longe fluvios agunt minores. | Qui la prima fatica fu tracciare i solchi ed eliminare i sentire e scavare la terra con una profonda rimozione; poi si riempiono le fosse scavate con altro materiale e predisporre la base per lo strato superiore, perché non avvenissero cedimenti del suolo e il suolo maldisposto non offrisse ai sassi pressati una base vacillante; poi con numerosi perni si fissa la carreggiata con i massi disposti da una parte e dall’altra. O quante mani faticano contemporaneamente! Questi boschi cadono e spogliano i monti, quelli levigano i blocchi e piallano le travi; altri uniscono i sassi e ricoprono l’opera con la calce uscita dal forno simile a polvere e con comune tufo; altri con le mani prosciugano le pozze imbevutesi e spingono lontano l’acqua in piccoli rigagnoli. |
Rari gladiis aut maioribus lanceis utuntur: hastas vel ipsorum vocabulo frameas gerunt angusto et brevi ferro, sed ita acri et ad usum habili, ut eodem telo, prout ratio poscit, vel comminus vel eminus pugnent. Et eques quidem scuto frameaque contentus est; pedites et missilia spargunt, pluraque singuli, atque in inmensum vibrant, nudi aut sagulo leves. Nulla cultus iactatio; scuta tantum lectissimis coloribus distinguunt. Paucis loricae, vix uni alterive cassis aut galea.Equi non forma, non velocitate conspicui. Sed nec variare gyros in morem nostrum docentur: in rectum aut uno flexu dextros agunt, ita coniuncto orbe, ut nemo posterior sit. In universum aestimanti plus penes peditem roboris; eoque mixti proeliantur, apta et congruente ad equestrem pugnam velocitate peditum, quos ex omni iuventute delectos ante aciem locant. Definitur et numerus; centeni ex singulis pagis sunt, idque ipsum inter suos vocantur, et quod primo numerus fuit, iam nomen et honor est. Acies per cuneos componitur. Cedere loco, dummodo rursus instes, consilii quam formidinis arbitrantur.(...)cum ventum in aciem, turpe principi virtute vinci, turpe comitatui virtutem principis non adaequare. iam vero infame in omnem vitam ac probrosum superstitem principi suo ex acie recessisse.si civitas, in qua orti sunt, longa pace et otio torpeat, plerique nobilium adulescentium petunt ultro eas nationes, quae tum bellum aliquod gerunt, quia et ingrata genti quies et facilius inter ancipitia clarescunt magnumque comitatum non nisi vi belloque tueare; exigunt enim principis sui liberalitate illum bellatorem equum, illam cruentam victricemque frameam; nam epulae et quamquam incompti, largi tamen apparatus pro stipendio cedunt. materia munificentiae per bella et raptus. | Pochi usano spade o lance pittosto lunghe:portano aste o, con il loro stesso termine, framee dalla punta stretta e corta, ma tanto tagliente e maneggievole da poter combattere con la medesima arma, come richieda la tattica, o da lontano o da vicino. Mentre il cavaliere si limita a scudo e framea, i fanti lanciano anche proiettili, parecchi per ciascuno, e li scagliano ad immensa distanza, nudi o vestiti solo di un sagulo .Non c'è alcuna ostentazione d'aspetto: decorano solo gli scudi con colori originalissimi. Pochi hanno loriche, appena uno o due un elmo di cuoio o una galea .A valutare in generale, c'è piu forza nella fanteria, perciò combattono mescolati, con la velocità adatta e proporzionata a una battaglia equestre da parte dei fanti, che, scelti fra tutti i giovani, essi schierano davanti al fronte. Ritirarsi dalla posizione, purchè si ritorni allo scontro. lo considerano piu di assennatezza che di paura.(...)Una volta giunti a battaglia, per il capo è disonorevole essere superato nel valore, per il seguito lo è non emulare il valore del capo. Anzi, è addirittura infamante e vergognoso per tutta la vita, essersi ritirati dalla schiera sovravvivendo al proprio capo. Se la tribu di origine illanguidisce a causa della lunga pace e dell'inattività, la maggior parte dei giovani nobili raggiunge le tribu che allora combattono qualche guerra, sia perchè a quel popolo la pace è molesta, sia perchè nei pericoli si acquista gloria piu facilmente, sia perchè non si manterrebbe un grande seguito se non con la forza e con la guerra. Essi esigono infatti dalla libelarità del proprio capo quel cavallo da guerra, quella framea cruenta e vittoriosa: infatti i pasti e un trattamento abbondante, seppure rozzo,tengono il posto della paga. La materia di tale generosità si ottiene per mezzo di guerre e saccheggi. |
Discipuli excitanda mens et attollenda semper est, quae in eius modi secretis aut languescit et quendam velut in opaco situm ducit, aut contra tumescit inani persuasione: necesse est enim nimium tribuat sibi qui se nemini comparat. Deinde cum proferenda sunt studia, caligat in sole et omnia nova offendit, ut qui solus didicerit quod inter multos faciendum est. Mitto amicitias, quae usque ad senectutem firmissime durant, religiosa quadam necesitudine imbutae.Adde quod domi ea sola discere potest quae ipsi praecipiuntur,in schola etiam quae aliis. Audiet multa cotidie probari, multa corrigi, proderit alicuius obiurgata desidia, proderit laudata industria, excitabitur laude aemulatio, turpe ducet cedere pari, pulchrum superasse maiores. Accendunt omnia haec animos, et licet ipsa vitium sit ambitio, frequenter tamen causam virtutum est. Non inutilem scio servatum esse a praeceptoribus meis morem, qui, cum pueros in classes distribuerant, ordinem dicendi secundum vires ingenii dabant, et ita superiore loco quisque declamabat ut praecedere profectu videbatur: huius rei iudicia praebebantur. | La mente degli studenti deve essere stimolata sempre e sollecitata, altrimenti in un isolamento di tal genere o langue e fa la muffa come se stesse all’ombra, oppure al contrario si gonfia con un’inutile persuasione: è infatti inevitabile che attribuisca troppo a se stesso chi non si confronta con nessuno. Inoltre, quando deve manifestare i suoi studi, ha la vista annebbiata in pieno giorno e inciampa in ogni novità, come colui che ha imparato solo ciò che deve essere fatto fra molti. Tralascio le amicizia, che fino alla vecchiaia molto saldamente durano, imbevute di una per così dire vincolante sacralità. Aggiungi il fatto che in casa può apprendere solo quelle nozioni che gli sono insegnate a scuola e anche in altri luoghi. Ogni giorno sentirà molte affermazioni essere approvate, molte essere corrette, gli gioverà il rimprovero fatto alla pigrizia di qualcuno e la lode rivolta all’operosità, l’imitazione sarà eccitata con la lode, riterrà vergognoso venir superato da uno pari, bello aver superato quelli più grandi. Tutte queste situazioni accendono gli animi e l’ambizione anche se di per sé è un difetto, infatti di frequente sono cause di virtù. So che veniva conservata un’abitudine non inutile dai miei precettori che, quando distribuiscono i bambini nelle classi, assegnavano l’ordine di parola a seconda dell’intelligenza, e così ciascuno declamava da un posto tanto più alto, quanto più sembrava superare nel profitto; le valutazioni di questo erano rese note. |
