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Scipio Romam rediit et ante legitimam aetatem consul factus est. Ei Sicilia provincia decreta est, permissumque (est) ut in Africam inde traiceret. Qui, cum vellet ex fortissimis peditibus Romanis trecentorum equitum numerum compler, nec posset illos statim armis et equis instruere, id prudenti consilio perfecit. Trecentos iuvenes, ex omni Sicilia nobilissimos et ditissimos, elegit, velut eos ad oppugnandam Carthaginem secum ducturus,eosque iussit celeriter arma et equos parare.
Scipione tornò a Roma e fu eletto console prima della legittima età. A lui fu assegnata la Sicilia come provincia, e gli fu permesso che da lì passasse in Africa. E quello, volendo completare il numero di 800 cavalieri tra i più forti fanti dei Romani e non potendo fornire subito quelli di armi e cavalli portò a termine ciò mediante un accorto piano. Scelse 300 giovani tra i più nobili della Sicilia come se avesse intenzione di condurli con sé ad assediare Cartagine.
Iam mille armatorum ceperant partem, cum ceterae admotae pluribusque scalis in murum evadebant, signo ab Hexapylo dato, quo per ingentem solitudinem erat perventum, quia magna pars in turribus epulati aut sopiti vino erant aut semigraves potabant; paucos tamen eorum oppressos in cubilibus interfecerunt. Prope Hexapylon est portula; ea magna vi refringi coepta et e muro ex composito tuba datum signum erat et iam undique non furtim sed vi aperta gerebatur res.Quippe ad Epipolas, frequentem custodiis locum, perventum erat terrendique magis hostes erant quam fallendi, sicut territi sunt. Nam simulac tubarum est auditus cantus clamorque tenentium muros partemque urbis, omnia teneri custodes rati, alii per murum fugere, alii salire de muro praecipitarique turba paventium. magna pars tamen ignara tanti mali erat et gravatis omnibus vino somnoque et in vastae magnitudinis urbe partium sensu non satis pertinente in omnia
Già mille soldati si erano impadroniti di una parte del muro, quando furono fatte avanzare tutte le altre truppe, e giungevano vicino al muro con moltissime scale, dopo che fu dato il segnale da parte dell’Esapilo, dove si era giunto attraverso una grande solitudine, poiché la maggior parte mangiava o dormiva a causa del vino o beveva mezzi ubriachi. Tuttavia uccisero pochi di quelli sorpresi nei letti. Vicino all’Esapilo c’era una porticina: dopo che iniziarono a romperla con gran forza sia, come secondo gli accordi, dal muro fu dato un segnale con la tromba sia da ogni parte ormai non di nascosto ma con aperta violenza veniva condotta l’azione. Infatti si era giunti ad Epipoli, luogo affollato di guardie, i nemici erano più spaventati che ingannati, come furono spaventati. Infatti, non appena venne sentito il suono della tromba e il clamore di coloro che si erano impossessati delle mura e di una parte della città, le guardie, pensando che tutto fosse occupato, alcune fuggirono attraverso le mura, altre salirono sulle mura e si gettavano. Tuttavia la maggior parte era all’oscuro di un così grande male e, sia poiché tutti erano oppressi dal vino e dal sonno sia perché in una città così immensa non si diffondeva abbastanza in tutte le zone la percezione di ciò che accadeva in una parte.
Traditum est Claudio successisse Neronem, qui nomen suum foedavit, cum imperium romanum deformavisset et minuisset. Constat eum infinitam partem senatus interfecisse, quia inimicus omnibus bonis erat. Se enim tanto dedecore prostibat se summum artificem esse. Narrant scriptores ab eo multa parricidia commissa esse. Nam tam saevus fuit ut interfecerit fratrem, uxorem, matrem et Senecam, qui praeceptor eius fuerat. Romam incendit ut, in pergula stans, incendii spectaculum, Troiae simile, cerneret.Dicebat enim illud spectaculum gratissimum oculis esse. Cum in re militari nihil omnino fecisset, Britanniam paene amisit.
Si narra che a Claudio sia seguito Nerone, che danneggiò il suo nome, avendo mutato e ridotto l'impero dei romani. Si sa che quello abbia trafitto una gran parte del Senato, siccome era nemico di tutti i bravi. Difatti si prostituì a tanta umiliazione siccome pensava di essere il grande creatore. Gli scrittori raccontano che abbia svolto parecchi parricidi. E' stato tanto cattivo difatti che trafisse il fratello, la moglie, la madre e Seneca, che fu suo maestro. Bruciò Roma stando nella sua terrazza, per guardare uno scena di incendio uguale a quello di Troia. Affermava che quella scena era molto apprezzata agli occhi. Non svolse niente nell'attività militare, perse definitivamente la Britannia.
Venio nunc ad istius, quem ad modum ipse appellat, studium, ut amici autem morbum et insaniam appelant, quod tandem Siculi latrocinium vocant. Ego, quo nomine istius facinora appellem, nescio. Rem, iudices, vobis proponam, vos eam considerare. Nego in Sicilia tota, provincia tam locupleti, tam vetere, in tot oppidis, in tot familiis tam copiosis, ullum argenteum vas, ullum Corinthium aut Deliacum fuisse, ullam gemmam aut margaritam, ullum monile ex auro aut ebore factum, signum ullum aeneum, marmoreum, eburneum, ullam picturam neque in tabula neque in textili quo ille non conquisierit, non inspexerit, non abstulerit.Magnum dico, scio: attendite etiam quemadmodum id dicam. Non enim verbis rem amplifico tumide dicens, quod vere accidit dico. Cum dico nihil istum in tota provincia reliquisse, Latine loquor, non accusatorie. Etiam planius dicam: nihil in aedibus cuiusquam, ne in fanis quidem, nihil apud Siculum civem, nihil apud civem Romanum, denique nihil quod ad manus esset iste tota in Sicilia reliquit.
Giungo ora alla “ passione “ di costui, come egli stesso la definisce, che però gli amici chiamano malattia e pazzia, che infine i siciliani chiamano prepotenza. Io non so in che modo chiamare i misfatti di costui. Vi espongo la situazione, giudici, e voi consideratela. Nego che in tutta la Sicilia, una provincia tanto ricca e tanto antica, in tutte le città, in tutte le famiglie così ricche, non ci fosse nessun vaso d’argento, nessun vaso di Corinto o di Delfi, nessun gioiello e perla, nessun gioiello fatto in oro o in avorio, nessuna statua di bronzo, di marmo, di avorio, nessun dipinto, né fatto su tavola né fatto su un drappo, di cui egli non si impadronì, non esaminò, non portò via. Dico molto e so molto: osservate anche come lo dico. Non amplio infatti la situazione con parole parlando in modo ampolloso, ma ciò che accadde lo dico obiettivamente. Quando affermo che costui non lasciò nulla in tutta la provincia parlo in modo letterale, non in modo accusatorio. Voglio anche essere chiaro: costui non lasciò nulla in tutta la Sicilia, nelle case di ciascuno, né di sicuro nei templi, nella presso un cittadino siciliano, niente presso nessun cittadino romano, insomma niente che fosse alla sua portata.
Althaea puerum Meleagrum nomine peperit et eodem die in domo regia titio ardens apparuit; Parcae, ut fabula narrat, cum domum adissent, cecinerunt puerulum tamdiu victurum esse quamdiu titio incolumis esset; quam ob rem mater, cupiens filiu diu vivere, titionem in arca diligenter servavit.Die quodam Diana punire empietatem regis volens, in eam regionem aprum demisit ingenti corpore qui agrum Calydonium vastavit; sed Meleager adulescens iaculo eum interfecit eiusque pellem virgini Atalantae donavit.Althaea fratres pelle Atalantae eripuerunt et Meleager, ut iniuriam ulcisceretur, avunculos suos interemit. Tum vero Althaea titionem ex arca protulit atque in ignem coniecit; ita filium interfecit.
Altea partorì un bambino con il nome di Meleagro e proprio nello stesso giorno apparve nella casa reale un tizzone ardente; le Parche, come narra la storia, essendosi avvicinate alla casa, cantarono che il neonato sarebbe vissuto tanto a lungo fino a quando il tizzone fosse incolume; per la qual cosa la madre, desiderando che il figlio vivesse a lungo, conservò il tizzone accuratamente in una scatola.Un giorno Diana, volendo punire l'empietà del re, mandò in quella regione un cinghiale dal grande corpo, il quale devastò il territorio di Calidone; ma Meleagro adolescente lo uccise con un giavellotto e donò la sua pelle alla fanciulla Atalanta. I fratelli di Altea la strapparono a Atalanta e Meleagro, per vendicare l'oltraggio, uccise i suoi zii. Allora in verità Altea tirò fuori il tizzone dalla scatola e (lo) gettò nel fuoco; così uccise il figlio.
Audacissimi nautae et callidissimi mercatores antiqui Graeci fuerunt: quare in omnibus oris maris florentissimas colonias possidebant. Etiam in artibus maiorem famam quam Romani obtinuerunt; nam clarissimi artifices erant et, in maxima Graecarum urbium parte, templa et aedificia publica et simulacra perfectissimae pulchritudinis videre licebat. Scripta quoque Graecorum elegantiora et venustiora sunt quam Romanorum: carmina, orationes, philosophiae libri maiore elegantia praediti sunt.Homerus exemplum maxime insigne praebet: nam Homeri, antiquissimi omnium poetarum, gloria semper florentissima est. Clarissimum quidem est Socratis quoque nomen: nostris temporibus non minus quam antiquis admirationem maximam movet.
Gli antichi Greci furono audacissimi marinai e espertissimi mercanti: perciò possedevano colonie in tutti i mari principali. Anche nelle arti ottennero una fama maggiore dei Romani; infatti erano famosissimi artigiani e, nella parte più alta delle città della Grecia, si potevano vedere templi, edifici pubblici e statue di perfettissima bellezza. Anche gli scritti dei Greci sono più eleganti e più belli [di quelli] dei Romani: canti, orazioni, libri di filosofia sono dotati di maggiore eleganza. Omero offre un esempio straordinario: infatti la gloria di Omero, il più antico di tutti i poeti, è sempre molto fiorente. Famosissimo è certamente anche il nome di Socrate: ai nostri tempi non meno muove rispetto agli antichi massima ammirazione
Anno quarto, postquam Hannibal in Italiam venerat, M. Claudis Marcellus consul apud Nolam, Campaniae oppidum, contra Hannibalem pugnaturus erat. Poenarum dux multas Romanorum civitates per Apuliam, Calabriam, Bruttios occupaverat multasque alias occupaturus erat. Quo tempore etiam Macedonum rex Philippus ad eum legatos misit, auxilium trium milium militum promittens contra Romanos, sub hac condizione, ut, deletis Romanis, ipse quoque contra Graecos ab Hannibale auxilia acciperet.Captis igitur Philippi legatis et re cognita, Romani ad Macedoniam Marcum Valerium proficisci iusserunt, ad Sardiniam Titum Manlium Torquatum proconsulem. Nam etiam ea regio, ab Hannibale sollecitata, Romanos deseruerat.
Quattro anni dopo che Annibale era venuto in Italia, il console M. Claudio Marcello era stato mandato a combattere contro Annibale presso Nola, città della Campania. Il capo dei Cartaginesi aveva occupato molte città romane in Puglia, Calabria, dei Bruzi e molte altre stavano per essere occupate. In quel tempo pure Filippo, re dei Macedoni, inviò ambasciatori da lui, promettendo tremila soldati in aiuto contro i Romani, a patto che (= con questa condizione), sconfitti i Romani, egli stesso avrebbe portato gli aiuti da Annibale contro i Greci. Poi, catturati gli ambasciatori e scoperto il piano (= la cosa), i romani ordinarono a Marco Valerio Lavinio di partire per la Macedonia, (e ordinarono) al proconsole Tito Manlio Torquato di partire per la Sardegna.
Apud Romanos praecipuus honos deo Marti tribuebatur; appellabatur enim " populi Romani parens", quia Romulus et remus, Urbis conditores, eius filii erant. Antiquitus ( avv.) Mars etiam agriculturae deus putabatur: ex eius nomine enim primus veris mensis etiam nunc Martius appellatur. Sed a Romanis Mars ut ( come) belli deus praesertim (avv.) colebatur et Gradivus (Gradivo) cognominabatur. quia in pugnam cum Romanis militibus incedebat et magnas clades eorum hostibus inferebat.Ante proelium Romanorum duces Martem invocabant, post victoriam partem praedae Marti praebebant. Locus in sinistra Tiberis ripa, ubi iuvenes Romani armis se ( si) exercebant, Campus Martius appellabatur. Deo Marti imperator Augustus splendidum templum in foro dicavit (consacrò).
Presso i Romani un particolare onore era attribuito al dio Marte; infatti era chiamato <padre del popolo Romano>, perchè Romolo e Remo, fondatori di Roma erano suoi figli.Nel tempo antico Marte era anche considerato dio dell'agricoltura: infatti dal suo nome è chiamato il primo mese di primavera,anche ora Marzo.Ma dai Romani Marte era onorato specialmente come dio della guerra ed era soprannominato colui che avanza in testa, perchè marciava verso la battaglia con i soldati romani e infliggeva molte sconfitte ai loro nemici.Prima del combattimento i comandanti dei Romani invocavano Marte, dopo la vittoria offrivano a Marte una parte del bottino.Il luogo nella sinistra sponda del Tevere,dove i giovani Romani si esercitavano con le armi, era chiamato campo di Marte.L'imperatore Augusto consacrò uno splendido tempio nel foro al dio Marte
Thales,interrogatus an facta hominum deos fallerent, "Ne cogitata hominum quidem" respondit. Itaque non solum manus, sed etiam mentes puras habere volumus, cum secretis cogitationibus nostris caeleste nemen adesse credamus. Ac ne quod sequitor quidem minus sapiens. Unicae filiae pater Themistoclen consulebat utrum eam pauperi, sed ornato, an locupleti parum probato conclaret. Cui is "Malo" inquit "virum indigentem pecunia quam pecuniam viro".Quo dicto stultum monuit ut generum potius quam divitias generi legeret.Demadis quoque dictum sapiens apparet: nolentibus enim Atheniensibus divinos honores Alexadro decernere, "Videte" inquit "ne,dum coelum custoditis, terram amittatis".
Talete, interrogato se gli atti degli uomini fossero celate agli dei, rispose: "Neanche ciò che è pensato degli uomini". Quindi vogliamo avere anche non unicamente le mani, però pure le menti, perché riteniamo che la divinità celeste aderisce ai nostri occulti pensieri. Però neanche colui che segue è meno sapiente. Il padre Temistocle rifletteva riguardo alla sola figlia se donarla ad uno umile ma dignitoso o ad uno ricco ma corrotto. Lui le disse: "Preferisco un uomo senza soldi che soldi senza uomo". Affermato questo invitò a preferire un genero povero invece che le ricchezze del genero. Sembra saggio pure una frase di Demade: difatti agli Ateniesi che non volevano dare onori divini ad Alessandro, disse: "Fate in maniera che, mentre salvaguardiate il cielo, non dimentichiate la terra".
Cum Sophocles usque ad summam senectutem tragoedias scripsisset, ingrati filii eius dictitabant patrem, propter hoc studium, rem familiarem neglegere. Itaque in iudicium eam vocaverunt, ut a iudicibus desipiens declararetur et a re familiari removeretur. Sophocles igitur, iam senex, is qui per totam vitam suam plurimi existimatus erat a suis civibus, propter filiorum avaritiam, ante iudices reus quidam ductus est. Tum Senex poeta eam tragoediam, quam in manibus habebat et proxime scripserat, Oedipum Coloneum, recitavit iudicibus atque quaesivit: “Num hoc carmen, vestra sententia, desipientis opus est?”.iudices negaverunt atque imperaverunt ut Sophocles liberaretur.
Poichè Sofocle aveva scritto tragedie fino all'estrema vecchiaia; i suoi ingrati figli andavano dicendo che il padre trascurava il patrimonio familiare a causa di questa sua attività. Perciò lo convocarono in giudizio, affinché fosse dichiarato pazzo dai giudici e allontanato dal patrimonio familiare. Sofocle dunque, ormai vecchio, a causa dell’avidità dei suoi figli, fu condotto davanti ai giudici come un colpevole, lui che per tutta la sua vita era stato stimato moltissimo dai suoi concittadini. Allora il vecchio poeta recitò ai giudici quella tragedia, che aveva tra le mani e che aveva scritto da poco, "l'Edipo a Colono", e domandò: “ A vostro parere, è forse opera di un pazzo questa tragedia?".
L. Genucio Ser. Cornelio consulibus ab externis ferme bellis otium fuit. Soram atque Albam coloniae deductae. Albam in Aequos sec milia colonorum scripta: Sora agri Volsci fuerat sed possederant Samnites; eo quattuor milia hominum missa. Eodem anno Arpinatibus Trebulanisque civitas data. Frusinates tertia parte agri damnati, quod Hernicos ab eis sollicitatos compertum, capitaque coniurationis eius quaestione ab consulibus ex senatus habita virgis caesi ac securi percussi.Tamen ne prorsus imbellem agerent annum, parva expeditio in Umbria facta est, quod nuntiabatur ex spelunca quadam excursiones armatorum in agros fieri. In eam spelonca penetratum cum signis est et ex ea, loco obscuro, multa volnera accepta maximeque lapidum ictu, donec altero specus eius ore – nam parvius erat – invento utraeque fauces congestis lignis accensae. Ita intus fumo ac vapore ad duo milia armatorum, ruentia novissime in ipsas flammas, dum evadere tendunt, absumpta.
Sotto il consolato di Lucio Gerusio e Servio Cornelio ci fu una tregua nella guerre esterne. Furono fondate le colonie di Alba e Sora. Ad Alba, nel territorio degli Equi, furono arruolati 6000 coloni. Sora era stata nel territorio dei Volsci ma era stata sotto il potere dei Sanniti; lì furono inviati 4000 uomini. Nello stesso anno fu data la cittadinanza agli Arpinati e ai Trebulani. Gli abitanti di Frasinate furono condannati alla perdita di un terzo del loro territorio, poiché si era scoperto che gli Ernici erano stati sollevati da loro, e i capi di quella congiura dopo un interrogatorio furono condotti dai consoli per decreto del Senato e furono colpiti con delle verghe e uccisi. Tuttavia, affinché l’anno non passasse del tutto tranquillo, fu fatta una piccola spedizione in Umbria, poiché era stato annunciato che da una grotta avvenivano sortite di soldati armati nei campi. Si entrò in quella grotta con le insegne e da quella, a causa dell’oscurità, furono ricevute molte ferite e soprattutto ( i soldati ) furono colpiti dai sassi, finché, dopo che fu scoperta un'altra entrata di quella grotta – infatti era aperta alle due estremità – furono accese entrambe le entrate con della legna che era stata raccolta. Così dentro per il fumo e il vapore circa 2000 uomini morirono mentre cercavano di fuggire, gettandosi invano verso quelle fiamme.