Sicilia magna Italiae insula est, Musis poëtisque cara, advenis grata. Siciliae historia antiqua est; in insulae oris multae claraeque coloniae Graecae sunt. In insula (= Sull'isola) etiam numerosae Punicae memoriae servantur. In templis (= Nei templi) multas Proserpinae marmoreas (= di marmo/marmorei, complemento di materia) aras spectamus (il soggetto è noi). Nam (congiunzione) Proserpina insulae dea est. Ab insulae sedulis puellis spicarum et rosarum coronae Proserpinae praebentur.Siciliae incolae terram insulae fecundam et apricam colunt et magnam olearum uvarumque copiam colligunt. | La Sicilia è una grande isola dell’Italia, cara a Muse e poeti, gradita agli stranieri. La storia della Sicilia è antica; sulle coste dell’isola ci sono molte famose colonie Greche. Sull'isola sono conservate anche molte testimonianze Fenicie. Nei templi ammiriamo molti marmorei altari di Proserpina. Infatti Proserpina è la dea dell’isola. Corone di spighe e di rose sono offerte a Proserpina dalle laboriose ragazze dell’isola. Gli abitanti della Sicilia coltivano la feconda e soleggiata terra dell’isola, e raccolgono una grande abbondanza di olive e uva. |
Augustus civium sententia deo similis erat. Nullus imperator in bellis ut Augustus felix fuit aut in pace moderatus. Per multos annos solus gessit imperium, civiliter vixit, in cunctos liberalis, in amicos fidus. Nullo tempore res Romana tam florens apparuit. Augustum mortuum cives divum appellaverunt. Tiberius succcessor rem publicam beatem sumpsit. Vespasianus, vita fuit illustris, in imperio moderatus. Sub Vespasiano Iudea Romano accessit imperio et Hierosolyma, urbs nobilis Palaestinae.Marcus Aurelius, philosophiae deditus Stoicae, non solum vitae moribus, sed etiam eruditione philosophus evasit. Is fortunatam rem publicam et fortitudine et mansuetudine reddidit. | Augusto, a parere dei cittadini, era simile agli dei. Nessun imperatore come Augusto fu propizio in guerra o moderato in pace. Per molti anni governò da solo il regno, visse da buon cittadino, generoso in tutto e fedele in amicizia. L'impero romano non fu apparso mai così fiorente. I cittadini chiamarono Augusto, morto, divino. Il successore, Tiberio, prese lo stato sereno. Vespasiano, imperatore presso la Palestina, principe nato senza notorietà, fu un ottimo imperatore; la (sua) vita privata fu illustre e nell'impero moderata. Sotto Vespasiano prese parte all'impero romano la Giudea e Gerusalemme, una nobile città della Palestina. Marco Aurelio dedito alla filosofia stoica non solo per costumi di vita ma anche per erudizione. Egli restituì allo stato fortunato forza e pace. |
Galli de Alpibus in Italiam descenderunt et totam regionem ferro ignique vastaverunt. Mortis terror hostiumque formido omnes urbium incolas repente invaserunt. Statim contra ingentes barbarorum copias consul cum duabus legionibus a Romanis missus est sed Galli consulem eiusque legiones petiverunt et acri proelio apud Alliam flumen vicerunt, postea Romam accesserunt. Tum Romani, formidine capti, Urbem reliquerunt et cum senibus, mulieribus liberisque in silvas confugerunt.Barbari sine periculo ad urbem pervenerunt et Capitolium, Romae arcem, obsederunt. Iam Galli arcis moenia ascendebant, cum repente vigiles anseres acribus clangoribus Marcum Manlium, Capitolium custodem, e somno excitaverunt. Tum Manlius Romanos milites vocavit, qui ingenti vi pugnaverunt et Gallos reppulerunt: itaque Capitolium a Barbarorum insidiis liberatum est et Romam anserum clangoribus servata est. | I Galli scesero dalle Alpi in Italia e devastarono tutto il territorio a ferro e a fuoco. La paura della morte e il terrore dei nemici presero tutti gli abitanti delle città. Subito il console fu mandato dai Romani con due legioni contro le numerose truppe di barbari ma i Galli assalirono il console e le sue legioni e vinsero in un'aspra battaglia presso il fiume Allia, poi fecero ingresso a Roma. Allora i Romani, presi dal timore, lasciarono la Città (Roma) e si rifugiarono con i vecchi, le donne e i figli nei boschi. Ormai i barbari scalavano i muri della rocca, quando improvvisamente le vigili oche con aspri starnazzi svegliarono Marco Manlio, guardia del Campidoglio. Allora Manlio chiamò i soldati romani, che combatterono con grande forza e respinsero i Galli: così il Campidoglio fu liberato dall'agguato dei barbari e Roma fu salvata dagli starnazzi delle oche. |
Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris adtendere, maxirna pars vitae elabittir male agentibus, magna nilli agentibus, tota vita aliud agentibus. Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? ln hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet.Fac ergo, mi Lucilì, quod tacere te scribis, omnes horas conplectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si bodierno manum inieceris. Dum differtur vita transcurrit. | Fa' così, mio Lucilio: rivendica a te stesso la proprietà di te stesso, e il tempo, che finora o ti veniva portato via o ti veniva sottratto o ti sfuggiva, raccoglilo e custudiscilo. Convinciti che è così come scrivo: certi spazi di tempo ci sono portati via, altri ci sono sottratti di nascosto, altri ancora scorrono via. Tuttavia la piu vergognosa di tutte è la perdita di tempo che avviene per negligenza. E se vuoi fare attenzione, gran parte della vita sfugge nel far del male, una grandissima parte nel non far nulla,tutta la vita nel non badare a quel che si fa. Chi mi indicherai che determini un prezzo per il tempo, che dia un valore al giorno, che si renda conto di morire ogni giorno? In questo ci sbagliamo,che guardiamo la morte lontana avanti a noi:invece, gran parte di lei è gia sulla nostre spalle; tutto il tempo dietro a noi, lo tiene in pugno la morte. Fa' dunque, o mio Lucilio,quello che mi scrivi di fare già,abbraccia tutte le ore;avverrà così che tu dipenda mano dal domani, se se allungherai la mano sull'oggi. Mentre si rinvia, la vita se ne va. |
C.Plinius Traiano Imperatori.Ante adventum meum, domine, Nicomedenses priori foro novum adicere coeperunt, cuius in angulo est aedes vetustissima Matris Magnae aut reficienda aut transferenda, ob hoc praecipue quod est multo depressior opere eo quod cum maxime surgit. Ego cum quaererem, num esset aliqua lex dicta templo, cognovi alium hic, alium apud nos esse morem dedicationis. Dispice ergo, domine, an putes aedem, cui nulla lex dicta est, salva religione posse transferri; alioqui commodissimum est, si religio non impedit.Potes, mi Secunde carissime, sine sollicitudine religionis, si loci positio videtur hoc desiderare, aedem Matris Deum transferre in eam quae est accommodatior; nec te moveat, quod lex dedicationis nulla reperitur, cum solum peregrinae civitatis capax non sit dedicationis, quae fit nostro iure. | Plinio all’imperatore Traiano.Prima del mio arrivo, signore, gli abitanti di Nicomedia iniziarono a porre sopra al foro antecedente uno nuovo, in un angolo del quale c’è un tempio antichissimo della Grande Madre o da ristrutturare o da trasferire, soprattutto per questo, che è molto più in basso rispetto a quell'edificio che ora si eleva moltissimo. Dunque, domandandomi se ci fosse una qualche legge in vigore per il tempio, ho saputo che una consacrazione era usanza qui, un’altra presso di noi. Considera dunque se, o signore, pensi che un tempio, che non ha alcuna legge in vigore, possa essere trasferito fatti salvi i principi della religione; se no, va benissimo, se la religione non si oppone.Traiano a Plinio.Puoi, mio carissimo Secondo, senza preoccupazione per il culto, se la posizione del luogo sembra richiedere questo, spostare il tempio della Grande Madre nel posto che è più idoneo; non ti preoccupare del fatto che non si trova alcuna legge della sacralizzazione, ché il suolo di una città straniera non è dotato di facoltà decisionale (per quanto riguarda) la sacralizzazione, che non è fatta secondo il nostro diritto. |
Scholam omnium tristissimus locum esse plurimi credunt discipuli. Falso! Alii putant in schola discipulos nec audire nec videre ad vitam utiliora. Falso! Quattuor, quinque, sex totas horas silentium tenetur absolutum nec pueros licet aula exire nisi singulos. Puerorum oculi, cum iussu magistri in libros aspicere cogantur, voluptate quam maxima ad puellarum formosissimus trahuntur semel, bis, ter. Linguae latinae magister, olim, dum lentius per aulam ambulat Catullique carmina legit intentior, duos discipulos ridentes attentissime truci vultu observavit.Discipuli, cum iratos magistri oculos animadvertissent, umillimum inclinaverunt caput, gravius supplicium expectantes. Magister, autem, iuvenili laetitia commotus, ad duos effrenatos pueros accedens, serenissima fronte leniter subrisit. Raro in schola in vincula coniciuntur discipuli. | Parecchi alunni pensano che il posto più infelice di tutti sia la scuola. Falso! Alcuni pensano che a scuola gli alunni non odono e non vedano cose piuttosto utili nella vita. Falso! Quattro, cinque, sei ore è tenuto l' assoluto silenzio e non è concesso ai giovani uscire dall'aula se non uno alla volta. Gli occhi dei giovani, quando per comando del docente sono obbligati a guardare verso i libri, per piacere vengono trascinati verso la bellezza delle fanciulle, una, due, tre volte. Il docente di latino, un giorno, mentre marciava lentamente per la classe e piuttosto intento leggeva i versi di Catullo, guardò con volto truce due fanciulli che ridevano. Gli alunni abbassarono molto umilmente il capo, aspettando la dura pena. Il docente, invece, colpito dalla gioia dei fanciulli, avvicinandosi ai due scatenati giovani, sorrise in modo delicato con il viso molto tranquillo. Di rado a scuola i discepoli sono imprigionati in catene. |
Omnibus notum est Ciceronem, cum in Sicilia quaestor esset, Archimedis sepulcrum, ignoratum a Syracusanis, indagavisse atque repperisse. Cicero enim sciebat in monumento, ubi Archimedes sepultus esset, sculptam esse sphaeram cum cylindro. Olim Syracusis, cum is apud portam Acragantinam, ubi magnus numerus sepulcrorum erat, deambularet, locum invenit vepribus ac dumetis undique circumsaeptum et fere opertum. Cum attente omnia sepulcra oculis collustravisset, invenit columellam e dumis eminentem, super quam sphaerae ac cylindri figurae sculptae erant.Multi homines immissi cum falcibus purgaverunt et apurerunt locum. Cum etiam sepulcrum purgatum est, in basi Graeca inscriptio apparuit, ex qua Cicero certe comperit magnum mathematicum Archimedem ibi sepultum esse. | A tutti è noto che Cicerone, essendo questore in Sicilia, abbia trovato e esaminato la tomba di Archimede, trascurata dai Siracusani. Cicerone difatti sapeva che sulla tomba, dove era sepolto Archimede, era incisa una sfera con un cilindro. Un giorno a Siracusa, mentre camminava presso la porta Acragantina, dove c'era un enorme numero di tombe, scoprì un posto ricoperto da siepi e arbusti da ogni parte e del tutto nascosto. Avendo analizzato diligentemente tutte le tombe con gli occhi, scoprì una colonna che si ergeva dagli arbusti, sopra la quale era incisa una struttura di una sfera con un cilindro. Parecchi uomini inviati pulirono con falci e liberarono il posto. Quando la tomba fu lavata, sul fondamento apparve un scritta in greco, dalla quale Cicerone certamente comprese che in quel posto era sepolto il sommo matematico Archimede. |
Plurimi sunt equi de quibus antiqui nobis fabulosas narrationes tradiderunt. Graeci narrabant olim fuisse quendam alatum equum, nomine Pegasum, et Bellerophontem eius auxilio interfecisse Chimeram, draconem aspectu foedum et immanitate taeterrima. Dicebant postea Pegasum, ut eum puniret, excussisse et in mare deiecisse Bellerophontem, cum hic ad caelum pervenire cuperet. Idem Graeci narrabant apud Indos vivere equum album, qui in fronte unum habebat cornu, et credebant nullum venenum nociturum esse iis hominibus, qui ex eo cornu bibissent.Admodum mirae sunt praeterea fabulosae historiae quae pertinent ad Centauros, quos, altera parte homines, altera equos, antiqui homines barbaros putabant. Censeo has fabulosas narrationes initium habuisse post incursiones quarum auctores fuerunt homines qui primi didicerant artem equitandi. | Parecchi sono i cavalli dei quali gli antichi raccontano stupende narrazioni. I Greci raccontano che un tempo vi era un cavallo alato, di nome Pegaso, e che Bellerofonte grazie al suo sostegno abbia trafitto la Chimera, un drago di sembianza spaventosa e terribile per grandezza. Affermavano ancora che Pegaso, per punirlo, avesse spinto e buttato Bellorofonte in mare, bramando questo arrivare al cielo. Gli stessi Greci raccontano che presso gli Indi viveva un cavallo bianco, che possedeva un corno sulla fronte, e reputavano che vi fosse un veleno nocivo per gli uomini che bevessero da quel corno. Altrettanto stupende sono le narrazioni che sono pertinenti ai Centauri, che, da una parte uomini, dall'altra cavalli, gli antichi uomini pensavano barbari. Penso che codeste stupende storie abbiano avuto origini dopo le invasioni delle quali gli autori furono uomini che avevano imparato per primi l'arte di cavalcare. |