Si propter socios nostros, nulla iniuria lacessiti, maiores nostri cum Antiocho, cum Philippo, cum Aetolis, cum Poenis bella gesserunt, quanto studio convenit vos, iniuriis provocatos, salutem sociorum cum imperii vestri dignitate defendere, praesertim cum de maximis vestris vectigalibus agatur? Nam, cum multa provinciarum vectigalia Romam quotannis conferantur, Quirites, Asia tam optima ac fertilis est ut et ubertate agrorum et varietatem fructuum facile omnibus terris antecellat.Itaque haec provincia vobis, Quirites, non modo a calamitate verum etiam a metu calamitatis est defendenda, si et belli utilitatem et pacis dignitatem retinere vultis. Nam in ceteris rebus, cum venit calamitas, tum detrimentum accipitur; at in vectigalibus non solum adventus mali, sed etiam metus ipse adfert calamitatem. Nam, cum hostium copiae non longe absunt, etiam si irruptio nulla facta est, tamen pecua reliquuntur, agricoltura deseritur, mercatorum navigatio conquiescit. Ita nullum vectigal conservari potest et saepe totius anni fructus uno rumore periculi atque belli amittitur.
Se i nostri antenati, non provocati da nessuna ingiuria, per i nostri alleati mossero guerre contro Antioco, contro Filippo, contro gli Etoli, contro i Cartaginesi, con quanta dedizione si conviene che voi, provocati dalle ingiurie, difendiate il benessere degli alleati insieme alla dignità del vostro impero, specialmente quando si tratta delle vostre più grandi entrate? Infatti, benché molti tributi delle provincie sono portati ogni anno a Roma, o Quiriti, l’Asia è tanto ricca e fertile che supera facilmente tutte le terre sia nella produttività dei campi sia per la varietà dei prodotti. E così, o Quiriti, dovete difendere questa provincia non soltanto dalla rovina, ma anche dalla paura della rovina, se volete conservare e l’utilità nella guerra e il decoro nella pace. Infatti nelle altre situazioni, quando arriva la rovina, allora si riceve un danno; ma per quanto riguarda i tributi non solo l’arrivo della disgrazia, ma anche la stessa paura porta la rovina. Infatti, quando le truppe dei nemici non sono molto lontane, anche se non è stata fatta nessuna invasione, tuttavia le greggi vengono lasciate, l’agricoltura viene abbandonata, la navigazione dei mercanti resta inattiva. Così non può essere rispettato nessun tributo e spesso per una sola diceria di pericolo e di guerra vengono persi i guadagni di tutto un anno.
Cum Iugurtha adolevit, pollens viribus, decora facie, sed multo maxime ingenio validus, non se luxui neque inertiae dedit, sed, ut mos gentis illius est, equitare, tela iacere; cursu cum aequalibus certare et omnes gloria superare, omnibus tamen carus esse; praeterea pleraque tempora in venationibus agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire; plurimum facere, et minimum ipse de se loqui. Iis rebus Micipsa initio laetus fuerat: nam existimabat virtutem Iugurthae regno suo gloriae fore, tamen, postquam hominem adulescentem magis magisque crescere intellexit, se autem iam senem esse cum parvis liberis, vehementer eo nagotio permovebatur et multa cum animo suo volvebat.Terrebat eum natura mortalium avida imperii et praeceps ut expleret animi cupidines, praeterea opportunitas suae librorumque aetatis, quae etiam mediocres viros spe praedae transversos agit, postremo studia Numidarum quae in Iugurtham accensa erant.
Quando Giugurta crebbe, prestante e di bell’aspetto, ma soprattutto ragguardevole per la sua grande intelligenza, non si dedicò al lusso e alla pigrizia, ma, secondo gli usi della sua gente, cavalcava, lanciava il giavellotto, gareggiava con i coetanei nella corsa e, benchè eccellesse su tutti, a tutti era tuttavia caro; inoltre dedicava la maggior parte del suo tempo alla caccia, colpiva per primo o tra i primi il leone e altre bestie; quanto più agiva tanto meno parlava di sé. All’inizio Micipsa era stato lieto di queste cose: riteneva infatti che il valore di Giugurta sarebbe stato un vanto per il suo regno, tuttavia, vedendo che quel giovane cresceva sempre di più mentre lui era già anziano con figli piccoli, cominciò a preoccuparsi molto per tal fatto, rivolgendo in sé molti pensieri. Lo spaventava la natura degli uomini, avida di potere e pronta ad appagare le passioni dell’animo, inoltre l’opportunità della sua età e di quella dei figli, che svia anche uomini mediocri con l’aspettativa di successo, e infine l’affetto dei Numidi che era molto acceso nei confronti di Giugurta.
Hinc invictus patriam defensum revocatus bellum gessit adversus P. Scipionem, filium eius, quem ipse primo apud Rhodanum, iterum apud Padum, tertio apud Trebiam fugarat. Cum hoc exhaustis iam patriae facultatibus cupivit impraesentiarum bellum componere, quo valentior postea congrederetur. In colloquium convenit; condiciones non convenerunt. Post id factum paucis diebus apud Zamam cum eodem conflixit: pulsus – incredibile dictu – biduo et duabus noctibus Hadrumetum pervenit, In hac fuga Numidae, qui simul cum eo ex acie excesserant, insidiati sunt ei; quos non solum effugit, sed etiam ipsos oppressit.Hadrumeti reliquos e fuga collegit; novis dilectibus paucis diebus multos contraxit.
Da qui, senza essere mai stato vinto, richiamato a difendere la patria, Annibale sostenne la guerra contro Publio Scipione figlio di quello Scipione che egli stesso, prima, aveva cacciato presso il Rodano, per la seconda volta sul Po e per la terza volta presso il Trebbia. Con questo, ormai esaurite le risorse della patria, vista la situazione del momento, volle porre fine alla guerra con lui per riprendere in seguito la battaglia in modo più valoroso. Si incontrò con lui per un colloquio, ma non si trovarono d’accordo sulle condizioni. A pochi giorni dopo questo fatto, combatté contro di lui a Zama: sconfitto – incredibile a dirsi - in due giorni e due notti giunse a Adrumeto (1). In questa fuga, i Numidi (2), che insieme a lui si erano anch’essi ritirati, gli tesero un’imboscata; non solo riuscì a sfuggire loro, ma riuscì perfino a sterminarli. Ad Adrumeto riunì quelli che erano rimasti dopo la fuga. In pochi giorni, radunò molti nuovi soldati, ricorrendo a nuove leve.(1) Città sulla costa orientale dell’odierna Tunisia, oggi chiamata Sussa.(2) I Numidi occupavano i territori ad occidente di Cartagine. Durante le guerre puniche, una parte si alleò con i Cartaginesi ed un’ altra con i Romani.
Antiqui rem tradiderunt non praetereundam silentio. Post pugnam Cannensem Hannibal, convocatis militibus Romanis quos ceperat, nuntiavit se iis redimendi copiam facere. Statuit igitur decem eorum deligi qui Romam ad senatum irent, iurati se redituros esse, nisi captivorum redemptio impetrata esset; tanta enim iuris iurandi vis erat, ut nullum aliud fidei pignus ab iis exigeretur. Cum autem ex castris exissent, unus ex iis, haud dubie homo ingenii minime Romani, iuris iurandi solvendi causa (per liberarsi dal giuramento) cum in castra redisset, ante noctem comites assecutus est.Cum senatus censuisset captivos non redimendos esse, quod strenui milites mortem fortiter obire deberent, miles ille domum abiit affirmans se, cum in castra iam redisset, iure iurando non teneri. At senatus iussit militem fraudolentum reduci vinctum ad Hannibalem. Captivi omnes aut perierunt interfecti variis suppliciis, aut venierunt.
Gli antichi tramandano un avvenimento che non deve passare in silenzio. Dopo lo scontro di Canne Annibale, chiamati i militari romani che aveva imprigionato, annunciò che avrebbe permesso loro di riscattare le truppe. Comandò quindi che venissero scelti dieci prigionieri, perché si dirigessero a Roma al Senato, promettendo che sarebbero ritornati se non avessero ottenuto l'affrancamento dei prigionieri; difatti tanta importanza era assegnata al giuramento, che nessun altra garanzia di fiducia era ricercata da essi. Dopo che furono usciti dalla tenda, uno di loro, che aveva molto poco dell'indole romana, ritornò nell'accampamento di nascosto per liberarsi del giuramento e prima di notte raggiunse i compagni. Quando poi il Senato decise di non dover liberare i prigionieri, siccome era compito dei militari romani sfidare la morte in modo coraggioso, quel militare tornò a casa dicendo che lui, essendosi già recato nella tenda, fu prosciolto dal giuramento; al contrario nulla, neppure le suppliche dei cari, poté evitare che gli altri andassero alla tenda dei Cartaginesi. Però il Senato comandò che il militare disonesto venisse condotto in catene da Annibale. Tutti i catturati morirono trafitti o da vari dolori oppure vennero venduti.
Si ad naturam vives, numquam eris pauper; si ad opiniones numquam eris dives. Exiguum naturam desiderat, opinio immensum. Congeratur in te quicquid multi locupletes possederant; ultra privatum pecuniae modum fortuna te provehat, auro tegat, purpura vestiat, eo deliciarum opumque perducat, ut terram marmoribus abscondas: non tantum habere tibi liceat, sed calcare divitias. Accedant statuae et picturae et quidquid ars ulla luxuriae elaboravit: maiora cupere ab his disces.Naturalia desideria finita sunt: ex falsa opinione nascentia non habent ubi desinant. Nullus enim terminus falso est. Viam eunti aliquid extremus est; error immensus est. Retrahe te a vanis, et cum voles scire utrum quod petes naturalem habeat an caecam cupiditatem, considera num possit alicubi consistere. Si tibi, longe progresso, semper aliquid longius restat, scito naturale non esse.
Se vivrai secondo natura, non sarai mai povero; se vivrai secondo le aspettative non sarai mai ricco. La natura richiede poco, l’aspettativa richiede l’immenso. Si accumuli nelle tue mani tutto ciò che molti ricchi avevano posseduto; la sorte ti spinga oltre il limite di ricchezza concesso ad un privato, ti ricopra di oro, ti vesta di porpora, ti spinga a tal punto di raffinatezze e di ricchezze che tu possa ricoprire la terra di marmo: ti sia lecito non soltanto possedere le ricchezze, ma calpestarle. Si aggiungano statue e dipinti e tutto ciò che qualche arte si è sforzata (di produrre) di lussuoso: da ciò imparerai soltanto a desiderare più cose. I desideri naturali sono limitati, quelli che nascono da false aspettative non hanno dove terminano. Il falso infatti non ha limiti. Per chi percorre un cammino alla fine c’è qualcosa (lett. “qualcosa è ultimo”); il vagare continuo è infinito. Allontanati dalle vanità, e quando vorresti sapere se ciò che brami contenga un desiderio naturale oppure cieco, considera se può fermarsi da qualche parte. Se, dopo essere molto avanzato, ti rimane sempre qualcosa di più lontano, sappi che non è naturale.
Multi homines annorum impetui resistunt et senectutis vitia et incommoda diligenti constantia compensant, contra aetatem tamquam contra morbum constanti nisu pugnant, valetudinem curant, exercitationes modicas adhibent, cibo et potui non indulgent. Quattuor robustos filios, quinque filias, magnam domum, magnum clientium numerum Appius Claudius, cum iam senes et caecus esset et magistratus gerere desiisset, tanta auctoritate regebat ut aspectu suo in omnes maximum metum et reverentiam iniceret.Nam animum semper intentum tamquam arcum habebat nec languescens cedebat senectuti, sed auctoritatem in suos quotidie exercebat. Neque tamen familiae vel servis vel vicinis invisus erat, sed ab omnibus laudabatur, quia non solum iussu et auctoritate sed aequitate domum regebat. In Appii domo vigebat Romana disciplina et patrii mores religiose servabantur, in senatu maxime valebat sententia tam severi senis. Ita usque ad ultimum spiritum domum suam maxima industria et laudabili auctoritate rexit.
Molti uomini resistono alla furia degli anni e bilanciano i vizi della vecchiaia e i difetti con una attenta costanza, invece lottano tanto l'età quanto il morbo con la fatica della costanza, curano la salute, svolgono modesti esercizi, non sono indulgenti alla fame e sete. Appio Claudio visto che era già anziano e cieco e aveva abbandonato la magistratura ,con tanta autorità reggeva che alla sua presenza tutti si mostravano con grande paura e rispetto. Difatti aveva sempre lo spirito intento tanto quanto curvo né si abbandonava alla vecchiaia ,però esercitava il suo potere sui suoi ogni giorno.E non era sgradito agli schiavi o ai vicini o alla famiglia,però era elogiato da tutti siccome non solo con controllo o autorità manteneva la dimora però pure con giustizia. Nella dimora di Appio governava l'educazione romana ed erano mantenuti in modo religioso le tradizioni degli antenati, valeva sopratutto in senato il giudizio tanto dura del vecchio. E in questo modo sino all'ultimo fiato guidò con lodevole autorità e con massima abilità la sua patria.
Ille, qui philosophiam in remedium suum exercuit, in gens animo fit, plenus fiduciae, inexsuperabilis et maior adeunti. Quod in magnis evenit montibus, quorum proceritas minus apparet longe intuentibus; cum accesseris, tunc manifestum fit, quo in arduo summa sint: talis est verus philosophus. In edito stat admirabilis, celsus, magnitidinis verae. Non exsurgit in plantas nec summis ambulat digitis eorum more, qui mendacio staturam adiuvant longioresque quam sunt videri volunt: contentus est magnitudine sua.Quidni contentus sit eo usque crevisse, quo manus fortuna non porrigit? Ergo et supra humana est et par sibi in omni statu rerum, sive secundo cursu vita procedit, sive fluctuantur et it per adversa ac difficilia.
Quello, che pratica la filosofia per un suo aiuto, diventa grande d’animo, pieno di sicurezza, insuperabile e più grande agli occhi di chi si rivolge a lui. Ciò accade con le grandi montagne, l’altezza delle quali sembra piccola a coloro che guardano da lontano; quando ti avvicini, allora diventa visibile quanto siano elevate in cima: tale è il vero filosofo. Sta in alto, ammirevole, sublime, di autentica grandezza. Non si solleva sulle piante, né cammina in punta di piedi a mo’ di quelli che aumentano la loro statura con l’inganno e vogliono sembrare più alti di quello che sono: è felice della sua altezza. Perché non è felice la fin dove è cresciuto, perché non tende la mano alla sorte? Dunque sia è superiore alle cose umane sia uguale a sé in ogni situazione, sia che la via proceda secondo il suo corso favorevole, sia che oscilli e vada attraverso difficoltà e avversità.
Socratem, qui permultos annos cives suos sapientiam docuit ipseque sanctissime vixit, Apollinis oraculum collaudavit, eum sapientissimum praedicans clara illa voce quam omnes didicimus: "Mortalium unus Socrates vere sapit". Ex quo magna in illum invidia conflata est quod stultitiae accusabat eos, qui de se supere et magnifice sentiebant, quorum in numero Anytus fuit. Hic enim, cum eum pigeret a Socrate increpari, Melito persuisit ut eum apud iudices accusaret quod iuvenes impietatem doceret et corrumperet.Quem non puduit tam turpia incitamenta sequi, haec ergo accusatio fuit: "Iura et leges patriae violat Socrates, negans esse illos deos, quos ex institutis maiorum suscepit civitas, alia vero daemonia esse docens". Socrates igitur, damnatus capite, in vincula coniectus est, ubi, cum multa et praeclara de animo disseruisset, cicutam bibere iussus est. Athenienses postea eius facti tantum paenituit ut Melitum ipsum morte puniret et Socratem aenea statua donarent.
L'oracolo di Apollo ricoprì di lode Socrate, che per molti anni insegnò il sapere ai suoi cittadini e egli stesso visse in modo integerrimo, definendolo il più sapiente in assoluto con quella famosa frase che tutti conosciamo: "Socrate tra i mortali è l'unico veramente saggio". Da questo nacque grande odio verso di lui, poichè lui accusava di sciocchezza coloro che si ritenevano in modo superbo e sontuoso, nel gran numero dei quali vi fu Anito. Egli infatti, infastidito di essere disturbato da Socrate, convinse Melito ad accusarlo presso i giudici poichè insegnava ai giovani l'empità e li corrompeva. Quello non si verognò di seeguire sollecitazioni tanto turpi, questa quindi fu l'accusa: "Socrate viola le norme e le leggi della patria, negando l'esistenza di quegli dei che lo stato ha ereditato dalle tradizioni degli avi, insegnando invece che vi sono altri demoni". Socrate dunque, condanato a morte, fu gettato in carcere dove, dopo aver fatto molte moltissime dissertazioni sull'anima, ricevette l'ordine di bere la cicuta. Gli Ateniesi dopo si pentirono di questo fatto a tal punto che punirono lo stesso Melito con la morte e dedicarono a Socrate una statua di bronzo.
Tali dum pugnatur modo lente atque paulatim proceditur crebroque ut sint auxilio suis subsistunt; ut tum accidit. Milia enim progressi IIII vehementiusque peragitati ab equitatu montem excelsum capiunt ibique una fronte contra hostem castra muniunt neque iumentis onera deponunt. Ubi Caesaris castra posita tabernaculaque constituta et dimissos equites pabulandi causa animum adverterunt sese subito proripiunt hora circiter sexta eiusdem diei et spem nacti morae discessu nostrorum equitum iter facere incipiunt.Qua re animum adversa Caesar refectis legionibus subsequitur praesidio impedimentis paucas cohortes relinquit; hora x subsequi pabulatores equitesque revocari iubet. Celeriter equitatus ad cotidianum itineris officium revertitur. Pugnatur acriter ad novissimum agmen adeo ut paene terga convertant compluresque milites etiam nonnulli centuriones interficiuntur. Instabat agmen Caesaris atque universum imminebat.
Quando ci si scontra in questo modo, si prosegue con calma, per corte distanza e spesso si sosta per donare soccorso ai compagni;allora così accadde. Difatti,in seguito aver proseguito quattro miglia,inseguiti senza sosta dalla cavalleria nemica,insidiano un monte alto e qua, senza togliere neanche la sacca alle bestie da soma,posizionano l'accampamento, rinforzandolo solo dal fianco dell' avversario. Nel momento in cui notarono che Cesare aveva posizionato l'accampamento e tirate le tele e mandata la cavalleria a trovare approvvigionamenti,loro, circa a mezzogiorno, all'istante si buttano fuori e, augurandosi in una sosta per il distacco della nostra cavalleria, iniziano a incamminarsi. Cesare, percependo la cosa, li rincorse con le legioni che si erano riposate e affidò a poche sentinelle i bagagli; dà il comando di pedinarlo alle ore sedici e di radunare i sostenitori e la cavalleria. All'istante la cavalleria torna al suo impiego giornaliero di fastidio durante il cammino. Si svolgono furiosi duelli con la retrovia siccome quella si diede alla ritirata e molti militari, eppure certi centurioni, furono trafitti. Tutto l'esercito di Cesare inseguiva stava dietro all'avversario.