Rex Tarquinius, quod civium Romanorum animos preda ac divitiis delenire studebat, Ardeae, opulento Rutulorum oppido, bellum indixit. Dum oppidum longa obsidione premitur, regii iuvenes otium conviviis comissationibusque terebant. Cum cenebant apud Sex. Tarquinium, incidit forte mentio de uxoribus: suam quisque laudari miris modis coepit, donec Tarquinius Collatinus dixit: ”Paucis quidam horis meae Lucretiae virtutem cognoscemus. Equos conscendite, amici, ac mecus Romam accurrite: necopinato virorum adventu virtus uxorum comprobabitur”.Postquam Romam sub vesperum pervenerunt, mox Collatiam perrexerunt. Ibi mulieres in convivio cum aequalibus viderunt praeter Lucretiam, Collatini uxorem, quae sera nocte inter ancillas in medio medium lanam texebat. Mulierum certaminis laus Lucretiae fuit victorque vir comiter ceteros iuvenes ad cenam invitavit. | Il re Tarquinio, perché desiderava placare gli animi dei cittadini romani con un bottino e la ricchezza, dichiarò guerra a Ardea, ricca città dei Rutuli. Mentre la città è pressata da un lungo assedio, i giovani soldati del re trascorrevano un periodo di riposo in banchetti e baldorie. Mentre cenavano presso Sesto Tarquinio, per caso venne fuori un discorso sulle donne: ciascuno cominciò a lodare la propria in meravigliosi modi, finché Tarquinio Collatino disse: "Invero in poche ore conosceremo il valore della mia Lucrezia. Salite sui cavalli, amici, e correte con me a Roma: la virtù delle donne sarà provata dall'arrivo inatteso degli uomini". Dopo che vennero a Roma sul far della sera, subito si diressero a Collatina. Qui videro le donne nel convito con i compagni, tranne Lucrezia, la moglie di Collatino, che di tarda notte tra le ancelle tesseva la lana al centro della casa. Il premio della gara delle donne fu di Lucrezia e l'uomo vincitore invitò a cena gli altri giovani cortesemente. |
Servanda sunt quaedam officia etiam adversus eos, a quibus iniuriam acceperis. Est enim ulciscendi et puniendi modus. Atque in re publica maxime servanda sunt iura belli. Nam, cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem, alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius solum si uti non licet superiore. Quare suscipienda quidem bella sunt ob eam causam, ut sine iniuria in pace vivatur; parta autem victoriam conservandi ii, qui non crudeles in bello, non immanes fuerunt.Maiores nostri Tusculanos ,Aequos, Volscos, Sabinos, Hernicos in civitatem acceperunt, at Carthaginem et Numantiam funditus sustulerunt, credo ne praeberetur opportunitas loci posset aliquando ad bellum faciendum adhortari. Mea quidem sententia, paci, quae nihil habitura sit insidiarum, semper est consulendum.Estratti e parti adattate da Cicerone, Rhetorica, De officis, liber I-4 | Certi obblighi devono essere osservati anche verso coloro dai quali avrai ricevuto un torto. C’è infatti un limite alla vendetta e alla punizione. Anche nella politica devono essere rispettati moltissimo i diritti di guerra. Infatti, essendoci due modi di combattersi, uno con la diplomazia, l’altro con la forza, quello [il primo] è proprio dell’uomo, questo [il secondo] è proprio degli animali, si deve ricorrere a quello meno importante (la forza) qualora non sia possibile ricorrere a quello superiore (la discussione). Perciò le guerre devono essere certamente intraprese per quella causa, affinché si viva in pace senza ingiurie (= atti violenti); ottenuta poi la vittoria, devono essere risparmiati coloro che in guerra non furono, né crudeli, né feroci. I nostri antenati accolsero nella città i Tuscolani, gli Equi, i Volsci, i Sabini e gli Ernici, invece Cartagine e Numanzia furono distrutte totalmente, credo affinché la posizione favorevole del luogo non potesse un giorno spingere a fare la guerra. Certamente, a mio parere, si deve sempre perseguire la pace che non comporterà alcuna insidia |
Vir fortis omnia adversa exercitationes putat. Qui vir fortis est, qui nolit laborem et officia cum periculo adpetere? Athletas videmus cura palaestricis magistris confligere velle, ut certamini praeparentur; caedi vexarique malunt, quam exercitationem neglegere, quae ad certamen eos paratos reddit. Noli putare virtutem sine adversario florere posse. Vis tu quoque in rebus adversis fortis esse? Athletas imitare. Laborem ama arduum, sed ante laborem te ad eum exerce.Homines, vero, enervati omnia in promptu habere vellent, pati nollent, requiescere quam certare mallent; sed ista vana spe decipiuntur. Iam plurimos vidimus qui, cum aliquid fortiter numquam facere voluissent, primo fortunae impetu icti, tamquam folia sicca ceciderunt. Ita est: fortuna tibi nihil dabit, nisi te volente et contendente. Nam fortuna contra adversarios fortes contendere vult; ea sibi dicit:"Nolo congredi cum homine vinci parato; fortissimum quaero; victoriam relinquam libenter ei qui mihi virtutem suam ostendere volet". | L'uomo forte ritiene tutte le avversità esercitazioni. Chi è l'uomo forte, che non tenta di afferrare la fatica e i doveri con il pericolo? Vediamo atleti desiderare di combattere con solerzia con i maestri della palestra, affinchè vengano preparati alla gara; preferiscono essere uccisi e essere torturati, che trascurare l'esercitazione, che li prepara alla contesa. Non voler credere che la virtù possa fiorire senza un avversario. Vuoi anche tu essere forte nelle avversità? Devi imitare gli atleti. Ama il lavoro difficile, ma prima della fatica esercitati ad affrontarla. Gli uomini, in verità, indeboliti vogliono avere tutte le cose a portata di mano, non vogliono patire, preferiscono riposarsi che combattere; ma sono illusi da questa vana speranza. Ormai vediamo moltissimi che, non volendo mai fare qualcosa con ardore, colpiti dal primo colpo della sorte, si spezzano come una foglia secca. Così è: la fortuna non ti darà niente, se non lo vorrai e se non combatterai. Infatti la fortuna vuole combattere contro avversari forti; essa dice tra sè:"Non voglio scontrarmi contro un uomo pronto a essere vinto, cerco uno fortissimo; lascerei la vittoria con piacere a chi mi voglia dimostrare la sua virtù." |
Alexander solemni die amicos in convivium convocat. Ubi orta inter ebrios rerum a Philippo gestarum mentione, ipse se patri praeferre rerumque suarum magnitudinem extollere caelo tenus coepit, adsentante maiore convivarum parte. Itaque cum unus e senibus, Clitus, fiducia amicitiae regis, memoriam Philippi tueretur laudaretque eius res gestas, adeo regem offendit ut ille, telo a satellite rapto, Clitum in convivio trucidaret. Sed postquam satiatus caede animus conquievit et in irae locum successit aestimatio, modo personam occisi.modo causam occidendi considerans, pigere eum facti coepit. Eodem igitur furore in paenitentiam, quo pridem in iram, versus, mori voluit. Primum in fletus progressus, amplecti coepit mortuum, vulnera tractare et quasi audienti confiteri dementiam; denique arreptum telum in se vertit, peregissetque facinus, nisi amici intervenissent. Mansit haec voluntas moriendi etiam sequentibus diebus. Accesserat enim paenitentiae nutricis suae, sororis Cliti, recordatio, cuius absentis eum maxime pudebat: tam foedam illi alimentorum suorum mercedem