Cum Bacchus in Indiam proficisceretur, Silenus, a quo deus educatus erat, aberravit a via. Midas rex eum hospitio accepit et ei ducem dedit qui eum ad Bacchum reduceret. Deus, ut gratiam referret Midae, potestatem ei dedit ut quidquid vellet a se peteret: Midas, pecuniae avidus, petivit ut, quidquid tetigisset, aurum fieret. Quod cum impetravisset, quidquid tetigeret aurum fiebat. Ubi pomum arbore dempsit, pomum aurum fit. Ubi manus liquidis undis lavit, unda manibus defluens aurum est.Ubi quid edere et bibere coepit, cibus et potus aurei fiunt: omnia auro splendent. Dives miserque Midas effugere cupit divitias quas antea optavit. Copia auri famem non relevat, guttum aridum siti cruciatur. Postremo ad coelum manus tollens: “Peccavi, - inquit – da veniam, Bacche, et specioso dono me libera”. Bacchus iussit eum in flumine Pactolo se abluere. Cum corpus Midae attigisset aquam fluminis, aquae color factus est aureus. Tum Midas dono pernicioso liberatus est.
Recandosi Bacco in India, Sileno, dal quale il dio era stato educato, perse la via. Il re Mida lo accolse con ospitalità e gli diede una guida che lo riconducesse da Bacco. Il dio, per ricambiare il favore a Mida, gli diede la facoltà di chiedergli qualunque cosa volesse: Mida, avido di denaro, chiese che, qualunque cosa avesse toccato, diventasse d'oro. Avendo ottenuto ciò, qualunque cosa aveva toccato, diventava d'oro. Appena coglie un frutto da un albero, il frutto diventa d'oro. Appena lava le mani con acqua corrente, l'acqua che defluisce dalle mani è d'oro. Appena comincia a mangiare e a bere qualcosa, il cibo e le bevande diventano d'oro: tutte le cose splendono d'oro. Il ricco e misero Mida desidera fuggire la ricchezza che prima desiderò. L'abbondanza di oro non allevia la fame, la gola secca è tormentata dalla sete. Infine sollevando le mani al cielo: “Ho peccato – disse – da' perdono, Bacco, e liberami dal dono pesante”. Bacco ordinò che si purificasse nel fiume Pattolo. Avendo il corpo di Mida toccato l'acqua del fiume, il colore dell'acqua diventò d'oro. Allora Mida fu liberato dal dono dannoso.
1) Corpora hominum pulchriora sunt quam animalium2) Nihil est virtute pulchrius.3) Vilius argentum est auro, virtutibus aurum.4) Vita turpis miserior est quam mors honesta.5) Quid in homine ratione divinius?6) Pauper miser est; avarus tamen paupere miserior.7) Saepe beneficium facere quam accipere gratius est.8) Nihil est patria carius, nihil vera gloria dulcius.9) Verba hominum interdum caducis foliis leviora sunt.10) Ignoratio futurorum malorum utilior est quam scientia.11) Nihil est tam volucre quam maledictum.12) Minus est quam servus dominus qui servos timet.13) Vere atque autumno noctes sunt longae aeque ac dies.14) O fons Bandusiae splendidior vitro!15) Autumnus minus iucundus est quam ver.16) Achilles fortior erat quam prudentior.17) Gravior est inimicus qui latet in pectore.18) Secundam partem mihi tribuetis, quia sum fortior.19) Acrior oculorum sensus quam aurium est.20) Tanto fortiores erant barbari quanto atrocior pugna pro libertate.21) Tutius est certa pax quam sperata victoria.22) Bona opinio tutior pecunia est.23) Nihil est amabilius officio tuo.24) Dolor animi gravior est quam corporis.
1) I corpi degli uomini sonio più belli dei corpi degli animali.2) Nulla è più bello della virtù.3) L’argento è inferiore all’oro, l’oro alla virtù.4) Una vita turpe è più misera di una morte onesta.5) Che cosa c’è nell'uomo di più divino della ragione?6) Il povero è infelice; tuttavia l’avaro è più infelice del povero.7) Spesso fare un favore è più gradito che riceverlo.8) Niente è più caro della patria, niente è più dolce della vera gloria.9) Qualche volta le parole degli uomini sono più insignificanti delle foglie cadute.10) L’ignoranza dei mali futuri è più utile del sapere.11) Nessuna cosa è così veloce quanto la calunnia.12) Vale meno di un servo il padrone che teme i servi .13) In primavera e in autunno le notti sono lunghe quanto i giorni.14) Oh fonte Bandusia più splendente del cristallo!15) L’autunno è meno piacevole della primavera.16) Achille era più valoroso che prudente.17) Assai pericoloso è il nemico che si nasconde nel cuore.18) Mi assegnate la seconda parte perché sono più forte.19) Il senso della vista è più acuto di quello dell’udito.20) I barbari erano tanto più forti quanto più era atroce la guerra per la libertà.21) E’ più sicura una pace certa di una vittoria sperata.22) Una buona opinione è più sicura del denaro.23) Nulla è più gradito della tua cortesia.24) Il dolore dell’animo è più profondo di quello del corpo.
Sapiens quidem, ut ait Epicurus, se ipso contentus est, mi Lucili; sed tamen et amicum habere vult et vicinum et contubernalem, quamvis sibi ipse sufficiat. Atque ita ille se contentus est: si quid illi deest, non desiderat. Sed id deesse non mavult! Sic ergo sine amico esse potest, sed certe non vult. Atque habere amicum vult non ( quod ait Epicurus ), ut habeat qui sibi aegro adsideat; sed ut habeat aliquem cui ipse aegro adsideat. Qui se spectat et propter hoc ad amicitiam venit, male cogitat: sibi parare voluit amicum laturum opem ad versus vincula, at ille discedet, ubi primum catenae sunum audiverit.Hae sunt amicitiae quae “ temporarias “ populus appellat: amicus qui assumptus est utilitatis causa, tamdiu placebit quamdiu utilis fuerit. Quare amico rum turba saepe nomine fiorente circumsedet; solitudo autem est circa eos qui bona sua amiserunt. Necesse est initia et exitus se congruant: qui amicus esse coepit quia utilis est, quemadmodum coepit, sic desinet. Aufert igitur amicitiae maiestatem suam, qui illam parat ad bonos casus
Certamente il saggio, come dice Epicuro, è felice con se stesso, o mio Lucilio; ma tuttavia sia vuole avere un amico sia un vicino sia un familiare, sebbene egli basti a se stesso. E così costui è contento: se gli manca qualcosa, non la desidera. Ma non preferisce che ciò gli manchi! Così dunque può vivere senza amico ma di sicuro non lo vuole. E non vuole avere un amico (ciò diceva Epicuro), per avere qualcuno che gli stia accanto quando è ammalato; ma per avere qualcuno a cui ammalato egli stesso stia accanto. Quello pensa al suo interesse e perciò stringe amicizia, pensa male: vuole preparare per se un amico che nasconde il suo aiuto contro le catene, ma quello se ne va, non appena sente il suono delle catene. Queste sono le amicizie che il popolo chiama opportunistiche: un amico che è accolto per la sua utilità, per tanto tempo sarà gradito per quanto tempo sarà utile. Perciò un gran numero di amici spesso sta intorno agli uomini che eccellono; la solitudine invece è intorno a quegli uomini che persero i loro beni. È necessario che l’inizio e la fine coincidano fra di loro: chi inizia a diventare amico perché è utile, come inizia, così finisce. Dunque porta via la sua grandezza all’amicizia, che prepara quella alla morte dei buoni.
Cum acerrime comminus pugnaretur, L. Fabius centurio et qui una murum ascenderant circumventi atque interfecti de muro precipitabantur. M. Petronius, eiusdem legionis centurio, cum portas excidere conatus esset, a multitudine oppressus ac sibi desperans multis iam vulneribus acceptis, manipularibus suis, qui illum erant secuti 'Quoniam' inquit 'me una vobiscum servare non possum, vestrae quidem certe vitae prospiciam, quos cupiditate gloriae adductus in periculum deduxi.Vos data facultate vobis consulite.' Simul in medios hostes inrupit duobusque interfectis reliquos a porta paulum submovit. Conantibus auxiliari suis 'Frustra' inquit 'meae vitae subvenire conamini, quem iam sanguis viresque deficiunt. Proinde abite, dum est facultas, vosque ad legionem recipite.' Ita pugnans post paulo concidit ac suis saluti fuit.
Combattendo violentemente corpo a corpo, il centurione Fabio e coloro che avevano salito insieme il muro circondati e uccisi cadevano dal muro. Petronio, un centurione della sua legione, avendo tentato di sfondare le porte, schiacciato dalla moltitudine e disperando della sua vita, ricevute ormai molte ferite, ai suoi soldati, che lo avevano seguito, disse: “Poiché non posso salvarmi insieme a voi, provvederò sicuramente alla vostra vita, a voi che, spinti dal desiderio di gloria, ho condotto nel pericolo. Voi, visto che c’è la possibilità, decidete per voi”. Nello stesso tempo irruppe in mezzo ai nemici ed, dopo averne uccisi due, allontanò un poco gli altri dalla porta. Accingendosi i suoi a portargli aiuto, disse: “Inutilmente tentate di venire in aiuto della mia vita; ormai, infatti, il sangue e le forze mi abbandonano. Quindi, allontanatevi, finché c’è la possibilità, e ritornate alla legione”. Così, combattendo, poco dopo morì e i suoi furono salvi (i suoi ebbero la salvezza).
Caesari nuntiatur Sulmonenses, quod oppidum a Corfinio septem milium intervallo abest, cupere ea facere, quae vellet, sed a Q. Lucretio senatore et Attio Paeligno prohiberi, qui id oppidum septem cohortium praesidio tenebant. Mittit eo M. Antonium cum cohortibus quinque. Sulmonenses simulatque signa nostra viderunt, portas aperuerunt universique, et oppidani et milites, obviam gratulantes Antonio exierunt. Lucretius et Attius de muro se deiecerunt.Attius ad Antonium deductus petit ut ad Caesarem mitteretur. Antonius cum cohortibus et Attio eodem die, quo profectus erat, revertitur. Caesar eas cohortes cum exercitu suo coniunxit Attiumque incolumem dimisit. Caesar primis diebus castra magnis operibus munire reliquasque copias exspectare instituit. Eo triduo legio octava ad eum venit cohortesque ex novis Galliae dilectibus equitesque ab rege Norico. Quorum adventu altera castra ad alteram oppidi partem ponit; his castris Curionem praefecit.
A Cesare fu annunciato che gli abitanti di Sulmona, la città dei quali dista sette miglia da Corfino, desideravano fare ciò che voleva ma che ne erano impediti dal senatore Quinto Lucrezio e Accio Peligno, che presidiavano quella città con sette coorti. Inviò lì Marco Antonio con sette coorti. Gli abitanti di Sulmona, come videro i nostri vessilli, aprirono le porte a tutti, sia agli abitanti sia ai soldati, andavano incontro a Antonio rallegrati. Lucrezio ed Accio si gettarono dal muro. Accio portato alla presenza di Antonio, chiese che fosse mandato alla presenza di Cesare. Antonio con le corti ed Accio ritornò nello stesso giorno in cui era partito. Cesare unì quelle coorti con il suo esercito e lasciò Accio illeso. Cesare nei primi giorni ordinò di munire l’accampamento con grandi opere e di attendere le altre truppe. Nel terzo giorno la legione ottava giunse da lui e le coorti dei suoi arruolamenti della Gallia e i cavalieri del re Norico. Dopo l’arrivo di quelli pose un altro accampamento in un'altra parte della città; mise a capo di questo accampamento Curione.
Orestes Agamemnonis et Clytaemnestrae filius postquam in puberem aetatem venit, studebat patris sui mortem exsequi; itaque consilium capit cum Pylade et Mycenas venit ad matrem Clytaemnestram, dicitque se Aeolium hospitem esse nuntiatque Orestem esse mortuum, quem Aegisthus populo necandum demandaverat. Nec multo post Pylades Strophii filius ad Clytaemnestram venit urnamque secum affert dicitque ossa Orestis condita esse; quos Aegisthus laetabundus hospitio recepit.Qui occasione capta Orestes cum Pylade noctu Clytaemnestram matrem et Aegisthum interficiunt. Quem Tyndareus cum accusaret, Oresti a Mycenensibus fuga data est propter patrem; quem postea furiae matris exagitarunt.
Quando Oreste, figlio di Agamennone e di Clitemnestra, arrivò alla pubertà, desiderava vendicare la morte di suo padre; quindi creò un piano con Pilade, andò a Micene dalla madre Clitemnestra, e affermò di essere un forestiero arrivato dall’Eolia e le annunciò che era morto Oreste, che Egisto aveva chiesto di uccidere alla popolazione. Non molto tempo dopo Pilade, figlio di Strofio, si mostrò a Clitemnestra tenendo con se un’urna e affermò che codesta portava le ossa di Oreste; Egisto, tutto felice, accolse in modo ospitale tutte e due. Cogliendo l’opportunità, Oreste uccise nottetempo, con il sostegno di Pilade, la madre Clitemnestra ed Egisto. Portandolo Tindaro in giudizio, gli abitanti di Micene ammetterono a Oreste di andare in esilio, per suo padre; venne inseguito dalle Furie della madre.
Hac pugna pugnata Romam profectus est nullo resistente. In propinquis urbi montibus moratus est. Cum aliquot ibi dies castra habuisset et Capuam reverteretur, Q. Fabius Maximus, dictator Romanus, in agro Falerno ei se obiecit. Hic clausus locorum angustiis noctu sine ullo detrimento exercitus se expedivit; Fabioque, callidissimo imperatori, dedit verba. Namque obducta nocte sarmenta in cornibus iuvencorum deligata incendit eiusque generis multitudinem magnam dispalatam immisit.Quo repentino obiecto visu tantum terrorem iniecit exercitui Romanorum, ut egredi extra vallum nemo sit ausus. Hanc post rem gestam non ita multis diebus M. Minucium Rufum, magistrum equitum pari ac dictatorem imperio, dolo productum in proelium fugavit. Tiberium Sempronium Gracchum, iterum consulem, in Lucanis absens in insidias inductum sustulit. M. Claudium Marcellum, quinquies consulem, apud Venusiam pari modo interfecit. Longum est omnia enumerare proelia. Quare hoc unum satis erit dictum, ex quo intellegi possit, quantus ille fuerit: quamdiu in Italia fuit, nemo ei in acie restitit, nemo adversus eum post Cannensem pugnam in campo castra posuit.
Combattuta questa battaglia si diresse verso Roma senza nessuna ostilità.Si fermò sulle montagne accanto alla città. Avendo avuto lì l'accampamento per diversi giorni e tornando a Capua, Q. F. Massimo, dittatore Romano, gli si oppose nella terra di Falerno. Qui sebbene chiuso nella ristrettezza dei luoghi di notte scappò senza alcun danno all'esercito; e si beffò di Fabio ingegnosissimo comandante. Infatti giunta la notte diede fuoco a dei cespi legati sulle corna di del giovane bue e gettò così una grande moltitudine disordinata. Con questa idea che era intervenuta diede così molto spavento all'esercito romano, tale che nessuno ebbe il coraggio di uscire al di fuori della fortificazione. Allora non tanti giorni dopo questa impresa obbligò alla fuga Marco Minucio Rufo, capo della cavalleria e con lo stesso potere del dittatore, attratto alla battaglia con l'inganno. T. S. Gracco, due volte console, distante in Lucania trafisse attirato in un’insidia. M. C. Marcello, cinque volte console,che uccise presso Venusia. È lungo numerare ogni battaglie. Per ciò sarà abbastanza dirne uno solo, dal quale si possa comprendere, quanto quello che sarà stato: per quanto tempo lui fu in Italia, nessuno gli resistette in battaglia, nessuno contro di lui dopo la battaglia di Canne pose l'accampamento in un territorio aperto.
Alexander sollemni die amicos in convivium convocat. Ubi orta inter ebrios rerum a Philippo gestarum mentione,ipse se patri praeferre rerumque suarum magnitudinem extollere caelo tenus coepit, adsentante maiore convivarum parte. Itaque cum unus e senibus, Clitus, fiducia amicitiae regis, memoriam Philippi tueretur laudaretque eius res gestas, adeo regem offendit ut ille, telo a satellite rapto, Clitum in convivio trucidaret. Sed postquam satiatus caede animus conquievit et in irae locum successit aestimatio, modo personam occisi.modo causam occidendi considerans, pigere eum facti coepit. Eodem igitur furore in paenitentiam, quo pridem in iram, versus, mori voluit. Primum in fletus progressus, amplecti coepit mortuum, vulnera tractare et quasi audienti confiteri dementiam; denique arreptum telum in se vertit, peregissetque facinus, nisi amici intervenissent. Mansit haec voluntas moriendi etiam sequentibus diebus. Accesserat enim paenitentiae nutricis suae, sororis Cliti, recordatio, cuius absentis eum maxime pudebat: tam foedam illi alimentorum suorum mercedem reddiderat. Ob haec illi quadriduo perseverata inedia est, donec exercitus universi precibus exoratus est ne ita mortem unius doleret ut universos perderet.
Alessandro, in un giorno solenne, invitò i suoi amici al banchetto, dove, fra l'ubriachezza generale, essendo spuntato il discorso sulle imprese realizzate da Filippo, cominciò a ritenersi migliore a suo padre e ad alzare fino al cielo la grandezza delle proprie imprese, tra il consenso devoto della maggior parte dei invitati. Così, quando uno degli anziani, Clito, credendo nell'amicizia che lo legava al re, il quale lo aveva in grande considerazione, prese le difese della memoria di Filippo e le lodi delle sue imprese, a tal punto irritò il re che, sottratto ad una guardia del corpo un pugnale, trafisse lo stesso Clito nel bel mezzo del banchetto. Però, dopo essersi tranquillizzato, appagando l'animo con la strage,e dopo che la stima prese il posto dell'ira, cominciò a pentirsi di quello che aveva fatto. perciò voleva uccidersi, spinto dal pentimento da quella stessa violenta passionalità che poco prima l'aveva portato all'ira. Prima, scoppiato in lacrime, iniziò ad abbracciare con amore il cadavere, a valutarne le ferite mortali e ad ammettere la propria precipitazione; poi afferrata un arma la rivolse a sè, e avrebbe commesso una scelleratezza, se non fossero intervenuto i suoi amici. Questo desiderio di morire continuò anche nei giorni successivi. Infatti, al pentimento si era aggiunto il ricordo della sua balia, sorella di Clito, della cui morte si vergognava soprattutto perché le aveva dato una ricompensa così crudele ed ingrata al suo allevamento. Per questo, per quattro giorni,continuò il suo digiuno tormentandosi per la morte di un unico uomo a tal punto da mandare ciascuno in rovina.
Quid peregrinatio prodesse cuiquam potuit? Non voluptates peregrinatio temperavit, non cupiditates refrenavit, non iras repressit, non indomitos amoris impetus fregit, nulla denique animo mala eduxit. Numquam peregrinatio mentis errorem discutit, sed brevi tempore aliqua novitate viatorem detinet, quasi puer esset qui ignota conspiciat. Ceterum inconstatiam mentis lacessit ista iactatio, mobiliorem levioremque animum reddit. Itaque plerique cupide deserunt ea loca quae ante cupidissime petebant; avium more trasvolant atque ex locis abeunti citium quam venerant.Perigratio notizia dabit gentium, novas tibi, montium formas ostendet, invisitata spatia camporum et inriguas perrennibus aquis valles monstrabit. Sed animum neque meliorem facit neque saniorem. Quamdiu nescieveris quid fugere debba quid petere, quid necessarium sit, quid supervacuum, quid iustum sit, quid honostum, nihil, ne peregrinatio quidem, tibi utile erit. Vitia tua tecum sunt, ubique te premunt atque uruunt! Nullum tibi auxilium feret iste discursus. Putasne enim animum locorum mutationem sanari posse! Nullum iter est, mihi crede, quod te extra cupidatates, extra iras, extra metus sistat. Te igitur emenda, onera tibi detrahe et desideria intra salutarem modum conditione; omnem ex animo erade nequizia.
In che cosa un viaggio potrebbe giovare a qualcuno? Il viaggio non dominò i piaceri, non frenò i desideri, non trattenette le ire, non fiaccò gli sfrenati impulsi dell’amore, in fin dei conti nessun male fa uscire dall’animo! Mai un viaggio dissipò lo sbaglio della mente, ma in un breve tempo con qualche novità intrattiene il viaggiatore, come se fosse un bambino che vede luoghi sconosciuti. Invece questa agitazione provoca l’instabilità della mente, rende l’animo più mutevole e leggero. Dunque i più con piacere quei luoghi che prima con grandissimo entusiasmo cercavano; a mo’ di uccelli volano qua e là e se ne vanno da un luogo più presto di quanto erano giunti. Il viaggio darà conoscenza delle genti, ti mostrerà insolite conformazioni dei monti, ti mostrerà nuove superfici di campi e valli bagnate da acque perenni. Ma non fa l’animo né migliore né più sano. Anche se tu non sai che cosa devi fuggire, cosa devi cercare, che cosa sia necessario, superfluo, giusto, onesto, nulla ti sarà utile, né di sicuro il viaggio. I vizi sono con te, dovunque ti opprimono e ti tormentano. Questo correre qua e là non ti porterà nessun aiuto. Forse che credi infatti che si possa sanare l’animo cambiando luogo? Credimi, non c’è nessun viaggio che ti collochi fuori dai desideri, dalle ire, dalle paure. Dunque correggiti, togliti i pesi e trattieni i desideri in modo salutare. Sradica dal tuo animo ogni traccia di malvagità.
Post crebras diutinasque contentiones Octavianus atque Antonius, Romani duumviri, foedus societatemque patraverunt. Octavianus Italiam Hispaniamque obtinuerat, Antonio contigerat Orientis regionum imperium. Octavianus claris operibus vitaeque integritate civium admirationem excitabat. Antonius Alexadriae domicilium constituerat atque inter divitiarum illecebras molliter vivebat cum Cleopatram. Aegypti domina. Praeterea Cleopatrae amore atque impulsu Romano imperio interitum parabat.Senatus igitur, Octaviani iussu, bellum Antonio Aegyptique reginae indixit.
Dopo continue e lunghe contese Ottaviano e Antonio, magistrati romani, strinsero un accordo e una collaborazione. Ottaviano aveva guadagnato l'Italia e Spagna, ad Antonio era spettato il dominio sulle regioni d'oriente. Ottaviano eccitava la stima dei cittadini per celebri opere e moralità di vita. Antonio aveva edificato la dimora ad Alessandria e viveva mollemente tra tra le lusinghe delle ricchezze con Cleopatra, padrona d'Egitto. Ancora spinto dall'amore di Cleopatra organizzava l'attacco all'impero romano. Il senato quindi, su comando di Ottaviano, fece guerra ad Antonio e alla regina d'Egitto.
Demosthenes, causam agens, cum iudices minime attentos videret: "Paulisper -dixit- aures mihi praebete; rem vobis novam narrabo". Cum aures illi adrexissent aut animos intendissent sic locutus est: "Iuvenis quidam Athenis Megaram profecturus asinum conduxerat, quo utebatur. In itinere, cum sol ureret adeo ut progredi non possent, neque esset umbraculum, quo tegeretur, clitellas deposuit et ad umbram asini consendit, ut eius corpore tegeretur. Sed agaso irascitur, clamans se asinum tantum locatum esse, non umbram eius".Haec locutus Demosthenes, cum homines diligentissime audientes videret, egressus est. Tum revocatus a iudicibus et rogatus ut prosequeretur et reliquam fabulam enarraret: "Quid? -dixit- de asini umbra libet audire, hominis de vita periclitantis causam non auditis?"
Demostene, dibattendo una causa, vedendo che i giudici erano poco concentrati disse: " Datemi un po' di considerazione, vi dirò una cosa nuova". Avendo alzato le orecchie quelli e avendo preparato gli animi, così parlò: " Un adolescente ateniese era sul punto di salpare per Megara aveva portato un asino, che aveva affitato. Durante il viaggio, poichè il sole ardeva talmente tanto da non poter andare avanti, e non essendoci ombra, in cui rifugiarsi, posò il soma e si mise all'ombra dell'asino, per essere protetto dal suo corpo. Però il palafreniere si arrabbiò, portando a sè l'asino dicendo di aver posto in affitto l'asino e non la sua ombra". Demostene affermando codeste cose, osservando gli uomini che udivano molto scrupolosamente, se ne andò. Così richiamato dai giudici e gli fu chiesto di continuare raccontò il resto della storia: "Cosa? - affermò - preferite sentire dell'ombra dell'asino, e non udite la causa di un uomo e della sua vita e i suoi diritti?".
Lucretia maesta tanto malo nuntium Romam ad patrem Ardeamque ad virum mittit, ut cum singulis fidelibus amicis veniant: rem atrocem incidisse. Sp. Lucretius cum P. Valerio, Conlatinus cum Iuinio Bruto venit.Lucretiam sedentem maestam in cubiculo inveniunt. Adeventu suorum licrimae obortae, quaerentique viro: “Satis salve?” “Minime - inquit. – Quind enim salvi et mulieri amissā pudicitiā? Vestigia viri alieni, Conlatine, in lecto sunt tuo; cenerume corpus est tantum violatum, animus insons; mors testis erit.Sed date dexteras fidemque haud impune adultero fore”. Dant omnes fidem ; consolantur aegram : mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse.« Vos – inquit – videritis quid illi debeatur : ego me etsi peccato absolvo, supplicio non libero ; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo vivet. »Cultrum quem sub veste abditum habebat, eum in corde defigit, prolapsaque in vulnus moribunda cecidit. Conclamat vir paterque.
Lucrezia, afflitta da una così grave sciagura, manda un ambasciatore a Roma, dal padre e a Ardea, dal marito, affinché ciascuno (dei due) venga con degli amici fidati: [disse che era ] accaduta una cosa atroce. Spurio Valerio Lucrezio arrivò con Publio Valerio e Collatino con Lucio Giunio Bruto.Trovarono Lucrezia afflitta, seduta in camera da letto. Messasi a piangere al loro arrivo, al marito che le domandava “Stai bene?”, rispose: “Per nulla. Che bene ci può essere per una donna che ha perso la sua pudicizia? O Collatino, le tracce di un uomo estraneo a me (di un altro uomo) sono nel tuo letto; del resto, soltanto il corpo è violato, lo spirito è innocente; la morte ne sarà testimone. Ma datemi la vostra mano e la vostra parola, l’adultero non resterà impunito”. Tutti danno la [propria] parola; consolano l’afflitta: [dicono che] è la mente a peccare e non il corpo, e poiché manca l’intenzione non c’è alcuna colpa.“Vedrete voi – disse – che cosa gli dovrà essere fatto: io, sebbene mi assolva dal peccato, non mi libero dal supplizio; e perciò nessuna donna vivrà con l’esempio di Lucrezia”.Si conficcò nel cuore il coltello che si era nascosto sotto la veste e accasciandosi sulla ferita, cadde a terra esanime. Fra le urla del padre e del marito.
Ranae, cum in liberis paludibus viverent, clamore magno regem ab love petiverunt ut vi mores moderaret. Pater deorum risit atque illis dedit parvum tigillum: id subito terruit pavidum ranarum genus. Sed cum ranae, timore posito, regem inertem vidissent, iterum ad lovem venerunt alium regem petitum. Tum luppiter misit illis hydrum: hic dente aspero ranas corripuit et frustra ranae mortem fugiebant quia novus et terribilis rex omnes vorabat. Sed luppiter ranis stultis dixit: "Quia non amavistis pristinum bonum, nunc malum habete".
Le rane che vivevano libere nella palude desideravano frenare i costumi della loro repubblica, perciò chiesero un re a Giove. Il dio mandò loro un piccolo pezzo di legno. Questo cadde subito nello stagno e atterrì le rane con il suo rumore. ma poco dopo, quelle ricevettero l'anima e dissero: "codesto re è ridicolo e inutile" per quel motivo chiesero un altro re a giove. Il padre degli dei mandò a quelle un serpente acquatico: subito questo con aspro dente divorò le rane. Le rane per questo non sopportavano il male e chiesero aiuto a Giove. Allora Giove: "questo male" disse "vi è degno: infatti rifiutaste il bene!"
Pauper agricola in parva casa haud procul a divitis argentarii villa habitabat. Argentarius homo improbus divitiarumque cupidus, agricolae praediolum vi occupavit, ut fundum suum augeret. Agricola igitur, ut gellum suum recuperaret, iniustum vicinum in iudicium vocare non dubitavit. Sed argentarius centum nummos iudici donavit, ut eius benevolentiam captaret. Praterea curavit ut multos testes, pecunia subornatos, arcesseret ut in causa sibi magno auxilio essent.Agricolae autem ne unus quidem testis erat, quia omnes vicini potentiam superbi argentarii valde timebant. Miser igitur homo multis cum lacrimis iudicem orabat ne iniurias adversarii neglegeret et sua iura confirmaret. Iudex, gravis atque integer vir, nummos, quos ab argentario dono habuerat, ostendens: "Noli timere; - inquit - tibi petenti ius reddetur. Ipse adversarius tuus centum testes in iudicium dedit, qui causam tuam confirmant. Agellum igitur tuum servabis."
Un misero contadino abitava in una piccola dimora non distante dalla villa di un ricco banchiere. Il banchiere, un uomo cattivo e bramoso di pecunie, occupò con prepotenza il suolo dell’agricoltore, per aumentare il suo territorio. Allora il contadino per riottenere il suo orto, non esitò a chiamare in tribunale il suo scorretto vicino. Però il banchiere diede cento monete al giudice per acquistare la sua benevolenza. In più si preoccupò di citare parecchi testimoni, corrotti dal denaro, perché gli fossero di enorme sostegno nella causa. Però il contadino non era il solo testimone, siccome tutti i confinanti avevano parecchia paura della forza del superbo banchiere. Quindi il misero uomo pregava con parecchie lacrime il giudice, perché non dimenticasse le scorrettezze del nemico e che confermasse il suo diritto. Il giudice, uomo morale e severo, mettendo in mostra le monete che aveva ottenuto in regalo dal banchiere, disse: “Non aver paura il diritto di avere ti è stato ridato. Lo stesso tuo nemico diede in giudizio cento testimoni, che accertarono la tua causa. Quindi manterrai il tuo orto.
Memoria teneo solitum ipsum narrare se prima in iuventa studium philosophiae acrius, ultra quam concessum Romano ac senatori, hausisse, ni prudentia matris incensum ac flagrantem animum coercuisset. Scilicet sublime et erectum ingenium pulchritudinem ac speciem magnae excelsaeque gloriae vehementius quam caute adpetebat. Mox mitigavit ratio et aetas, retinuitque, quod est difficillimum, ex sapientia modum. Prima castrorum rudimenta in Britannia Suetonio Paulino, diligenti ac moderato duci, adprobavit, electus quem contubernio aestimaret.Nec Agricola licenter, more iuvenum qui militiam in lasciviam vertunt, neque segniter ad voluptates et commeatus titulum tribunatus et inscitiam rettulit: sed noscere provinciam, nosci exercitui, discere a peritis, sequi optimos, nihil adpetere in iactationem, nihil ob formidinem recusare, simulque et anxius et intentus agere.
Ricordo che lui stesso era solito raccontare di aver attinto nella prima gioventù allo studio della filosofia energicamente, più di quanto fosse concesso a un romano o a un senatore, se la saggezza della madre non avesse frenato l’animo ardente e ambizioso. Senza dubbio il suo animo nobile ed elevato desiderava il pregio e il lustro di una grande ed eccelsa gloria più violentemente che prudentemente. Poi, la ragione e l’età (lo) calmarono, e lo frenarono, cosa che è difficilissima, e trattennero una misura dal buon senso. Esercitò il suo noviziato militare in Britannia in modo che ebbe l’approvazione di Svetonio Paolino, comandante coscienzioso e prudente, scelto perché potesse rendersi conto del suo valore vivendo in tenda con lui. Ma Agricola, non sfacciatamente, secondo il modo dei giovani che trasformano il servizio militare in licenziosità, né pigramente, non riportò verso i piaceri e il congedo la fama del tribunato e l’inesperienza: ma conosceva la regione, si faceva conoscere dall’esercito, apprendeva dagli esperti, seguiva i migliori, non cercava nulla nell’ostentazione, non rifiutava nulla per paura, e operava contemporaneamente con vigilanza e diligenza.
Maiores nostri, Quirites, qui essent dii, quos iustra religione coleremus, statuerunt; at nunc novi dii pravis et externis religionibus captas mentes, velut furialibus stimulis, ad omne scelus et ad omnem libidinem agunt. Bacchanalia tota iam pridem Italia et nunc per urbem etiam multis locis esse non fama modo accepistis, sed crepitibus et alii deorum aliquem cultum, alii concessum ludum esse creditis. Quo ad multitudinemm eorum attinet, si dixero multa milia hominum esse, si qui qualesque sint adiunxero, necesse est exterreamini.Primum igitur mulierum magna pars est, deinde simillimi feminis amres, fanatici et vigiles vino, strepitibus clamorisbusque nocturnis attoniti. Minus tamen essent si effeminati tantum essent, sed a facinoribus manus et mentes abstinuissent. Quidquid his annis libidine, quidquid scelere peccatum est, ex illo uno sacrario scitote ortum esse. Crescit et serpit quotidie malum: iam maius est quam ut capere id privata fortuna possit: ad summam rem publicam spectat.
Quali sono le divinità da venerare secondo la religione ufficiale lo stabilirono i nostri antenati, o Quiriti; ma ora nuove divinità spingono a ogni delitto e a ogni licenza le menti rese pazze da nuove e depravate forme di culto, quasi come da stimoli delle Furie. Che prima in tutta Italia e ora anche per la città in molti luoghi ci fossero baccanali lo avete saputo non solo dalle dicerie ma anche dal fracasso e dalle grida notturne, che risuonano per tutta la città, e pensate alcuni che sia qualche culto degli dei, altri che sia un divertimento legittimo. Per quanto riguarda il numero di questa gente, se dirò che sono molte migliaia di persone e se poi aggiungerò di quale pasta siano, è inevitabile che ne siate spaventati. In primo luogo in gran parte sono donne e poi maschi non molto diversi dalle donne, invasati e tenuti svegli dal vino, frenetici per il baccano e i clamori notturni. E il male sarebbe limitato se fossero solo effeminati, ma tenessero lontane da azioni criminose le mani e le menti. Ogni eccesso di licenza o di criminalità di questi anni sappiate che ha origine solo nella celebrazione di quei riti. E’ un male che cresce e serpeggia ogni giorno: ormai è già troppo grande perché possa essere contenuto nella sfera privata: riguarda i vertici dello stato.
Perturbat me longa et pertinax valetudo Titi Aristonis, quem singulariter et miror et diligo. Nihil est enim illo gravior sanctior doctior. Quam peritus ille et privati iuris et publici! quantum rerum, quantum exemplorum novit! Nihil est quod discere velis quod ille docere non possit; mihi certe quotiens aliquid novique scire cupio, ille thesaurus est. Itaque et mea et omnium amicorum permagni interest, ut ille convalescat. Mirareris, si hic esses quanta constantia hanc valetudinem teleret, ut doloris patiens sit, ut compos sui.Vir enim tantae fortitudinis est, ut nullo cruciatu frangatur. Itaque, etsi scio sapiens esse doloreti ferre,hanc animi magnitudine vehementer admiros.
Mi preoccupa la lunga malattia di Tito Aristone, il quale apprezzo altamente e stimo fortemente. Nessuno è infatti più autorevole, più onesto, più dotto di lui!Quanto è esperto di autorità privata e pubblica!Quante cose, quanti esempi ha trasformato! Niente è ciò che tu voglia imparare, che egli non possa insegnare: almeno per me, ogni volta desidero conoscere qualcosa di sconosciuto e di nuovo, quello è un tesoro. Pertanto, sia per me sia per tutti gli altri amici, importa tantissimo che lui guarisca. Si meraviglia se fosse questo, con quanta costanza tollera questa malattia, come sia paziente al dolore, come padrone di sè. L'uomo infatti è di tanto coraggio, che a nessun dolore è indebolito. Pertanto, sebbene conosco essere del sapiente, sopportare il dolore, ammiro questo per la grandezza d'animo.
Igitur initio reges--nam in terris nomen imperii id primum fuit--diversi pars ingenium alii corpus exercebant: etiam tum vita hominum sine cupiditate agitabatur; sua cuique satis placebant. Postea vero quam in Asia Cyrus in Graecia Lacedaemonii et Athenienses coepere urbis atque nationes subigere libidinem dominandi causam belli habere maximam gloriam in maximo imperio putare tum demum periculo atque negotiis compertum est in bello plurimum ingenium posse.Quod si regum atque imperatorum animi virtus in pace ita ut in bello valeret aequabilius atque constantius sese res humanae haberent neque aliud alio ferri neque mutari ac misceri omnia cerneres.
Quindi all'inizio i re -infatti sulla terra questo fu il primo titolo del potere - secondo pareri diversi alcuni utilizzavano furbizie,altri la forza fisica;così la vita degli uomini passava senza bramosia; a ognuno bastava il proprio.In seguito però,mentre in Asia Ciro, in Grecia gli Spartani e gli Ateniesi,iniziarono a sottomettere popoli e città,a credere che la massima gloria stesse nel potere più esteso,così infine alla verifica dell'accaduto si individuò che in guerra l'egemonia spetta all'intelligenza.Che se la forza d'animo di re e generali valesse allo stesso modo in pace come in guerra,i fatti umani si numererebbero con maggior stabilità e regolarità,non scorgeresti ogni cosa cambiare e confondersi.