reddiderat. Ob haec illi quadriduo perseverata inedia est, donec exercitus universi precibus exoratus est ne ita mortem unius doleret ut universos perderet. | Alessandro, in un giorno di festa, invita gli amici ad un banchetto. Lì, sorta tra gli ubriachi il ricordo sulle imprese di Filippo, lui stesso iniziò a preferirsi al padre e ad innalzare la grandezza delle sue imprese fino al cielo, con l'approvazione della maggior parte degli invitati. Pertanto, quando uno tra i vecchi, Clito, per la fiducia nell'amicizia del re, difese la memoria di Filippo e lodò òe sue gesta, offese il re a tal punto che quella, afferata una spada dalla guardia, uccise Clito durente il banchetto. Ma dopo che l'animo appagato per l'omicidio, si calmò e la stima entrò al posto dell'ira, sia esaminando la personalità dell'ucciso, sia il motivo dell'uccidere cominciò a pentirsi del fatto. Dopo aver trasformato da furore in pentimento quello che poco prima (era) ira, volle morire. Dapprima scoppiato in un pianto, cominciò ad abbracciare il morto, a toccare le ferito e come se quello lo potesse sentire, confessò la sua pazzia; infine, afferrata la spada, la rivolse verso di sè e, se non fossero intervenuti gli amici, avrebbe portato a termire l'impresa. Questa volontà di morire rimase anche nei giorni seguenti. Infatti al pentimento si era aggiunto il ricordo della sua nutrice, sorella di Clito, della cui assenza egli principalmente si vergognava: tanto aveva dato una ricompensa crudele a quella in cambio dei suoi insegnamenti. Per questi motivi per quattro giorni fu proseguito il dolore finchè fu convinto con le preghiere di tutto l'esercito, affinchè per la morte di uno non soffrisse tanto da rovinare tutti gli altri. |
Post pugnam apud Cannas, qua duos maximos exercitus profligaverat plurimosque Romanorum milites interfacerat, Hannibal pervenit in Campaniam ibique cum omnibus suis copiis maiorem hiemis partem Capuae permansit, exercitumque in tectis habuit. Capua urbs amoenissima tum erat non solum Campaniae, sed totius fere Italiae: hic otia diuturna et nimiae voluptates enervaverunt exercitum illum quem nec Alpium nives nec gravissima pericula domare potuerant.Somnus enim, vinum, epulae,balnea molliverunt corpora et animos militum qui, postquam Hannibal Capuam reliquit,nihil pristinae disciplinae servaverunt, eosque magis praeteriate victoriae quam vires praesentes progetegebant: quam ob rem eorum corpora effeminata longa itinera et ceteros militiae labores iam non tolerare poterant arduumque erat imperatoris iussis prompte et alacriter obtemperare. Ideo Hannibalem illum, qui innumeras Romanorum copias multis proeliis prostraverat, otia vicerunt. | In seguito allo scontro a Canne, che aveva devastato due imponenti eserciti e aveva trafitto molti militari romani, Annibale arrivò in Campania e qua con tutte le sue truppe restò la maggior parte dell'inverno a Capua, e mantenne sotto i tetti l'esercito. Capua era una città gradevolissima non solamente della Campania però dell'intera Italia: qui l'esercito svigorì inerzie diurni e sovrabbondanti godimenti che non aveva potuto abbattere le nevi delle Alpi e pesantissimi rischi. Il sonno difatti, i banchetti, i bagni indebolirono i corpi e gli spiriti dei soldati che, poi che Annibale abbandonò Capua, non mantenerono l'antico insegnamento, e li tutelavano più i precedenti trionfi che le forze presenti: per questo motivo i loro corpi effeminati non potevano sopportare i lunghi cammini e i diversi sforzi militari ed era difficile reagire velocemente e alacremente i comandi del generale. Allora i godimenti sconfissero Annibale che aveva piegato in parecchi combattimenti le ingenti truppe romane. |
Minerva, sapientiae dea, feminarum operis praesidiebat dearumque vestimenta summo artificio texebat. Graecae puellae, textrini peritae, Minervam magistram agnoscebant, praeteer Arachnen, puellam ex Lydia oriundam. Olim nymphae de clivis descenderunt fluviorumque aquas reliquerunt et ad Arachnen venerunt: pulchra lina telasque auro intextas obstupefactae spectaverunt. Puallae nympha dixit: "Certe Minervam magistram habes". Tum Arachne nymphae verba in contumeliam accepit et Minervam ad certamen lacessivit.Diu puella deaque magna industria telas etxerunt: Minerva Olympios deos, Arachne amatorias fabulas pinxit. Puella deae peritia victa est: tum Minerva Arachnes telam iracundiam scidit et aemulae dixit: "Telas in perpetuum texes!" et statim puellam in araneam vertit. Inde misera aeria fila rams vel aedificiorum angulis suspendit, sed etiam homines araneae telas saepe scindunt. | Minerva, dea della Sapienza, presiedeva le opere delle donne e tesseva con grande maestria le vesti delle dee. Le fanciulle Greche, abili nella tessitura, chiamavano MInerva maestra, tranne Aracne, una fanciulla originaria della Lidia. Una volta le ninfee scesero dalle colline e lasciarono le acque dei fiumi e giunsero da Aracne: osservarono stupefatte le graziose vesti e le tele d'oro intrecciate. Una giovane ninfea disse: "Certamente hai Minerva come maestra". Allora Aracne ricevette le parole della ninfea come un’affronto e sfidò Minerva ad una gara. A lungo la fanciulla e la dea tessero con estrema operosità le tele: Minerva ritrasse gli dei dell'Olimpo, Aracne favole d’amore. La dea venne sconfitta dalla perizia di Aracne: così Minerva lacerò con ira l’opera di Aracne e disse all’avversaria: "Tesserai tele per sempre!" e subito tramutò la ragazza in ragno. Da allora, ella sollevò in aria miseri fili, sui rami o negli angoli degli edifici, ma anche gli uomini spesso lacerano le tele del ragno. |
"maxime vellem, patres conscripti, rem publicam quietam esse,aut in periculis a promptissimo quoque defendi, denique prava incepta consultoribus noxae esse. Sed autem seditionibus omnia turbata sunt. Vos autem quousque cunctando rem publicam intutam petiemini? Si libertas et vera magis placent, decernite digna nomine (vestro) et augete ingenium viris fortibus. Adest novus exercitus, ad hoc coloniae veterum militum, nobilitas omnis, duces optimi. Fortuna meliores sequitur.Quare censeo, quoniam M. Lepidus exercitum privato consilio paratum cum pessimis et hostibus rei publicae contra huius ordinis austoritatem ad urbem ducit, ut Ap. Claudius interrex cum Q. Catulo pro consule et ceteris, quibus imperium est, urbi praesidio sint operamque dent ne quid res publica detrimenti capiat" | “Vorrei moltissimo, senatori, che lo Stato fosse tranquillo (in pace), o che fosse difeso nei pericoli da ciascuno decisissimo, e infine che le imprese scellerate fossero di danno a chi le trama. Ma, invece, tutte le cose sono turbate dalle rivolte. Voi, invece, fino a quando col temporeggiare lascerete lo Stato mal sicuro? Se vi piacciono piuttosto la libertà e le cose vere, decidete cose degne del vostro nome e accrescete l’intelligenza per gli uomini forti. È presente un nuovo esercito, inoltre dei vecchi soldati della colonia, la nobiltà tutta, ottimi comandanti. La fortuna segue i migliori. Perciò, sono del parere, poiché Lepido conduce verso la città un esercito preparato di sua iniziativa con i disgraziatissimi e i nemici dello Stato contro l’autorità di questo ordine, che ci siano in difesa della città l’interré Appio Claudio con il proconsole Catulo e altri che hanno il potere, e che facciano in modo che lo Stato non subisca alcun danno”. |