Romulus, patre Marte natus, cum Remo fratre dicitur ab Amulio, rege Albano, ob timorem infausti oraculi, apud Tiberim expositus esse.Quo in loco cum sustentatus esset silvestris beluae uberibus pastoresque eum sustulissent et in agresti cultu laboreque aluissent, perhibetur corporis viribus et animi ferocitate tantum ceteris praestisse ut omnes, qui tum eos agros incolebant, aequo animo libenterque illi parerent. Horum copiis cum se ducem praebuisset, oppressisse Alba Longam, validam urbem et potentem temporibus illis, Amuliumque regem interemisse fertur.Qua gloria parta, urbem novam condere et firmare statuisse dicitur. Urbi suae autem locum oncredibili opportunitate delegit. Neque enim apud mare eam condidit: nam illius viri excellenti providentiae consilioque visi sunt non esse opportunissimi ad urbem pastorum situs maritimi. Maritimus enim et navalis hostis in maris litoribus adesse potest antequam venturus esse nuntietur, quia nullam navigationis peritiam pastores habent maritimis vigiliis tutari sciunt.
Si narra che Romolo, nato dal padre Marte, sia stato esposto presso il Tevere con il fratello Remo da Amulio, re di Alba Longa, a causa della paura di un oracolo infato. Dopo che in questo luogo era stato nutrito dalle mammelle di un animale selvatico e dopo che dei pastori lo avevano allevato e fatto crescere nel modo di vita contadino e nel lavoro dei campi, si narra che superò gli altri nelle forze del corpo e nella fierezza dell'animo tanto che tutti coloro che allora coltivavano quei campi, si facevano guidare da lui di buon grado e volentieri. Si narra che, dopo essersi offerto come comandante di queste truppe, avesse schiacciato Alba Longa, valida e potente città in quei tempi, e avesse ucciso il re Amulio. Acquistata questa gloria, si dice che avesse deciso di fondare e fortificare una nuova città. Invece scelse una posizione vantaggiosa alla sua città. E infatti non la fondò sul mare: infatti alla perspicacia e alla prudenza di quello straordinario uomo non sembrò che la posizione marittima fosse la più adatta per una città di pastori. Infatti un nemico che viene dal mare con una nave può anche essere presente sulla costa prima che venga riferito che sta per arrivare, poichè i pastori non hanno nessuna conoscenza della navigazione nè sanno proteggersi con guardie marittime.
Ut contemnendus est qui in navigatione se incolumem mavult quam navem, sic vituperandus est qui in reipublicae discrimine suae plus quam communi saluti consulit. Navem enim fracta, multi incolumes evaserunt, ex naufragio patriae salvus nemo potest enatare. Quod bene Decius intellexit, qui se devovit et pro legionibus in hostes medios immisit. Amisit vitam, at non perdidit; re enim vilissima et parva maximam redemit. Dedit vitam, accepit patriam; amisit animam, potitus est gloria.Quod si pro re publica decere civem accedere ad periculum et ratione demonstratum est et exemplo comprobatur, ii sapientes sunt exstimandi, qui nullum pro patriae salute periculum vitant.Riadattato da Cicerone, Rhetorica ad Herennium
Come è da disprezzare colui che, mentre sta navigando, preferisce salvare se stesso, piuttosto che la nave, così è da biasimare colui che, in un momento di pericolo per lo Stato pensa alla propria salvezza piuttosto che a quella comune. Infatti, infranta la nave, molte persone scampano (perfetto gnomico) incolumi, nessuno può salvarsi a nuoto dal naufragio della patria. Ciò bene comprese Decio che si sacrificò, spingendosi nel bel mezzo dei nemici in difesa delle legioni. Perse la vita, ma non la distrusse; infatti, si guadagnò una cosa molto grande con una cosa di poco valore. Cedette la vita, ricevette la patria; abbandonò l’anima, si impadronì della gloria. Che se è dimostrato con la ragione e comprovato con un esempio che al cittadino sui avvicina il pericolo a vantaggio dello Stato sono da stimare quei saggi che non evitano nessun pericolo per la salvezza della patria.
Etruscis in urbem Romam ponte Sublicio irrumpentibus, Horatius Cocles extremam eius partem occupavit totumque hostium agmen infatigabili pugna sustinuit, donec post tergum suum pons abrumperetur, atque, ut patriam periculo imminenti libertatam vidit, armatus in Tiberim se misit. Eius fortitudo deorum immortalium admiratione ita suscepit, ut incolumitatem Horatio praestiterint: nam neque altitudine saltus quassatus nec pondere armorum pressus, incolumis flumen tranavit.Unus itaque tot civium, tot hostium oculos in se convertit: nam et hostes, admiratione moti, et Romani, inter laetitiam et metum haesitantes, Horatium natantem aspexerunt. Unus praeterea duos exercitus acri pugna consertos detraxit: nam hostium aciem strenue reppulit, cum Romanam proprugnaret. Denique unus urbi Romae tantum scuto suo quantum Tiberis alveo munimenti fuit.
Gli Etruschi irrompevano nella città di Roma attraverso il ponte Sublicio, Orazio Coclite occupò la parte finale di esso e resistette a tutta la schiera dei nemici con un'infaticabile battaglia, finchè il ponte fu tagliato dietro le sue spalle e, si gettò nel Tevere armato, come vide la patria liberata dal pericolo imminente. La sua forza suscitò l'ammirazione degli dei immortali, così che garantirono l'incolumità ad Orazio: infatti nè agitato per l'altezza del salto nè schiacciato dal peso delle armi, sano e salvo attraversò a nuoto il fiume. Uno solo dunque tra tanti cittadini rivolse su di sè gli occhi di tanti nemici: infatti sia i nemici sia i Romani, mossi dal'ammirazione, tra la gioa e la paura guardarono, Orazio che nuotava. Uno solo, trascinò due eserciti in un'aspra battaglia: infatti respinse la schiera di nemici valorosamente, combattendo per la schiera Romana. In fine uno solo fu di difesa per la città di Roma con il suo scudo quanto col suo letto il Tevere.
Magister, ante omnia, sumat erga discipulos parentis animum.Vitia nec habeat nec ferat. Eius austeritas non sit tristis, non dissoluta sit comitas: nimia enim austeri tate odium oritur, licenziosa comitas contemptum parit. Plurimum de onesto ac bono ei loquendum est. Minime enim castigandi sunt discipuli quos saepissime magister monuerit. Minime autem iracundus sit, nec tamen dissimulator earum rerum quae emendaendae sunt. Simplex sit in docendo, patiens laboris, adsiduus potius quam immodicus.Discipulis autem interrogationibus libenter respondeat ; discipulos non interrogantes ultro ipse percontetur. In laudandis discipulorum dictionibus nec malignus nec effusus sit, quia res altera taedium laboris, altera securitatem parit. In emendando ea, quae corrigenda erunt, non acerbus sit minimeque contumeliosus ; nam quidem magistri tanta vi discipulos obiurgant ut in eos odium exercere videntur ; quapropter multos pueros a proposito studendi fugant.
Il maestro, prima di tutto, adoperi verso gli studenti il sentimento di un padre. Egli né ha vizi, né gli tollera. La sua severità non sia triste né la sua allegria sia smodata; con troppa severità infatti nasce l’odio, la disistima eccessiva genera indifferenza. Egli deve parlare soprattutto dell’onestà e del buono. Infatti devono essere castigati il meno possibile gli alunni che spessissimo il maestro ammonisce. Sia irascibile il minimo indispensabile né però dissimulatore di quelle cose che devono essere corrette. Sia semplice nell’insegnare, capace di sopportare le fatiche, operoso piuttosto che sfrenato. Agli alunni che gli pongono domande risponda con piacere; egli stesso interroghi spontaneamente gli alunni che non gli fanno domande. Nel lodare gli alunni con le parole non sia né maligno né generoso, poiché il primo comportamento genera la noia della fatica, il secondo la sicurezza. Nel correggere quelle cose che devono essere corrette non sia sgradevole e per nulla ingiurioso; infatti di sicuro gli insegnanti rimproverano con tanta forza gli alunni che sembrano sfogare verso di loro il proprio odio; perciò molti alunni non sono attratti dall’idea di studiare.
Quam palmam utinam di immortales, Scipio, tibi reservent, ut avi reliquias persequare! cuius a morte tertius hic et tricesimus annus est, sed memoriam illius viri omnes excipient anni consequentes. Anno ante me censorem mortuus est, novem annis post meum consulatum, cum consul iterum me consule creatus esset. Num igitur, si ad centesimum annum vixisset, senectutis eum suae paeniteret? Nec enim excursione nec saltu nec eminus hastis aut comminus gladiis uteretur, sed consilio, ratione, sententia; quae nisi essent in senibus, non summum consilium maiores nostri appellassent senatum.Apud Lacedaemonios quidem ei, qui amplissimum magistratum gerunt, ut sunt, sic etiam nominantur senes. Quodsi legere aut udire voletis externa, maximas res publicas ab adulescententibus labefactatas, a senibus sustentatas et restitutas reperietis.
Per l’amore del cielo gli dei immortali, o Scipione, ti lascino questa palma affinché tu conduca a termine l’opera incompiuta di tuo nonno (del tuo avo)! Questo è il 33° anno dalla morte di questo, ma tutti gli anni che seguono conserveranno il ricordo di quell’uomo. Morì prima che io fossi censore, nove anni dopo il mio consolato, quando fu eletto console per la seconda volta durante il mio consolato. Forse allora, se fosse vissuto fino a cent’anni, sarebbe stato scontento della sua vecchiaia? Infatti, non avrebbe fatto un’escursione né si sarebbe messo a saltare né avrebbe scagliato le aste a distanza o le spade da vicino, ma avrebbe fatto uso di senno, ragione, giudizio. E se queste cose non fossero nei vecchi, i nostri antenati non avrebbero chiamato senato la suprema saggezza. Presso gli Spartani appunto quelli che reggono un incarico molto importante, come sono, così sono chiamati anche anziani. Se vorrete leggere e ascoltare cose straniere, troverete che grandissimi Stati (sono stati) mandati in rovina dai giovani, (e sono stati) sostenuti e rigenerati dai vecchi.
Hannibal multis laboribus magnaque exercitus sui diminutione Alpes superavit. Nam in initinere Haud parvis numerus militum omnesque fere elephantes frigore et asperitates locorum perierunt. Tota Italia, cum Carthaginiensium ducem in summis Alpibus aspicit, magno terrore concutitur, statim pecora agrique deserunt, omnes familiae rusticanae silvas et ferarum cubilia petunt.De adventu hostium nuntio accepto, in omnibus urbibus matres pensa e manibus abiciunt, parvos liberos ad templa trahunt, ibique vario planctu ploratuque deos invocant, clades apud Trasimenum et Cannas dolore praesago praenuntiant.Sed cives Romani singulari patientia incommoda diutini acrisque belli tulerunt. Tandem P. Scipio, strenuus dux, traiecto in Africam exercitu Hannibalem ab Italiae vastatione revocavit et apud Zamam hostium copias vicit fugavitque. Sic Chartago, Romanae potentiae diu aemula et inimica, civium fortitudine imperatorisque virtute devicta est.
Annibale con parecchi sforzi e grande diminuzione del suo esercito valico le Alpi. Difatti nel percorso una piccola quantità di soldati e tutti gli elefanti perirono per il freddo e le difficoltà dei posti. Tutta l'Italia, mentre scorse il generale dei cartaginesi sulle elevate Alpi, venne afflitto da enorme paura,immediatamente abbandonarono i greggi e i campi, tutte le famiglie della campagna si inoltrarono nelle selve e nelle tane delle bestie. Appresa la notizia della comparsa degli avversari, in tutte le città le madri persero i viveri dalle mani, condussero ai templi i giovani figli, qua chiamarono gli dei con diversi gemiti e pianti, nominarono le sconfitte nel Trasimeno e di Canne con dolore . Bensì gli abitanti romani tollerarono con straordinaria pazienza le difficoltà della immensa e ardua guerra. Allora Cartagine, avversaria e imitatrice per molto tempo della forza romana, venne vinta dalla potenza degli abitanti e dalla valore del comandante.
Lucumo et Tanaquil amigrant Romam. Ad Ianiculum forte ventum erat; ibi Lucumoni carpento sedenti cum uxore aquila suspensis demissa leviter alis pilleum aufert, superque carpentum cum magno clangore volitans rursus, velut ministerio divinitus missa, capiti apte reponit; inde sublimis evolavit. Accepit id augurium laeta Tanaquil, perita, ut vulgo Etrusci, caelestium prodigiorum mulier. Complexa virum eum excelsa et alta sperare iubet: adfirmat enim eam alitem ea regione caeli et eius dei nuntiam venisse, circa summum culmen hominis auspicium fecisse, levavisse humano superpositum capiti decus ut divinitus eidem redderet.Has spes cogitationesque secum portantes urbem ingressi sunt, ubi domicilium comparaverunt et Tarquinium Priscum ediderunt nomen. Romanis conspicuum eum novitas divitiaeque faciebant; et ipse fortunam benigno adloquio, benevolis invitationibus beneficiisque adiuvabat, donec in Anci Marcii regiam quoque de eo fama pervenit. Et hanc notitiam brevi tempore apud regem in familiaritatem amicitiamque vertit, persecutus liberaliter dextereque officia quae rex ei mandaverat. Publicis pariter ac privatis consiliis bello domique intererat et per omnia expertus postremo tutor etiam liberis regis testamento institutus est.
Lucumone e Tanaquil emigrano a Roma. Presso il Gianicolo c'era un forte vento; mentre Lucumone con la moglie sedevano nella carrozza, un'aquila sospesa abbassatasi lievemente atterrò su di loro gli portò via il pileo (era un cappello usato dai romani nei giorni di festa) con le ali ;e, volteggiando sopra il carro ed emettendo versi acutissimi, come se stesse compiendo una qualche missione divina, si abbassò di nuovo e glielo ripose perfettamente sulla testa. Quindi sparì nell'alto del cielo. Tanaquil, essendo da buona etrusca donna esperta di prodigi celesti, accolse con felicità il presagio. Abbracciando il marito, lo invita a sperare grandi e sublimi cose: afferma infatti che quell'uccello che era arrivato proprio da quella parte del cielo e messaggero proprio di quel dio, avesse fatto un auspicio riguardante il punto più alto dell’uomo, che avesse levato un ornamento posto sulla testa di un uomo per restituirglielo divino. Con in mente queste speranze e ragionamenti, entrarono a Roma, dove comprarono un edificio e spacciarono alla gente il nome Tarquinio Prisco. Agli occhi dei Romani faceva colpo la sua provenienza e la condizione economica e lui aiutava la buona sorte rendendosi gradito grazie alla sua generosa ospitalità ed alla sua munificenza, a tal punto che la fama che lo circondava arrivò fino alla reggia di Anco Marzio. E in breve tempo volse questa benevolenza presso il re in familiarità ed amicizia, dato che aveva svolto volentieri e con abilità i compiti che il re gli aveva affidato. Partecipava allo stesso modo agli affari di carattere pubblico e privato, sia in pace che in guerra e, dopo essere stato messo alla prova in tutti i modi, per testamento fu nominato tutore dei figli del re.
Mihi visum est de senectute aliquid ad te conscribere. Senectutis enim onere, aut iam urgentis aut certe adventatis, quod mihi tecum commune est et me ipsum levari volo, est et quidem id modice ac sapienter et ferre et laturum esse certo scio. Mihi quidem ita iucunda huius libri confectio fuit ut hon solum omnes absterserit senectutis molestias, sed effecerrit mollem etiam et iucundam senectutem. Numquam igitur laudari satis digne potuerit philosophia, cui qui pareat omne tempus vitae sine molestia posit degere.Hunc ergo librum de senectute ad te mittimus, in quo omnem sermonem tribuimus non fabularum personis – parum enim esset auctoritatis in fabulis - sed Marco Catoni seni, quo maiorem auctoritatem haberet oratio. Apud quem Laelium et Scipionem facimus admirantes quo dille senectutem ferat, iisque facimus eum respondentem. Qui si eruditius videretur disputare quam consuevit ipse in suis libris, hoc attribuito greci litteris quarum constat eum perstudiosum fuisse in senectute.
Ho pensato bene di buttare giù qualche pensiero sul problema della vecchiaia. Mi piacerebbe infatti sollevare sia te sia me dal pensiero della vecchiaia, ormai incalzante o per lo meno in arrivo, pensiero che abbiamo in comune, anche se sono sicuro che tu dal canto tuo lo sopporti e lo sopporterai con rassegnazione e saggezza. Quanto a me, nello scrivere questo libro ho provato un diletto tale che non solo ha cancellato tutti gli inconvenienti della vecchiaia, ma me l’ha addirittura resa leggera e piacevole. Non si potrà dunque mai abbastanza degnamente lodare la filosofia, perché se uno la segue può trascorrere senza angustie ogni stagione della vita. Eccoti dunque questo libro sulla vecchiaia, in cui tutta la discussione è affidata non a personaggi immaginari - poca autorità avrebbero i racconti di immaginazione - ma a Marco Catone il vecchio, proprio perché il discorso abbia maggior peso. Accanto a lui introduco Lelio e Scipione pieni di ammirazione per la sua così serena sopportazione della vecchiaia e a loro faccio sempre rispondere da Catone. Se poi hai l’impressione che i ragionamenti di Catone siano più eruditi di quelli abituali nei suoi libri, attribuiscilo alla cultura greca, alla quale risulta che si sia dedicato con grande impegno durante la vecchiaia.
Pompeius autem Magnus, Pharsalica acie victus a Caesare, cum postero die larisam intraret et oppidiillius universus populus abviam ei processisset: "te"- inquit - "cives, et istud officium praestat Caesari victori". His verbis pompeius se praebuit non dignum qui vinceretur, nisi a Caesare esset superatus.Ceret modestus in calamitate fuit: nam quia dignitate sua uti iam non poterat,usus est verecundia. Quam praecipuam in C. quoque Caesare fuisse et saepe numero apparuit et ultimus eius dies significavit: conpluribus enim parricidarum violatus mucronibus inter ipsum illud tempus, quo divinus spiritus mortali discernebatur a corpore, ne tribus quidem et xx vulneribus quin verecundiae obsequeretur absterreri potuit, si quidem utraque togam manu demisit, ut inferior pars corporis tecta conlaberetur.in hunc modum non homines expirant, sed di immortales sedes suas repetunt.
Pompeo Magno, sconfitto da Cesare nello scontro di Farsalo, accedendo il giorno seguente a Larissa in mezzo al popolo che gli si era venuto tutto quanto incontro, « Andate », esclamò, « e donate questi elogi al vincitore», ostentando allora, oserei affermare, immeritevole di essere sconfitto, se il vincitore non fosse stato Cesare, e come minimo umile nella sfortuna: così, non potendo ormai utilizzare la sua reputazione, utilizzò il pudore. Riguardo a Cesare, che lui sia stato straordinariamente pudico fu spesso limpido, e ben provò nell'ultimo giorno della sua vita. Difatti, spietatamente trafitto dai pugnali di molti parricidi, giusto nel momento nel quale il suo sacro spirito lasciava il corpo, non riusci a trattenersi, nonostante le ventitré ferite, dal far tributo al pudore, se è vero che abbassò la toga con entrambe le mani per cadere al suolo con la parte inferiore del corpo velato. In questo modo non muoiono gli uomini, però ricomparire alle sedi gli dei immortali.