Dives mercator in gravem morbum inciderat. Dum aegrotus est, cotidie Iovem sic orbata:" Iuppiter, magne omnipotensque deus, omnium rerum domine, decorum hominumque pater, te oro: valetudinem mini redde, quoniam negozia mea gerbere debeo. Cum convaluero, tibi sacrificium multorum boum praebebo!". Iuppiter mercature sanavit, sed ile promissum non servavit, quod admodum avarus erat, et Iovem decenti: nam pro veris bonus multas boum imagines e cera deo obtulit.Tum Iuppiter, ob marcatori dolum iratus, simili astutia ingratum hominem punivit. Mercurium in terram misit, qui in sommino mercatori dixit:"Cras in maris littore magni lucri occasio erit!". Mercator, lucri spe adductus, prima luce e letto surrexit et ad maris litus accurrit, ubi pirata ehm comprehenderunt, ut servum vendiderunt atque magnum lucrum fecerunt. Sic impius mercato astutiae suae poema persolvit. | Un ricco mercante era caduto in una grave malattia. Mentre era malto, ogni giorno pregava Giove così: "Giove, dio grande e onnipotente, padrone di tutte le cose, padre degli dei e degli uomini, ti prego: restituiscimi la salute, poiché devo gestire i miei affari. Quando guarirò, ti offrirò il sacrificio di molti buoi!". Giove lo fece guarire, ma quello non mantenne la promessa, perché era assai avaro e ingannò Giove: infatti offrì al dio molte statue di buoi di cera al posto di buoi veri. Allora Giove irritato per l'inganno del mercante, punì l'uomo ingrato con un'astuzia simile. Mandò sulla terrra Mercurio, che durante il sonno disse al mercante: "Domani ci sarà occasione di un grande guadagno sul litorale del mare!". Il mercante, attratto dalla speranza di guadagno, all'alba si alzò dal letto e corse alla spiaggia del mare, dove i pirati lo catturarono, lo vendettero come servo e ottennero un ingente guadagno. Così l'empio mercante pagò la pena per la sua astuzia. |
gamemnon cum Menelao fratre, ut Helenam uxorem Menelai repeterent, quam Alexander Paris Troiam avexerat,Troianis bellum paraverunt.Sed in Aulide tempestas ira Dianae eos retinebat,quod Agamemnon in venatione cervam eius violaverat.Cum is haruspices convocasset,Calchas respondit scelus eos non aliter esse expiaturos nisi Iphigeniam filiam Agamemnon immolavisset.Tunc Achaei miserunt Ulixem ut illam adduceret:is falso promisit se eam Achilli in coniugium daturum esse.Hoc dolo virginem in Aulidem adduxit ut eam parens immolaret.Sed Diana misericordiam puellae adhibuit et caliginem eis obiecit cervamque pro ea supposuit : Iphigeniamque per nubes in terram Tauricam transportavit ibique templi sui sacerdotem fecit. | Agamennone insieme al fratello Menelao, per recuperare la moglie di Menelao Elena, che Paride aveva condotto a Troia, organizzano guerra contro i Troiani. Però in Aulide una tormenta li bloccava per l'ira di Diana , visto che Agamennone nel corso della caccia aveva trafitto la sua cerva.Egli avendo chiamato gli aruspici, Calcante disse che non vi era altra maniera di scontare la pena se non quello di sacrificare la figlia di Agamennone Ifigenia. Così gli Achei inviarono Ulisse per portare quella: lui giurò falsamente che egli medesimo l'avrebbe data in sposa ad Achille. Con codesto imbroglio portò ad Aulide la giovane per sacrificarla. Però Diana ebbe compassione della giovane e lanciò a quelli una foschia e pose al suo posto una cerva: portò Ifigenia a Tauride e qua la rese sacerdotessa del suo santuario. |
Mithridates autem omne reliquum tempus non ad oblivionem veteris belli, sed ad comparationem novi contulit: qui [postea] cum maximas aedificasset ornassetque classis exercitusque permagnos quibuscumque ex gentibus potuisset comparasset, et se Bosporanis finitimis suis bellum inferre similaret, usque in Hispaniam legatos ac litteras misit ad eos duces quibuscum tum bellum gerebamus, ut, cum duobus in locis disiunctissimis maximeque diversis uno consilio a binis hostium copiis bellum terra marique gereretur, vos ancipiti contentione districti de imperio dimicaretis.Sed tamen alterius partis periculum, Sertorianae atque Hispaniensis, quae multo plus firmamenti ac roboris habebat, Cn.Pompei divino consilio ac singulari virtute depulsum est; in altera parte ita res a L. Lucullo summo viro est administrata, ut initia illa rerum gestarum magna atque praeclara non felicitati eius, sed virtuti, haec autem extrema, quae nuper acciderunt, non culpae, sed fortunae tribuenda esse videantur. | Invece, Mitridate per tutto il tempo restante si dedicò non alla dimenticanza della vecchia guerra, ma alla preparazione di una nuova: ed egli, dopo che ebbe edificato grandissime ed equipaggiate flotte e allestito il grandissimo esercito, con chiunque avesse potuto tra le popolazioni, e fingendo di portare guerra agli abitanti del Bosforo, suoi vicini, mandò ambasciatori e lettere fino in Spagna presso quei comandanti contro i quali allora conducevamo una guerra, affinché voi combatteste per la supremazia impegnati in una doppia lotta, essendo condotta guerra per mare e per terra in due luoghi lontanissimi e molto diversi dalle truppe di due nemici con un solo proposito. Ma tuttavia il pericolo dell’altra parte, (quella) dei Sertoriani e degli Spagnoli, che aveva molti appoggi e forze in più, fu respinto dalla decisione divina e notevole virtù di Pompeo; dall’altra parte la faccenda fu amministrata da L. Lucullo, uomo eccellente, in tal modo che sembra che quei primi grandi e famosissimi avvenimenti delle gesta debbano essere attribuite non al suo successo ma alla sua virtù, invece, quegli ultimi casi che accaddero recentemente (devono essere attribuiti) non alla negligenza ma al caso. |
Et ecce iuvenis accedens ait illi: "Magister bone, quid boni faciam ut habeam vitam aeternam?". Qui dixit ei: "Si vis ad vitam ingredi, serva mandata". Dixit illi: "Quae?". Iesus autem dixit: " Non homicidium faces, non adulterabis, non facies furtum, non falsium testimonium dices, honora patrem tuum et matrem tuam, et diliges proximum tuum sicut te ipsum". Dicit illi adulescens: "Omnia haec custodivi a iuventute mea: quid adhuc mihi deest? ". Ait illi Iesus: "Si vis perfectus esse, vade vende quae habes et da pauperibus, et habebis thesaurum in caelo, et veni, sequere me!" Cum audivisset autem adulescens verbum, abiit tristis, erat enim habens multas possessiones.Iesus autem dixit discipulis suis: "Amen dico vobis, quia dives difficile intrabit in regnum caelorum | Ed ecco che avvicinandosi il giovane gli chiese: “O buon Maestro, quali buone azioni potrei fare affinchè io abbia una vita eterna?” Egli gli rispose: “ Se vuoi percorrere il cammino alla vita, osserva i comandamenti” E quello gli chiese: “Quali?”. Allora Gesù disse: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubere, non dire il falso, onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso." Il giovane gli disse: “ Ho difeso tutte queste cose dalla mia giovinezza: che cosa mi manca ancora?”. Gesù gli disse: “ Se vuoi essere perfetto, vai, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo, e vieni, seguimi!”. Come il giovane sentì quelle parole però, se ne andò triste, era infatti uno che aveva molte proprietà.. Gesù allora disse ai suoi discepoli: “Così sia, vi dico, poiché difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli”. |
Sed confecto proelio, tum vero cerneres quanta audacia et quanta vis animi fuisset in exercitu Catilinae. Nam fere quisque, amissa anima, tegebat corpore eum locum quem, vivos, ceperat pugnando. Pauci autem, quos cohors praetoria disiecerat medios, conciderant paulo divorsius, sed tamen omnes volneribus advorsiis. Catilina repertus est vero longe a suis inter cadavera hostium, spirans etiam paululum ac retinens in vultu ferociam animi quam habuerat vivos.Postremo quisquam ingenuos civis captus est, neque in proelio neque in fuga, ex omni copia: ita cuncti pepercerant iuxta suae vitae et hostium. Neque tamen exercitus populi Romani adeptus erat victoriam laetam aut incruentam. Nam strenuissimus quisque aut occiderat in proelio aut discesserat graviter volneratos. Multi autem qui processerant e castris gratia visundi aut spoliandi, volventes cadavera hostilia, alli reperiebant amicum, pars hospitem aut cognatum ; fuere item qui cognoscerent suos inimicos. Ita varie laetitia, maeror, luctus atque gaudia agitabantur per omnem exercitum exercitum. | Ma terminata la battaglia, allora sì che avresti potuto vedere quanta audacia e quanta forza d’animo ci fosse stata nell’esercito di Catilina. Infatti quasi tutti, da morti, coprivano col [proprio] corpo il luogo che da vivi essi avevano occupato, combattendo. Pochi poi, che la coorte pretoria aveva separato, erano caduti un po’ più lontano, ma tuttavia tutti con ferite al petto. Catilina fu trovato molto lontano dai suoi, in mezzo ai cadaveri dei nemici, che respirava ancora debolmente e che mostrava sul volto la fierezza d’animo avuta in vita. Insomma,di tutto l'esercito, nessun libero cittadino fu fatto prigioniero, né in battaglia, né in fuga: così tutti avevano risparmiato la propria vita e quella dei nemici. Né tuttavia l’esercito del popolo romano aveva riportato una vittoria lieta o senza sangue. Infatti tutti i più valorosi, o erano caduti in battaglia, o ne erano usciti gravemente feriti. Molti, poi, che erano usciti dagli accampamenti o per curiosare o per predare, nel rivoltare i cadaveri dei nemici, ritrovavano chi l’ amico, chi l’ ospite o un parente; vi furono anche coloro che riconoscevano i loro nemici personali. Così per tutto l’esercito, in modo diverso, si alternavano gioia, dolore, pianto e grida di esultanza. |
Pluto, Iovis frater, Inferorum regni rex erat. Inferi in duas partes ividebantur, quae Tartarus et Campi Elysii appellabantur. Minos, cum ei a Pluto facultas iudicandi data esset, animas ad Inferorum aditum advenientes explorabat atque suam cuinque sedem tribuebat: improbi ac mali in Tartarum mittebantur, ut gravis poenis punirentur, probi ac pii in Campos Elyseos ducebantur, ut praemiis afficerentur. Cum homines e vita decedebant, eorum animae a Mercurio ad Inferos deducebantur atque, cum eo lì pervenissent, a Cerbero, horribili cane tricipiti, Inferorum ianotore, accipiebantur.Postea Charon animas in suam cumbam imponebat, ut trans Acherontem flumen eas transveheret; mox a iudice Minoe iudicabantur. Hae fabulae, quas philosophi hominesque docti deridebant, a pueris et a plebe tam religiose audiebantur ut eorum animi a magno timore invaderentur. | Plutone, fratello di Giove, era il re degli Inferi. Gli Inferi erano divisi in due parti, che erano chiamate Tartaro e Campi Elisi. Minosse, poichè gli era stata data da Plutone la facoltà di giudicare, osservava le anime che giungevano all'accesso degli Inferi e assegnava a ciascuno il proprio posto: i disonesti e i malvagi erano mandati nel Tartaro, affinchè fossero puniti con pene pesanti, gli onesti e i devoti erano condotti nei Campi Elisi, per essere premiati. Quando gli uomini morivano, le loro anime erano condotte giù agli Inferi da Mercurio e, dopo che erano giunte lì erano ricevute da Cerbero, cane orribile a tre teste guardiano degli Inferi. Dopo Caronte, imbarcava le anime nella sua barca, per trasportarle al di là del fiume Acheronte, subito dopo venivano esaminate dal giudice Minosse. Queste leggende, che i filosofi e gli uomini dotti deridevano, erano ascoltate tanto scrupolosamente dai giovani e dalla plebe, che i loro animi erano invasi da grande timore. |
Cornelius Nepos in libro De excellentibus ducibus exterarum gentium narrat Timotheum Atheniensem, Cononis filium, gloriam paternam multis virtutibus auxisse. Frugi enim, disertissimus, impigerrimus, laboriosissimus et rei militaris peritissimus fuit. Plurima Timothei facta praeclara et illustria sunt: Olynthios et Byzantios bello subegit, Samon insulam cepit et restituit Atheniensium rei pubblicae sine ulla publica impensa. Adversus Cotum regem bella gravissima gessit, postea Cyzicum obsidione liberavit, Corcyram sub Atheniensium imperium regedit sociosque dein adiunxit Epirotas, Athamanas, Chaonas, omnesque gentes quae mare adiacent.Quare Lacedaemoniide diutina contentione destiterunt et sua sponte Atheniensibus imperii maritimi principatum concesserunt, pacemque iustis legibus constituerunt. | ornelio Nepote nel libro Gli straordinari generali delle popolazioni straniere afferma che di Timoteo l'ateniese, figlio di Conone, ha elevato la fama paterna con parecchie lodi. Difatti fu molto saggio, diligente, operoso e abile nel arte militare. Parecchie sono le opere famose e celebri di Timoteo: conquistò in guerra Olinto e Bisanzio, ottenne l'isola di Samo e la ridiede allo stato degli ateniesi senza nessuna pubblica spesa. Verso il re Coto intraprese durissime guerre, poi svincolò dall'assedio Cizico, diede all’autorità degli ateniesi Corcira e incremento soci Epiroti, Atamani, Caoni, e tutte le popolazioni che erano vicine al mare. Per questo motivo gli spartani desistettero da un lungo assedio e volontariamente diedero agli ateniesi il principato dell'impero marittimo, stabilirono con leggi adeguate la pace. |