C.Fabio et L. Virginio consulibus, trecenti nobiles homines, qui ex Fabia familia erant, contra Veientes bellum soli susceperunt, senatui et populo per se omne certamen impleturi. Itaque omnes nobiles, qui singuli magnorum exercituum duces futuri erant, in proelio conciderunt. Unus omnino superfuit EX tanta familia, qui propter aetatem puerilem duci non potuerat ad pugnam. Fostea census in urbe habitus est et intenta sunt CIVIUM capita CXVII milia CCCXIX.Sequenti anno cum in Algido monte ab urbe duodecimofenne miliario Romanus obsideretur exercitus, L.Quintius Cincinnatus dictator est factus, qui agrum quattuor iugerum possidens manibus suis colebat. Is cum in opere et arans esset inventus, sudore deterso, togam frraetextam accepit et, caesis hostibus, liberavit exercitum.
Sotto il consolato di C. Fabio e L. Virginio, trecento nobili, che erano della famiglia Fabia cominciarono da soli la guerra con i Veienti, giurando al senato e alla popolazione che avrebbero concluso la guerra da soli. Allora tutti i nobili, che erano meritevoli ognuno della guida di imponenti eserciti, morirono in guerra. Solo uno di così importante discendenza sfuggi alla morte, che per la giovane età non aveva potuto partecipare alla guerra. Dopo questi episodi in città fu svolto il censimento e furono contati centodiciasettemilatrecentodiciannove abitanti.Però l'anno seguente, l’esercito intrappolato sul monte Algido, a circa dodici miglia dalla città, L. Quinto Cincinnato viene proclamato dittatore, che dissodava con le sue mani un terreno che si estendeva per quattro iugeri. Mentre fu trovato durante l'attività e arando, detergendosi il sudore, prese la toga offertagli, e vinti gli avversari liberò l'esercito.
Epaminondas, cum proelio apud Leuctra commisso vetustam Lacedaemonis gloriam contundisset, non solum patriam sed etiam universam Graeciam in libertatem dimicavit. Cum vero, novem annis post iterum, adversus Lacedaemonis apud Mantineam confligeret et audacissime instaret hostibus, ab his cognitus ac vulneratus mortem occubuit. Universi enim Lacedaemonii, cum in unius Epaminondae pernicie salutem patriae sitam esse putarent, in eum impetum fecerunt, quoad Epaminondas, hasta traiectus, ex equo excussus est.Qui cum mortiferum se vulnus accepisse animadverteret, recreare se conantes interrogavit vicissentne Boeoti. Id postquam audivit: “ Satis vixi – inquit; - invictus enim morior”. Thebas ductu et auspiciis meis caput Graeciae. Deinde e corpore hastam extrahi iussit, eoque vulnere confestim exhaminatus est.
Epaminonda, dopo aver abbattuto l’antica gloria di Sparta, attaccando battaglia presso Leuttra, non solo rivendicò la libertà della patria, ma anche dell’intera Grecia. Poi, nove anni dopo, mentre combatteva di nuovo contro gli Spartani presso Mantinea e incalzava audacemente i nemici ,essendo stato riconosciuto e ferito da questi , andò incontro alla morte. Infatti, tutti gli Spartani, pensando che la salvezza della patria fosse dipesa soltanto dalla morte di Epaminonda, lo assalirono, finché Epaminonda, trafitto da una lancia, non fu disarcionato da cavallo. Accorgendosi di aver ricevuto una ferita mortale, egli chiese a coloro che cercavano di rianimarlo se i Beoti avessero vinto. Dopo che ebbe udito ciò (= dopo che ebbe avuto la risposta) disse. “Ho vissuto abbastanza, infatti muoio senza essere mai stato vinto (=invictus). Vedo che Tebe è diventata capitale della Grecia sotto il mio comando ed i miei auspici. Quindi ordinò che gli fosse estratta la lancia dal corpo e si spense immediatamente a causa della ferita.
Hispania Europae terminos claudit; hanc veteres ab Hibero amne primum Hiberiam, postea ab Hispalo Hispaniam cognominaverunt. Hispania inter Africam et Galliam sita est; mare Oceanus et Pyraenaei montes eam claudunt. Temperato calore et felicibus tempestivisque imbribus in omnia frugum genera fecunda tellus est. Non frumenti tantum magna copia est, verum et vini, mellis oleique.Amnes placido cursu et saepe divites auro sunt.
La Spagna termina i limiti dell'Europa, codesta anticamente fu chiamata da Ibero Iberia poi da Ispalo Spagna. La Spagna è situata tra l'Africa e la Gallia, la delimita il mare Ooceano e i monti Pirenei. La terra è feconda di qualsiasi tipo di frutti per il mite calore e le liete tempeste di piogge. Non c'è molta eccesso di frumento, di spiedi e di vino, di miele e olivi. I fiumi di corso sereno e molte volte sono abbondanti di oro.
Alcibiades, Cliniae filius, Atheniensis fuit. Nemo excellentior fuit Alcibiade vel in vitiis vel in virtutibus. Natus in aplissima civitate, omnium aequalium formosissimus fuit, ad omnia aptus (namque imperator fuit summus et mari et terra), disertus, ditissimus, patiens, liberalis, splendidus, non minus in vita publica quam provata. Alcibiadem Pericles educavit, erudivit Socrates. Socerum habuit Hipponicum, omnium Graecorum ditissimum. Postquam robustior fuit, bellum Syracusanis indixit.Cum Athenienses bellum apparabant, nocte Hermae, qui in oppido erant, deiecti sunt: firmissima cecidit suspicio in Alcibiadem, quod et potentior et maior quam privatus erat. Itaque ille patriam reliquit et ab Atheniensibus ad Lacedaemonios defecit.
Alcibiade, figlio di Clinia, fu Ateniese. Nessuno fu più straordinario di Alcibiade sia per i difetti che per le virtù. Nato in una grandissima città da una famiglia molto nobile, fu di gran lunga il più avvenente di tutti i giovani della sua età. Portato per tutte le cose e pieno di determinazione (e infatti fu un eccellente comandante sia per mare che per terra), arguto, laborioso, tollerante, magnanime, elegante, non meno nella vita pubblica quanto in quella privata. Percle educò Alcibiade, lo istruì Socrate. Ebbe come suocero Ipponico, il più ricco fra i Greci. Quando divenne un po’ più forte, dichiarò guerra ai Siracusani. Mentre gli Ateniesi preparavano la guerra, di notte, le Erme che erano in città furono uccise: un fortissimo sospetto cadde su Alcibiade, poichè era più potente e più grande di un privato cittadino. Pertanto egli lasciò la patria e abbandonò gli Ateniesi agli Spartani.
In Sicilia iucundissimam vitam agebat Verres. Primum temporibus hibernis hoc sibi remedium contra magnitudinem frigorum ac vim tempestatis comparaverat: urbem Syracusam enim elegarat ubi caeli natura talis est ut omnibus diebus solem nomine videant. Hic ita vivabat iste bonus imperator hibernis mensibus, ut eum non solum extra tectum, sed ne extra lectum quidem quisquam viderit. Ita per diem semper epulabatur; nocte autem stupriis et flagitiis se dabat.Vere appropinquante ( cum rosam videbat, tum incipere ver arbitrabatur ) dabat se labori atque itineribus. Tum se preabebat patientem atque impigrum ita ut eum nemo umquam in equo sedentem viederit. Nam lectica ferebatur, in qua pulvinus erat perlucidu, melitensi rosa fartus ; ipse autem unam coronam habebat in capite, alteram in collo ; et nares sibi admovebat reticulum plenum rosae. Sic, confecto itinere, cum ad aliquod oppidum venerat, eadem lectica usque in cubiculum deferebatur. Eo veniebant Siculorum magistratus, veniebant equites Romani, quia Verres semper in cubiculo malebat, in lecto iacens.
In Sicilia Verre trascorreva una vita piacevolissima. Dapprima nei tempi invernali costui aveva preparato un rimedio contro il grande freddo e la forza del maltempo: infatti aveva scelto la città di Siracusa dove la natura del cielo era tale che gli uomini vedevano ogni giorno il sole. Qui questo buon governatore viveva nei mesi invernali così che di sicuro nessuno lo vedeva non solo fuori casa ma neppure fuori dal letto. Così durante il giorno banchettava in continuazione; di notte invece si dava alle violenze e ai crimini. Quando si avvicinava la primavera (quando vedeva la rosa, allora si dice che inizi la primavera ), si dava all’operosità e ai viaggi. Allora si mostrava forte ed instancabile cosi che nessuno lo vide mai che cavalcava un cavallo. Infatti era portato su una lettiga, nella quale il cuscino era trasparente, pieno di rose maltesi; egli stesso invece aveva in testa una corona ed un altro sul collo; muoveva vicino alle sue narici una piccola rete piena di rose. Così, quando finiva il viaggio e si giungeva ad un'altra città, era portato con la medesima lettiga fino alla stanza da letto. Là giungevano i magistrati siciliani, i cavalieri romani, poiché Verre rimaneva sempre nella stanza da letto, stando steso a letto.
In insula Creta mirus labyrinthus erat, in quo includebatur Minotaurus, monstrum capite bovis et humano corpore. Erat tum Cretae rex Minos, Iovis et Europae filius. Quotannis Athenienses horrendum vectigal Minoi debebant: septem enim iuvenes totidemque pulchrae virgines Athenis Cretam mittebantur et a fero Minotauro devorabantur. Tum Theseus, Aegei regis filius, adhuc adulescens, statuit cives suos ab infando tributo liberare: ergo ad Cretae litora cum paucis sed fidis sociis navigat.In insula Ariadne Minois regis filia, quia in amorem Thesei incidit, contra patris voluntatem labyrinthi exitum iuveni monstrat et glomus rubrae lanae ei (= a lui) tradit. Iuvenis in labyrinthum intrat, Minotaurum necat et Ariadnes auxilio licium revolvendo (= riavvolgendo) e labyrintho salvus remeat.Sic Athenienses a tributo liberantur et Theseus Ariadnem uxorem ducit.
Nell’isola di Creta c’era un meraviglioso labirinto, nel quale era rinchiuso il Minotauro “mostro con la testa di buoi e con il corpo umano. Allora Minosse, figlio di Giove e Europa, era il re di Creta. Ogni anno gli Ateniesi dovevano a Minosse un tributo orrendo: Infatti venivano inviati sette giovani e altrettanti belle vergini di Atene a Creta e venivano divorati dal feroce Minotauro. Allora Teseo, figlio del re di Egeo, allora giovane, decida di liberare i suoi cittadini dal abominevole tributo: dunque naviga verso la costa di Creta con gli alleati poco fedeli. Presso l’isola Arianna, figlia del re Minosse, poiché cade nell’ amore di Teseo, contro la volontà del padre mostra l’uscita del labirinto al giovane e consegna un gomitolo di lana a lui. Il giovane entra nel labirinto, uccide il Minotauro e con l’aiuto di Arianna riavvolgendo il gomitolo ritorna dal labirinto salvo.
Natura omnibus animantibus large et copiose pastum, qui cuique aptus erat, comparavit. Enumerare possum quae membra, ad pastum capessendum conficiendumque necessaria, in animantium corporibus natura creacerit. Omnia enim membra, etiam quae intus in corpore inclusa sunt, ita nata atque ita locata sunt ut nihil eorum supervacanuem sit quia omnia ad vitam retinendam necessaria sunt. Beluis autem eadem natura et sensum et appetitum dedit easque ita finxit ut ad naturales pastus capessendos impellerentur atque secernerent pestifera a salutaribus.Iam vero alia naimalia gradiendo, alia serpendo ad pastum accedunt, alia volando,alia nando, cibum partim oris hiatu at dentibus capessunt, partim unguium tenacitate, partim rostrorum aduncitate attipiunt; alia tandem sugunt, alia carpunt, alia vorant, alia mandunt. Atque aliorum animantium talis est humilitas ut grues, ut cameli, proceritate collorum adiuvantur; elephanto manus quoque data est, quia propter corporis agnitudinem, maxima cum difficultate ad pastum accedebat.
La natura procurò abbondantemente e copiosamente un posto, che era adatto a ognuno, per ogni creatura. Posso contare quanti arti, necessari ad afferrare e concludere il pasto, la natura creò nel corpo dei viventi. Tutti gli arti infatti, anche quelli che sono inclusi dentro al corpo, sono stati sia creati sia collocati affinché nessuno di essi sia superfluo poiché ogni cosa è necessaria per mantenere la vita. La stessa natura diede poi alle belve sia la ragione sia l’appetito e li plasmò così da essere spinte ad afferrare le naturali prede e a scartare le cose nocive per la salute. Inoltre veramente alcuni animali si avvicinano al pasto camminando, altri strisciando, altri volando, altri nuotando. Afferrano il cibo una parte con l’apertura della bocca e con i denti una parte con la fermezza degli artigli, una parte l’afferrano con la curvatura del becco, infine alcuni succhiano, altri brucano, altri divorano, altri masticano. Ed è notevole la debolezza di altre creature come le gru, come i cammelli che sono aiutate dalla lunghezza dei colli; anche all’elefante fu data una mano, poiché per la grandezza del corpo, arrivava al pasto con grandissima difficoltà.
Huiuscemodi oratione habita, Marius, postquam plebis animos arrectos videt, propere commeatu, stipendio, armis aliisque utilibus naves onerat; cum his A. Manlium legatum profisci iubet. Ipse interea milites scribere, non more maiorum neque ex classibus, sed ut cuiusque libido erat. Ex his plerique erant capite censi. Id factum alii inopia bonorum, alii per ambitionem consulis memorabant, quod ab eo genere celebratus actusque erat. Igitur Marius profectus in Africam cum aliquanto maiore numero quam decretum erat, diebus paucis Uticam advehitur.Exercitus ei traditur a P. Rutilio legato; nam Metellus conspectum Marii fugerat, ne videret ea quae, audita, animus tolerare nequiverat. Sed consul, expletis legionibus cohortibusque auxiliariis, in agrum fertilem et praeda onustum profiscitur; omnia ibi capta militibus donat, dein castella et oppida natura et viris parum munita aggreditur.
Tenuta l'orazione in tal maniera, dopo che Mario vide eccitati gli animi della plebe, prontamente caricò le navi con viveri, con denaro, armi e altre cose necessarie; con loro ordina al luogotenente A. Manlio di mettersi in cammino. Nel frattempo egli stesso arruolava i soldati, non per l'appartenenza alla classe sociale ma per il desiderio di ciascuno. La maggior pare di loro erano proletari. Fatto ciò alcuni raccontavano della scarsità dei beni, altri dell'ambizione del console, poichè da quella categoria era celebrato e arricchito. Allora Mario, dopo esser stato mandato in Africa, con un numero molto maggiore di quello che era stato deciso, dopo pochi giorni sbarca ad Utica. L'esercito fu affidato a lui dal luogotenente P. Rutilio; infatti Metello era fuggito dal cospetto di Mario per non vedere quelle cose che, se udite, l'animo non poteva tollerare. Ma il console, dopo che furono completate le legioni e le coorti ausiliarie, partì alla volta di un terreno fertile e ricco di bottino; dopo aver fatto razia donò tutti i beni ai soldati, quindi, assalì tutte le cittadelle poco difese dalla natura e dall'uomo.
Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium divinarum humanarumque rerum cum benevolentia et caritate consensio; qua quidem haud scio an excepta sapientia nihil melius homini sit a dis immortalibus datum. Divitias alii praeponunt, bonam alii valetudinem, alii potentiam, alii honores, multi etiam voluptates. Beluarum hoc quidem extremum, illa autem superiora caduca et incerta, posita non tam in consiliis nostris quam in fortunae temeritate. Qui autem in virtute summum bonum ponunt, praeclare illi quidem, sed haec ipsa virtus amicitiam et gignit et continet nec sine virtute amicitia esse ullo pacto potest.Iam virtutem ex consuetudine vitae sermonisque nostri interpretemur nec eam, ut quidam docti, verborum magnificentia metiamur virosque bonos eos, qui habentur, numeremus, Paulos, Catones, Galos, Scipiones, Philos; his communis vita contenta est; eos autem omittamus, qui omnino nusquam reperiuntur.
L'amicizia infatti non è altro se non l’armonia tra tutte le cose divine e umane, unita con benevolenza e affetto; e oltre a essa di certo non so se, esclusa la sapienza, dagli dei immortali sia stata data all'uomo cosa migliore. Alcuni le antepongono la ricchezza, altri la buona salute, altri il potere, altri gli onori, molti anche i piaceri. Questo è proprio delle bestie, quelle in verità sono passeggere e incerte, poiché non tanto dipendono dai nostri voleri, quanto dal capriccio della fortuna. Quelli poi che pongono il bene supremo nella virtù, fanno molto bene (sott. a fare ciò); però questa virtù stessa genera e mantiene l'amicizia, né l'amicizia senza la virtù in alcun modo può esservi. E la virtù intendiamola secondo la consuetudine della vita e del nostro linguaggio corrente, e non definiamola con la magnificenza delle parole, come fanno alcuni eruditi, e mettiamo nel numero degli uomini buoni quelli che son ritenuti tali, cioè, Paolo, Catone, Galo, Scipione, Filo; di questi si soddisfa la comune vita; e tralasciamo quelli che non si trovano da nessuna parte.
Agricolae parvus sed fecundus ager erat. In agro multae et demissae et procerae plantae virebant, impigri agricolae gloria: nam parvis filiis amicisque dominus plantas saepe monstrabat et cuncti agricolam laudabant. Dicebat interdum agricola filiis: "Agellum, praesidium nostrum contra inopiam, semper bene colite, quia nos satis nutrit atque frigidam umbram praebet et bonas herbas suppeditat". Agricolae amici bene cultum frugiferumque praedium conspiciebant et exclamabant: "Agellus tuus verum gaudium oculis nostris praebet: deliciarum plenus, magnae diligentiae documentum est".Forte quondam Aesopus, clarus Graecorum poeta, agrum videt atque ibi consistit. Populum advocat atque docet: "Viri ut plantae sunt: si plantae frugiferae, agricolae industrii et boni sunt; si plantae infecundae, agricolae ignavi et otiosi. Agriculturam amate, cari incolae, quod diligentiae et parsimoniae magistra est".
Il campo dell'agricoltore era piccolo ma fertile. Nel campo molte piante sia alte che basse verdeggiavano, per la gloria del solerte contadino: infatti il padrone spesso mostrava le piante ai figlioletti ed agli amici, e tutti lodavano l'agricoltore. Il contadino diceva a volte ai figli: "Coltivate sempre bene l'orticello, nostra difesa contro la povertà, sia perché ci nutre a sufficienza, sia perché ci offre una fresca ombra, sia perché ci procura le buone verdure. Gli amici dell'agricoltore ammiravano il fondo ben coltivato e fecondo ed esclamavano: "Il tuo campicello offre una vera gioia agli occhi nostri: è pieno di delizie e testimonianza di grande diligenza. Per caso una volta Esopo, poeta famoso tra i Greci, vede il campo e qua si ferma. Chiama il popolo ed insegna: "Gli uomini sono come le piante: se le piante (sono) feconde, i contadini sono attivi e valenti; se le piante non (sono) feconde, i contadini (sono) pigri e sfaccendati. Amate l’agricoltura, cari cittadini, perché è maestra di diligenza e di parsimonia.
Antiqui Italiae populi multos dos atque multas deas colebant, Dianam praesertim et Vestam et Minervam inter deas; Saturnum, Mercurium, Neptunum, Bacchum inter deos. Nominatim Diana silvarum dea ac regina erat, Vesta vitae domesticae, et Minerva sapientae dea. Saturno, antiquo deo Italico, Romani saepe consecrabant sumptuosa templa, ubi publicum aerarium custodiebant. Deorum nuntius, mercaturae et divitiarum patronus Mercurius erat; caduceo animas in regnum mortuorum ducebat.Aquarum deus et nautarum patronus Neptunus erat. Antiqui Italiae incolae in promunturiis splendida templa ac statuas Neptuno aedificant. Deus undas adsidue agibat vel repente sedabat.
Gli antichi popoli dell'Italia adoravano molti dei e molte dee, specialmente Diana e Vesta e Minerva tra le dee; Saturno, Nettuno, Bacco tra gli dei. In particolare Diana era la dea e la regina delle selve, Vesta della vita domestica, e Minerva la dea della sapienza. A Saturno, antico dio italico, i Romani spesso dedicavano suntuosi templi, dove custodivano il tesoro pubblico. Marcurio era il messaggero degli dei, il patrono del commercio e della ricchezza; conduceva con la verga le anime al regno dei morti. Nettuno era il dio delle acque e il patrono dei naviganti. Gli abitanti dell'antica Italia innalzano sui promontori splendidi templi e statue a Nettuno. Il dio agitava continuamente le onde oppure le calmava improvvisamente.
Sponsalia in ea parte Italiae, quae Latium appellatur, hoc more atque iure solita esse fieri scriptis Servius Sulpicius in libro quem scripsit de dotibus: «Qui uxorem, inquit, ducturus erat, ab eo, unde uxor ducenda erat, stipulabatur eam in matrimonium datum iri; qui daturus erat, id est pater, itidiem spondebat se daturum illam. Is contractus stipulationum sponsionumque dicebatur "sponsalia". Tunc, quae promissa erat, sponsa appellabatur; qui spoponderat se ducturum esse, sponsus.Sed si post eas stipulationes uxor non dabatur aut non ducebatur, qui stipulabatur, ex sponsu agebat. Iudices cognoscebant. Iudex quam ob rem data acceptave non esset uxor quaerebat. Si iustam causam non inveniebat, litem aestimabat et eum, qui spoponderat se aut accepturum aut daturum esse uxorem, pecunia multabat».
Nella regione d’Italia che viene chiamata Lazio il fidanzamento avveniva secondo questa usanza e queste norme giuridiche, riferite da Servio Sulpicio nel libro che scrisse Sulle doti: “ Chi “ disse “ stava per prendere moglie esigeva da colui che gliela doveva concedere la stipula dell’impegno che sarebbe stata data in matrimonio; colui che l’avrebbe presa in moglie, faceva una promessa simile. Questo contratto di obblighi e promesse era chiamato fidanzamento. Allora colei che era stata promessa in sposa era chiamata sposa promessa e colui che aveva promesso di prenderla promesso sposo. Ma se dopo questi accordi la donna non veniva più data o presa in moglie, lo stipulatore intentava una causa in base alla promessa. I giudici avviavano l’istruttoria. Un giudica indagava sui motivi del rifiuto di dare o di prendere moglie. Se non risultava una giusta causa, stabiliva la stima in denaro della controversia e condannava chi aveva fatto la promessa a pagare a chi aveva siglato il contratto quanto era stato convenuto per prenderla o per darla in moglie“.
A. Claudius Pulcher, vir magnae empietatis atque stultae temeritatis, consul adversus Poenos missus est. Priorum ducum consilia palam vituperabat atque dictatabat suos milites, optimo duce usos, brevi tempore bellum perfecturos esse.Antequam navale proelium committeret, Pulcher auspicia habuit; cum pullarius ei nuntiavisset pullos non exire e cavea neu escam edere, consul irridens iussit pullos in aquam mergi ut saltem biberent, quoniam edere nollent.Quo facto in militum animos religio incessit.Commisso deinde proelio, magna clades a Romanis accepta est et Claudius Pulcher, postquam Romam revertit, a Senatu et a populo condemnatus est.
Appio Claudio Pulcro, uomo di grande empietà e folle imprevidenza, fu inviato come console contro i Cartaginesi. Criticava pubblicamente le decisioni dei comandanti precedenti e andava dicendo che i suoi soldati, sotto la guida di un ottimo comandante, avrebbero portato a termine in breve tempo la guerra.Prima di attaccare battaglia navale, Pulcro prese gli auspici; quando il custode dei polli annunciò a lui che i polli non volevano uscire e neanche mangiare il cibo, il console ridendo ordinò che i polli venissero immersi nell'acqua almeno per bere, dal momento che non volevano mangiare.Per tale episodio negli animi dei soldati si diffuse la superstizione.Attaccata poi battaglia, i Romani ricevettero una grande sconfitta e Claudio Pulcro, dopo esser tornato a Roma, fu condannato dal Senato e dal popolo.
Cum Brennus, Gallorum dux, cum magnis copiis Alpes transiit et in Italiam descendit, hostium terror ac mortis timor Italicamur urbim incolas invaserunt. Tum a Romanis consul cum duabus legionibus contra ingentes barbarorum copias, quae totam regionem ferro ignique bastabant, missus est, sed Galli consulem eisque leggiones apud Alliam flumen divincerunt antque Romam acceserunt. Tum Romani, formidine capti, Urbem reliquerunt et cum senibus, mulieribus liberisque veios confugerunt et secum amnia sacra trastulerunt.Itaque barbari sine ullo periculo in urben inierunt et copitolium, Romae arcem, obsederunt. Iam Galli tacite arcis moenia ascendebant, cum repente anseres, qui in Capitolo erant, quia animalia Iunoni sacra erant, suis clangoribus Marcum Manlium, arcis custodem, e somno excitaverunt. Tum Manlius eodem tempore arma arripuit et Romanos milites in axlium vocavit, qui ingenti vi prugnaverunt et Gallos a Capitolio reppulerunt. Itaque Roma anserum clangoribus servata est.
Quando Brenno, re dei Galli, attraversò le Alpi con grandi truppe e scese in Italia, il terrore dei nemici e il timore della morte presero gli abitanti delle città Italiche. Allora un console fu inviato dai Romani con due legioni contro le numerose truppe dei barbari, che devastavano tutta la regione con ferro e fuoco, ma i Galli vinsero presso il fiume Allia il console e le sue legioni e si avvicinarono a Roma. Allora i Romani, presi dalla paura, abbandonarono la città e con i vecchi, le mogli e i figli, si rifugiarono a Veio e trasportarono tutte le cose sacre con se. E così i barbari giunsero in città senza pericolo e assediarono il Campidoglio, fortezza di Roma. Già i Galli salivano silenziosamente per le mura della rocca, quando improvvisamente delle oche, che erano nel Campidoglio, poiché erano animali sacri a Giunone, con il loro starnazzare svegliarono Marco Manlio, il custode della rocca. Allora Manlio afferrò contemporaneamente un arma e chiamò in aiuto i soldati romani, che combatterono con molta forza e respinsero i Galli dal Campidoglio. E così Roma fu salvata dallo starnazzare delle oche.
Ac fuit antea tempus, cum Germanos Galli virtute superarent, ultro bella inferrent, propter hominum multitudinem agrique inopiam trans Rhenum colonias mitterent.Itaque ea quae fertilissima Germaniae sunt loca circum Hercyniam silvam, quam Eratostheni et quibusdam Graecis fama notam esse video, quam illi Orcyniam appellant, Volcae Tectosages occupaverunt atque ibi consederunt;quae gens ad hoc tempus his sedibus sese continet summamque habet iustitiae et bellicae laudis opinionem.Nunc quoniam in eadem inopia egestate patientiaque Germani permanent, eodem victu et cultucorporis utuntur, Gallis autem provinciarum propinquitas et transmarinarum rerum notitia multa ad copiam atque usum largitur, paulatim adsuefacti superari multisque victi proeliis ne se quidem ipsi cum illis virtute comparant.
Vi fu prima un tempo in cui i Galli erano superiori ai Germani per valore,portavano loro per primi la guerra,inviavano colonie oltre il Reno per eccesso di popolazione e scarsità di terreno. Perciò le località più fertili della Germania intorno alla foresta Ercinia, di cui constato che Eratostene e alcuni altre greci avevano notizia,e che chiamano Orcinia, fu occupata dai Volci Tettosagi, che li si insediarono:popolo rimasto in quegli insediamenti fino al giorno d'oggi e molto reputato per senso della giustizia e per valore militare. Oggi i Germani perdurano nella stessa povertà, austerità e forza d'animo, conservando la stessa alimentazione e la stessa cura del corpo; invece i Galli per la vicinanza delle nostre provincie e la conoscenza dei prodotti oltremarini abbandonano del necessario per gli agi della vita:ed ecco che lentamente hanno accettato la superiorità dei vicini e dopo molte sconfitte non si paragonano nemmeno più con loro per valore.
Non ita multis ante annis aiunt T. Caelium quendam Terracinensem, hominem non obscurum, cum cenatus cubitum in idem conclave cum duobus adulescentibus filiis isset, inventum esse mane iugulatum. Cum neque servus quisquam reperiretur neque liber ad quem ea suspicio pertineret, id aetatis autem duo filii propter cubantes ne sensisse quidem se dicerent, nomina filiorum de parricidio delata sunt. Quid poterat tam esse suspiciosum? neutrumne sensisse? ausum autem esse quemquam se in id conclave committere eo potissimum tempore cum ibidem essent duo adulescentes filii qui et sentire et defendere facile possent? Erat porro nemo in quem ea suspicio conveniret.Tamen, cum planum iudicibus esset factum aperto ostio dormientis eos repertos esse, iudicio absoluti adulescentes et suspicione omni liberati sunt. Nemo enim putabat quemquam esse qui, cum omnia divina atque humana iura scelere nefario polluisset, somnum statim capere potuisset.
Si narra che non parecchi anni fa un tale Tito Celio di Terracina, una persona di un tale spessore, si mise a letto dopo il banchetto nella medesima camera insieme ai suoi due figli adolescenti e che la mattina dopo è stato ritrovato ucciso. Siccome non si scorgeva né uno servo né un uomo libero che desse accesso a esitazione e siccome i due figli di quell'età, che gli riposavano vicino, affermavano di non avevano notato niente, fu sollecitata contro di loro un'imputazione di parricidio. Che cosa ci poteva essere di similmente perplesso? Era mai probabile che neanche uno dei due avesse udito niente? che qualcheduno avesse avuto il coraggio di accedere in quella camera proprio intanto che vi erano presenti i due figli, che sarebbero stati agevolmente in grado di notarlo e di salvare il padre? Per di più non c'era neanche uno su cui si potesse volgere il perplesso di quel gesto. Malgrado questo, poiché i giudici accertarono che, mentre fu spalancata la porta, i figli furono ritrovati assopiti, gli adolescenti sono stati rilasciati con formula piena. Neanche uno difatti riteneva che ci fosse alcun in grado di addormentarsi all'istante dopo aver schiacciato ogni diritto umano e divino con un omicidio ingiusto.
Quis fortunatior, at stultior quoque rege Mida fuit? Nam Mida, avidissimus Phrygiae rex, a diis incredibilem facultatem obtinuit: quae tangebat, in aurum mutabat. Qua facultate laetus, plurima in aurum mutavit et ingentes divitiae ad eo congestae sunt. Sed quid brevi tempore accidit? In aurum mutabat etiam cibos; qua re non solum victu carebat, sed suam felicitatem cito amisit. Quod eum omnium miserrimum reddidit. Tum pristinam vitae condicionem recuperare desideravit deosque oravit.Deorum monitu se in flumen Pactolum demisit atque illa terribili facultate se liberavit. Qui semper divitias quaerunt, strenuae infelicitatis praeda sunt.
Chi fu più fortunato, ma anche più stolto del re Mida? Infatti Mida, avidissimo re della Frigia, ottenne dagli dei una incredibile capacità: ciò che toccava, trasformava in oro. Felice di questa facoltà, motò tantissime cose in oro e da quello accumulò immense ricchezze. Ma cosa accadde in breve tempo? Anche il cibo trasformava in oro; per tale ragione non solo era privato di nutrimento, ma perse anche rapidamente la sua felicità. Ciò lo rese il più infelice di tutti. Allora desiderò ritornare alla sua precedente condizione e implorò gli dei. Per consiglio degli dei si immerse nel fiume Pattolo e si liberò di quella terribile capacità. Coloro che sempre bramano ricchezze, sono vittima di grande infelicità.
Achilles, Thetidis et Pelei filius atque Myrmidonum dux, fortissimus omnium Graecorum fuit. Inter montium silvas Chironem magistrum habuit, Centaurorum sapientissimum. Eius vita brevissima sed clarissima fuit. Cum bellum Troianum exarsit, Ulixes ex Lycomedis regia Achillem deduxit, in qua iuvenis vestibus muliebribus latebat. In bello Troiano maximam gloriam sibi paravit: nam in proeliis nemo virorum Graecorum melior, nemo audacior illo fuit. Achilles enim plurima oppida expugnavit atque plures hostes fugavit quam ceteri Graecorum duces.Demum Hectorem pervicit, inter duces Troianos fortissimum, at paulo post Apollo sagitta clarissimum iuvenem necavit. Numquam Graeci in maiore maerore fuerunt quam post Achillis necem, quoniam nemo virtute eum adaequabat.
Achille, figlio di Teti e Peleo e condottiero dei Mirmidoni,fu il più forte fra tutti i Greci. Fra i boschi delle montagne ebbe come maestro Chirone, il più saggio fra i Centauri. La sua vita fu brevissima, ma gloriosissima. Quando scoppiò la guerra di Troia Ulisse, portò via Achille dalla reggia di Licomede, dalla quale il giovane si nascondeva in abiti femminili. Durante la guerra di Troia conquistò una grandissima gloria: infatti durante le battaglie, fra gli eroi greci nessuno (fu) migliore, nessuno fu più coraggioso di lui. Achille infatti conquistò più fortezze e sconfisse più nemici di tutti gli altri condottieri greci. Infine sconfisse Ettore il più forte tra i condottieri troiani, ma poco tempo dopo Apollo con una freccia uccise il nobilissimo giovane. Mai i greci provarono un dolore più grande che dopo l'uccisione di Achille, poichè nessuno lo eguagliava in virtù.
Lucii Catilinae familia clara atque honesta erat; Catilina habebat magnam potentiam et animi et corporis, sed ingenium malum pravumque. Catilinae puero iam bella intestina, rapinae, discordia oppidanorum gratae erant ibique adulescentiam suam exercebat. Catilinae inediam, frigidum, vigiliam miro modo tolerabat. Habebat animum intrepidum, subdolum, varium, falsum simulabat ac verum dissimulabat, alienum adpetebat. Vastus Catilinae animus inmoderata, mira, nimis alta semper cupiebat.
La famiglia di Lucio Catilina era conosciuta e leale; Catilina aveva grande valore e nello spirito e nel fisico, però una natura scellerata e cattiva. Già da ragazzo a Catilina erano liete guerre civili, le razzie, inimicizie fra i concittadini e questo praticava nella sua adolescenza. Catilina sopportava il digiuno, il freddo, la vigilanza notturna in una maniera straordinaria. Aveva uno spirito coraggioso , falso, vario; diceva il falso e celava la verità; attaccava i forestieri. Il vacuo spirito di Catilina bramava azioni enormi , mirabili, sempre troppo elevate.
Multos iuvenes carmen decepit. Nam ut quisque versum pedibus instruxit sensumque teneriorem verborum ambitu intexuit, putavit se continuo in Heliconem venisse. [...] Ceterum neque generosior spiritus vanitatem arnat, neque concipere aut edere partum mens potest nisi ingenti flumine litterarum inundata. Refugiendum est ab omni verborum, ut ita dicam, vilitate et sumendae voces a plebe semotae, ut fiat "odi profanum vulgus et arceo". Praeterea curandum est ne sententiae emineant extra corpus orationis expressae, sed intexto vestibus colore niteant.Homerus testis et lyrici Romanusque Vergilius et Horatii curiosa felicitas. Ceteri enim aut non viderunt viam qua iretur ad carmen, aut visam timuerunt calcare. Ecce belli civilis ingens opus quisquis attigerit nisi plenus litteris, sub onere labetur. Non enim res gestae versibus comprehendendae sunt, quod longe melius historici faciunt, sed per ambages deorumque ministeria [...] praecipitandus est liber spiritus, ut potius furentis animi vaticinatio appareat quam religiosae orationis sub testibus fides.
O giovani, molti si sono fatti illudere dalla poesia. Infatti appena uno ha costruito su basi ritmiche un verso e con un bel giro di parole ha intessuto un sentimento delicato, ha creduto subito di aver raggiunto la vetta dell’Elicona. [...] Ma né un animo nobile ama la vuota forma né una mente può concepire o produrre un’opera se non è permeata di un ricco flusso di cultura letteraria. Occorre rifuggire da ogni sorta di banalità linguistiche, per così dire, e accettare solo le espressioni escluse dall’uso popolare, in modo che si realizzi all’atto pratico "odio il volgo profano e lo tengo lontano". Si deve inoltre fare in modo che i concetti non risultino delle sporgenze estranee al senso globale del discorso, ma che risaltino come succede per i fili di colore diverso nei tessuti. Lo testimoniano Omero e i poeti lirici e il romano Virgilio e Orazio la cui elaborazione assolutamente felice nei risultati estetici. Infatti tutti gli altri o non hanno scorto la strada per arrivare alla poesia oppure se l’hanno scorta hanno avuto paura di percorrerla. Per esempio, chiunque si accosterà ad un’opera impegnativa come quella su di una guerra civile, soccomberà sotto l’onere dell’impresa a meno che non sia in possesso di una salda cultura letteraria. Infatti il problema non è mettere in poesia gli avvenimenti, cosa che fanno molto meglio gli storici, ma di immettere con impeto una ispirazione libera in mezzo a oscuri meandri fatti di interventi degli dei [...] in modo che ne venga fuori una sorta di profezia di un animo invasato piuttosto che un discorso rigoroso e basato sulla attendibilità delle testimonianze.