Iam res Romana adeo erat valida ut cuilibet finitimarum civitatum bello par esset; sed penuria mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent. Tum ex consilio patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque novo populo peterent: urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein, quas sua virtus ac di iuvent, magnas opes sibi magnumque nomen facere; satis scire, origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem; proinde ne gravarentur homines cum hominibus sanguinem ac genus miscere.Nusquam benigne legatio audita est: adeo simul spernebant, simul tantam in medio crescentem molem sibi ac posteris suis metuebant. | Roma era già molto forte che era in grado di scontrarsi militarmente con qualsiasi popolazione nelle vicinanze. Però per l'abbondanza di donne questa vastità era destinata a perdurare una unica generazione, poiché loro non erano in grado di avere figli in patria né di sposarsi con donne del luogo. Così col parere dei senatori, Romolo mandò delegati alle popolazioni adiacenti per decretare un accordo di alleanza con il nuovo popolo e per migliorare il festeggiamento delle nozze. Loro affermarono che pure le città, quanto le restanti cose, scaturiscono dal niente; dopo, per la loro virtù e all'aiuto degli dèi, acquisirono molta forza e parecchia gloria. |
Traianus rem publicam ita administravit, ut omnibus principibus merito anteponatur. Romani imperii, quod post Augustum defensum magis fuerat quam nobiliter ampliatum, fines longe lateque diffudit. In administratione tam clemens fuit, ut etiam gloriam militarem civilitate et moderatione superaverit. Nam Romae et per provincias aequalem se omnibus exhibebat, nullum senatorum laedens, nihil iniustum ad augendum fiscum agens, liberalis in cunctos, publice privatimque ditans et honoribus augens omnes famiiares; adeo clemens, ut omni eius aetate unus senator damnatus sit, sed per senatum.Ob haec per orbem terrarum tam deo proximus existimatus est, ut cunctarum gentium venerationem merurit et vivus et mortuus. | Traiano amministrò la repubblica così da essere anteposto giustamente a tutti i principi. Egli estese in lungo e in largo i confini dell'Impero Romano, il quale dopo Augusto era stato difeso maggiormente piuttosto che ampliato egregiamente. Nell'amministrazione fu così clemente da superare anche la gloria militare con civiltà e moderazione. Infatti a Roma e per le province si dimostrava uguale a tutti, non danneggiando nessuno dei senatori, non facendo nulla di ingiusto per accrescere il fisco, liberale verso tutti, arricchendo per conto dello Stato e proprio, innalzando tutti i familiari con gli onori; fu a tal punto clemente che durante il suo regno fu condannato un solo senatore, ma per mezzo del senato, per questo nel mondo fu ritenuto molto simile a un dio, tanto da essere degno della venerazione di tutte le genti, sia in vita che dopo la morte. |
Germani, colle exteriore occupato, non longius mille passibus a nostri munitionibus considunt. Ii in silvis equitatum tegunt: Postero die equitibus complent planitiem quae in longitudinem tria milia passuum patet.Praeterea hostes pedestres copias paulum ab eo loco abditas in locis superioribus constituerant. Dato signo, nostri equites circumdantur et tunc pedites proelium committunt. Acriter pugnantum est. Nostri magna virtuale sed gravi difficultate impetum sustinuerunt, denique vires refecerunt et, visis auxiliis supervenientibus, renovaverunt pugnam: ita victoria obtenta est.Saucii sed laeti denique in castra remeaverunt. | I Germani, insediato il monte esteriore,sostano non più distante di mille passi dalle nostre munizione, mantengono la cavalleria nelle selve. Dopo un giorno,andata via la cavalleria dagli accampamenti, colmata tutto quel bassopiano, che affermammo si allargava intorno ai tre mila passi, e disponevano le truppe di fanteria abbastanza lontani da quello spazio sulle zone alte celate. Dopo aver dato l'avviso, i nostri cavalieri erano accerchiato e così i fanti cominciarono il duello. Si scontrarono fino all'estremo. I nostri con grande valore militare però molta fatica sopportarono l'assalto, e dopo essersi rinvigoriti ,notate le truppe che arrivavano, attaccarono nella battaglia: allora ricevettero la vittoria. I Sauci finalmente lieti rimasero nell'accampamento. |
Quadrimus patrem amisit. Duodecimum annum agens aviam Iuliam defunctam pro contione laudavit. Quadriennio post virili toga sumpta militaribus donis triumpho Caesaris Africano donatus est quanquam expers belli propter aetatem. Profectum mox avunculum in Hispanias adversus CN. Pompei liberos vixdum firmus a gravi valitudine per infestas hostibus vias paucissimis comitibus naufragio etiam facto subsecutus magnopere demeruit approbata cito etiam morum indole super itineris industriam.Caesare post receptas Hispanias expeditionem in Dacos et inde in Parthos destinante praemissus Apolloniam studiis vacavit. Utque primum occisum eum heredemque se comperit diu cunctatus an proximas legiones imploraret id quidem consilium ut praeceps inmaturumque omisit ceterum urbe repetita hereitatem adiit dubitante matre vitrico vero Marcio Philippo consulari multum dissuadente. Atque ab eo tempore exercitibus comparatis primum cum M. Antonio M. que Lepido deinde tantum cum Antonio per duodecim fere annos novissime per quattuor et quadraginta solus rem publicam tenuit. | Perse il padre a quattro anni. Compiuti dodici anni recitò l'elogio funebre per la nonna Giulia di fronte il comizio.Dopo quattro anni, messa la toga virile, fu premiato con gratifiche militari, per il successo di Cesare in Africa, nonostante non avesse aderito alla guerra vista l'età. In seguito, appena si guarì da una grave malattia, rincorse suo zio che era partito per la Spagna contro i figli di Pompeo, tramite vie invase da nemici, con pochissimi compagni e perfino avendo fatto un naufragio, si conquistò grande affetto, essendo stata identificata fra breve anche la sua attitudine alla integrità, oltre alla responsabilità chiesta dalla sua spedizione. In seguito alla dominio della Spagna, visto che Cesare elaborava una spedizione prima contro i Daci, successivamente contro i Parti, egli fu inviato ad Apollonia e là si dedicò agli studi. Subito dopo aver appreso che Cesare era stato assassinato e che era stato proclamato suo successore, dubbioso a lungo se chiamare in soccorso le legioni circostanti, rinunciò a questa iniziativa ritenendola azzardata e precoce; dopo,tornato a Roma, entrò in possesso della sua eredità,malgrado l’incertezza della madre e la resistente obiezione del patrigno ex console Marcio Filippo. Da quella volta, procuratosi un esercito,prima governò lo Stato con M.Antonio e M.Lepido, in seguito, per circa 12 anni con Antonio e alla fine da solo per quarantaquattro anni. |
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