Hieron infans ab Hierocle genitore, qui stirpem suam ad Gelonem, veterem Siciliae tyrannum, referebat, expositus est, quia patrem pudebat ex ancilla susceptam prolem tollere. Sed puerulum, omni humana spe destitutum, apes ,in os ingesto melle, per complures dies aluerunt. Hoc prodigium responsaque haruspicum, qui regiam puero dignitatem portendi confirmabant, edoctus hierocles infantem recolligit, agnoscit et in spem futurae magnitudinis diligenter instituendum curat.Cum igitur inter aequales in ludo disceret, ei a lupo in turba puerorum repente taulam scriptoriam ablatam esse aiunt. Tradunt etiam, cum militiae tirocinium iniret, aquilam in eius clipeo, noctuam in hasta consedisse. Consilii viriumque id indicium fuisse vates docuerent regiique fastigii. Sed certiora signa mox ipse edidit. Nam forma et vi corporis eximus fuit; ingenio, temperantia, iusitia, comitate clarior atque illustrior.
Gerone, da bambino, fu esposto dal genitore Iercole, che riconduce la sua stirpe a Gelone, antico tiranno della Sicilia, poichè il padre si vergognava di riconoscere un figlio nato da un'ancela. Ma le api nutrirono per molti giorni il bambino privo di ogni speranza, messogli del miele sulla bocca. Iercole informato di questo prodigi e dei responsi degli aruspici, che confermavano di aver predetto per il bambino dignità regale, raccolse l'infante, lo riconobbe e si preoccupò di prepararlo diligentemente nella speranza di una futura grandezza. Imparando coi coetanei nel gioco, dicono che gli venne portata rapidamente via da un lupo tra la folla una tavola per scrivere. Si tramanda anche che, dopo aver iniziato la carriera militare, un'aquila si posò sul suo scudo, una civetta sulla sua lancia. I consigli insegnarono che quello era stato un segno della saggezza, delle forze e della condizione regale. Ma presto lui stesso produsse segni più certi. Infatti era straordinario nell'aspetto e nella forza dell'animo; più famoso e illustre per l'ingegno, la temperanza, la giustizia, la gentilezza.
Recognosce mecum tandem noctem illam hesternam; dico te hesterna nocte venisse inter falcarios – non agam obscure – in M. Laecae domum; convenisse eodem complures eiusdem amentiae scelerisque socios. Num negare audes? Quid taces? Convincam, si negas. Video enim esse hic in senatu eos, qui tecum una fuerunt. O di immortales! Ubinam gentium sumus? In qua urbe vivimus? Quam rem publicam habemus? Hic, hic sunt in nostro numero, patres conscripti, in hoc orbis terrae sanctissimo gravissimoque consilio, qui de omnium nostrum interitu, qui de huius urbis atque adeo de orbis terrarum exitio cogitant.Hos ego video consul et de republica sententiam rogo; non committo ut id fieri possit.
Rievochiamo insieme i fatti della notte scorsa; Denuncio che ieri notte sei andato in via dei Falcari – parlerò chiaramente – in casa di Marco Leca; dove si sono riuniti moltissimi complici della tua stessa follia e della tua scelleratezza. Osi forse negarlo? Perchè taci? Te lo dimostrerò, se tu neghi. Infatti vedo che qui in senato ci sono alcuni che erano con te. O dei immortali! Tra che razza di gente siamo? In che città viviamo? Che Stato è il nostro? Qui, qui tra noi, o senatori, in questa assemblea che è la più sacra e la più importante della terra, vi sono quelli che tramano per la morte di tutti noi, la rovina di questa città o piuttosto del mondo intero. Io, console, li vedo e chiedo il loro parere su questioni politiche; non mi rimetto ad altri perchè ciò possa avvenire.
Scipioni in Africam advenienti Masinissa se coniunxit cum parva equitum turma. Syphax vero a Romanis ad Poenas defecerat. Hasdrubal, poenorum dux, Syphaxque se Scipioni opposuerunt; at Scipio utriusque castra una nocte perrupit et incendit. Syphax ipse captus est, et vivus ad Scipionem pertractus est. Quem cum in castra Romana adduci nuntiatum esset, omnis velut ad spectaculum triumphi, multitudo effusa est: praecedebat is vinctus; sequebatur nobilium Numidarum turba.Movebat omnes fortuna viri, cuius amicitiam olim Scipio perierat. Regem aliasque captivas Romam misit Scipio; Masinissam, qui egregia rem Romana adiuverat, aurea corona donavit.
Massinissa, si unì a Scipione che veniva in Africa con un piccolo eservito di cavalieri. Siface in realtà passava da Roma verso i CArtagines. Asdrubale, capo dei Punici, e Siface, si misero contro Scipione; ma questi (Scipione) in una sola notte fece irruzione e incendiò l'accampamento dell'uno e dell'altro.Siface in persona fu catturato e portato vivo in presenza di Scipione. Essendo stato annunciato che quello era stato portato dell'accampamento romani, tutta la moltitudine (di persone) si precipitò come ad uno spettacolo di trionfo: quello veniva avanti incatenato ed era seguito con tumulto dai nobili della numidia. Commuoveva tutti la sorte dell'uomo, la cui amicizia una volta fu richiesta da Scipione.
Huic Titus filius successit, qui et ipse Vespasianus est dictus, vir omnium virtutum genere mirabilis adeo, ut amor et deliciae humani generis diceretur, facundissimus, bellicosissimus, moderatissimus. Causas Latine egit, poemata et tragoedias Graece composuit. In oppugnatione Hierosolymorum sub patre militans duodecim propugnatores duodecim sagittarum confixit ictibus. Romae tantae civilitatis in imperio fuit, ut nullum omnino punierit, convictos adversum se coniurationis dimiserit, vel in eadem familiaritate, qua antea, habuerit.Facilitatis et liberalitatis tantae fuit ut, cum nulli quidquam negaret et ab amicis reprehenderetur, responderit nullum tristem debere ab imperatore discedere, praeterea cum quadam die in cena recordatus fuisset nihil se illo die cuiquam praestitisse, dixerit: “Amici, hodie diem perdidi”.
A costui (Vespasiano) succedette il figlio Tito, che pure fu chiamato Vespasiano, uomo straordinario per ogni tipo di virtù, al punto che veniva chiamato amore e delizia del genere umano, molto eloquente, grande guerriero, estremamente equilibrato. Trattò cause in latino, compose poemi e tragedie in lingua greca. Nell'assedio di Gerusalemme, prestando servizio militare sotto il padre, trafisse dodici nemici con dodici frecce. A Roma, durante il suo governo, mostrò così tanta mitezza che non punì assolutamente nessuno, lasciò andare i colpevoli di una congiura contro di lui, anzi li trattò come gente di famiglia, come (erano) prima. Rivelò tanta indulgenza e generosità che, non rifiutando nulla a nessuno ed essendo rimproverato dagli amici, rispose che nessuno doveva allontanarsi triste dall'imperatore, inoltre, essendosi un giorno ricordato, durante la cena, di non aver fatto nulla per nessuno quel giorno, disse: “Amici, oggi ho sprecato un giorno”.
Multum rei publicae profuit domi bellique M. Porcius Cato. Huic homini in omnibus rebus acre ingenium singularisque industria ac diligentia inerant: nam et agricola sollers et peritus iuris consultus et magnus imperator et probabilis orator et cupidissimus litterarum fuit. Adulescens bello Punico secundo, proelio apud Senam, quo cecidit Hasdrubal, frater Hannibalis, interfuit.
Marco Porcio Catone fu molto utile allo Stato in pace e in guerra. L’ingegno vigoroso e la singolare operosità e la diligenza appartenevano a quest’uomo in tutte le cose: infatti sia fu un abile contadino sia fu conoscitore esperto del diritto, sia fu un grande comandante, sia fu un piacevole oratore, sia fu amantissimo degli studi letterari. Da giovane durante la seconda guerra punica, partecipò alla battaglia presso Senna, in cui Asdrubale, fratello di Annibale, fu ucciso. In questa battaglia il suo aiuto fu apprezzato molto. In qualità di console riportò il trionfo dalla Spagna. Publio Cornelio Scipione l’Africano, che aveva la supremazia nella cittadinanza, desiderò di scacciarlo via dalla provincia e succedegli egli stesso, ma non poté ottenere ciò con il Senato, poichè allora lo Stato era diretto non dalla potenza ma dal diritto. L’asprezza dell’animo di Catone e l’integrità d’animo furono massimamente lodate. Eletto censore con L. Valerio Flacco- aveva esercitato il consolato con il medesimo- resse quella carica con serietà: infatti riprese i costumi corrotti dei suoi concittadini, ostacolò il lusso e il dispendio. Sino alla vecchiaia non rinunziò a generare inimicizie per lo Stato; chiamato in giudizio da molti, fu sempre assolto da ogni accusa. Risulta certo he inoltre compose discorsi fin dalla giovinezza, che da vecchio scrisse libri di storia, che sono chiamati le Origini: in questi narrò le imprese del popolo Romano, non nominò i condottieri delle guerre.
Eadem nocte accidit ut esset luna plena, qui dies maritimos aestus maximos in Oceano efficere consuevit, nostrisque id erat incognitum. Ita uno tempore et longas naves, quibus Caesar exercitum transportandum curaverat quasque in aridum subduxerat, aestus complebat, et onerarias quae ad ancoras erant deligatae, tempestas adflictabat, neque ulla nostris facultas aut administrandi aut auxiliandi dabatur. Compluribus navibus fractis reliquae cum essent funibus ancoris reliquisque armamentis amissis ad navigandum inutiles, magna, id quod necesse erat accidere, totius exercitus perturbatio facta est.Neque enim naves erant aliae, quibus reportari possent, et omnia deerant, quae ad reficiendas naves erant usui, et, quod omnibus constabat hiemari in Gallia oportere, frumentum his in locis in hiemem provisum non erat.
Durante questa stessa notte accadde che ci fu la luna piena che era solita causare nell’Oceano Atlantico giorni di altissima marea e i nostri uomini non sapevano ciò. Così contemporaneamente la marea trasportava le navi da guerra con le quali Cesare aveva provveduto a trasportare l’esercito ed erano state tutte tirate in secca, e una tempesta danneggiò le navi da carico che erano all’ancora. Perse moltissime navi, poiché le restanti navi erano inservibili alla navigazione in quanto erano state perse le funi, le ancore e le restanti attrezzature, una grande agitazione si impadronì di tutto l’esercito. E infatti né vi erano altre navi con le quali i soldati potessero essere riportati e mancava tutto quello che si usava per riparare le navi e, poiché era chiaro a tutti che bisognava trascorrere l’inverno in Gallia, il frumento in questi luoghi d’inverno non c’era.
Hoc crimine in contione ab inimicis compellabatur. Sed instabat tempus ad bellum proficiscendi. Id ille intuens neque ignorans civium suorum consuetudinem postulabat, si quid de se agi vellent, potius de praesente quaestio haberetur, quam absens invidiae crimine accusaretur.Inimici vero eius quiescendum in praesenti, quia noceri non posse intellegebant, et illud tempus exspectandum decreverunt, quo exisset, ut absentem aggrederentur; itaque fecerunt.Nam postquam in Siciliam eum pervenisse crediderunt, absentem, quod sacra violasset, reum fecerunt. Qua de re cum ei nuntius a magistratu in Siciliam missus esset, ut domum ad causam dicendam rediret, essetque in magna spe provinciae bene administrandae, non parere noluit et in trierem, quae ad eum erat deportandum missa, ascendit. Hac Thurios in Italiam pervectus, multa secum reputans de immoderata civium suorum licentia crudelitateque erga nobiles, utilissimum ratus impendentem evitare tempestatem clam se ab custodibus subduxit et inde primum Elidem, dein Thebas venit.
Nel consiglio popolare era incriminato di questo misfatto dai suoi avversari. Però inseguiva il tempo di muoversi per la guerra. Riflettendo egli a ciò e ben sapendo le consuetudini dei suoi concittadini, affermava che se volessero iniziare un'atto penale verso di lui, si svolgesse immediatamente l'indagine giudiziaria invece che essere considerato assente per un'accusa dei malevoli. I suoi avversari invece sapevano che per adesso bisognava stare tranquilli, poiché non si poteva danneggiarlo e stabilirono di aspettare fino a quando fosse salpato, per aggredirlo durante la sua lontananza. E così fecero. Difatti, quando reputarono che fosse arrivato in Sicilia, lo incriminarono assente di aver violare gli enigmi. Per ciò gli fu mandato in Sicilia un legato dal magistrato, con il comando di rientrare per tutelarsi e lui, che nutriva molte speranze di poter compiere bene al suo compito, non volle trasgredire e sali a bordo su una trireme inviata appositamente per riportarlo. Giunto con questa a Turii in Italia, pensando molto tra sé e sé sul permesso senza freno dei suoi concittadini e sulla loro brutalità verso i nobili, pensò la soluzione migliore per schivare la vicina tempesta, e perciò si allontanò di nascosto ai suoi sorveglianti e da là si diresse prima nell'Elide, poi a Tebe.
Testo latino assente.
Aperte già le porte, prima che i vincitori irrompessero, fu fatta la fuga dei Galli dall'accampamento in ogni parte. Si precipitano cechi per le strade e per luoghi inaccessibili; nessuna roccia scoscesa, nessuna rupe li ostacola: non temono niente tranne il nemico. Dunque i più muoiono caduti a precipizio da grande altezza o indeboliti. Il console, preso l'accampamento, trattiene i soldati dal saccheggio e dalla predazione; ordina di inseguire e di incalzare chiunque e di incutere terrore agli sconfitti. Sopraggiunse anche un altro esercito con Lucio Manlio; ma non permette loro di entrare nell'accampamento. Immediatamente lo manda ad inseguire i nemici; ed egli stesso poco dopo lo segue, dopo aver affidato la costodia dei prigionieri al tribuno dei soldati. Uscito il console, sopraggiunse Caio col terzo esercito, ma non fu capace di trattenere i suoi dal saccheggio degli accampamenti, e fu fatta preda di quelli che non erano stati coinvolti nella battaglia. I cavalieri rimasero lungamente ignari e dalla battaglia e della vittoria; poi anch'essi, in seguiti i Galli sparsi dalla fuuga attorno alle pendici del monte, ne uccisero o ne catturarono moltissimi. Non fu facilmente possibile conoscere il numero degli uccisi, poichè la fuga e la strage fu in una grande estensione tra tutti gli anfratti dei monti e na grande parte di loro cadde da rupi inaccessibili in valli di profonda altezza.
Post cladem Cannensem, in qua multa milia Romanorum militum perierant, pauci superfuerant, senatus, omnibus consentientibus, ad P.Cornelium Scipionem, admodum iuvenem, maximum imperium commisit, ut rei publicae saluti provideret. Olim ei, qui senatus consilio intererat, nuntiatum est aliquot nobiles iuvenes, de rei punlicae salute desperantes, statuisse, deserta italia, in asiam apud barbarum regem se transferre. Tum Scipio, consilio dimisso, statim ad illum,qui conspirationis auctor aret, advenit et, cum ibi concilium iuvenum, de quibus supra dictum ast, invenisset, stricto super illorum capita gladio: " ut ego- inquit - rem publicam romanam in adversis rebus non deseram , sic non sinam ream ab alio cive Romano deseri.Iurate igitur vos numquam patriam vestram deserturos (esse)!". Iuraverunt illi semper patriae Scipionique fideles fuerunt.
Dopo la sconfitta di Canne, nella quale erano morti molte migliaia di soldati Romani, pochi erano sopravvissuti, con il consenso di tutti, il senato consegnò il più grande impero e P. Cornelio Scipione, giovanissimo, per prevedere la salvezza dello stato. Una volta fu comunicato a lui, che partecipava alla riunione del senato, che alcuni giovani nobili, avendo perso ogni speranza di salvezza dello stato, stabilirono, abbandonata l’Italia, di trasferirsi presso il re dei barbari. Allora Scipione, sciolta la seduta, giunse immediatamente da quello, che era l’autore della congiura, e ,trovando là una riunione di giovani, riguardo a ciò che era stato detto sopra, stretto sopra di loro presa la spada: <Poiché io – disse – non ho abbandonato lo stato romano nelle situazioni avverse, così non lo lascerà un altro cittadino romano. Giurate quindi di non lasciare mai la vostra patria!>. Quelli giurarono e furono sempre fedeli alla patria e a Scipione.
Olim mus rusticus urbanum murem, veterem amicum suum, ad cenam in paupere cavo invitavit et hospiti in humili mensa ciceres et uvas aridas et duras vicini nemoris glandes apposuit. Urbanus mus vix vilem cibum dente superbo tangebat et rustica alimenta contemnebat. Tandem sic exclamavit: “Cur, amice, vitam tam miseram ruri agis? Veni mecum in urbem, ubi magnam cibi suavis copiam invenies et beatus sine curis vives”. Placuit consilium rustico muri et in magnifica domum urbanam cum comite migravit.Ibi, dum tranquilli securique cenant atque delicatas dapes gustant, subito canum latratus resonant atque servi irrumpunt. Mures territi per totum conclave currunt et refugium petunt. Tum mus rusticus urbano muri dicit: “Salve, amice mi; tu in urbe mane cum exquisitis cibis tuis, ego rus reverto, ad meam pauperam sed securam vitam”.
Un tempo un topo di campagna invitò a cena nella sua povera tana un topo di città, suo vecchio amico, e offrì all'ospite nell'umile mensa dei ceci e dell'uva secca e ghiande del vicino bosco. Il topo di città toccava a stento il vile cibo con dente superbo e disprezzava i cibi di campagna. Infine esclamò così: “Perché, amico, fai una vita tanto misera in campagna? Vieni con me in città, dove troverai una grande abbondanza di cibo raffinato e vivrai beato senza preoccupazioni”. Il consiglio piacque al topo di campagna e si trasferì con il compagno in una casa magnifica di città. Qui, mentre cenano tranquilli e sicuri e gustano cibi raffinati, improvvisamente risuonano i latrati dei cani e irrompono i servi. I topi spaventati corrono per tutta la stanza e cercano un rifugio. Allora il topo di campagna dice al topo di città: “Ciao, amico mio, tu resta in città con i tuoi cibi squisiti, io torno in campagna, alla mia vita povera ma sicura”.
Hoc non tibi soli accidit. Admiraris quasi res nova esset, quod peregrinatione tam longa et tot locorum varietatibus non discussisti tristitiam gravitatemque mentis. Animum debes mutare, non caelum. Licet vastum traieceris mare, te urgebunt vitia, quocumque perveneris. Cuidam Athenensium hoc idem quaerenti Socrates dixit olim: « quid miraris nihil tibi peregrinationes prodesse ? Te circumferas! Premit te enim eadem causa quae ad peregrinationem te impulit.Quid terrarum iuvare novitas potest? Quid cognitio urbium aut locorum? In irritum cedit ista iactatio. Quaerisne qua re fuga ista non adiuvet? Facile intellectu est : tecum fugis. Onus animi deponi oportet: ante tibi nullus placebit locus. Tu autem vadis huc illuc ut grave pondus , excutias, quod propter ipsam iactationem gravius incommodiusque fit. Quidquid facis, contra te facis et motu ipso noces tibi: aegrum enim hominem concutis. At cum istud exemeris malum, omnis mutatio loci iucunda erit. Licet in ultimas terras, in quemlibet terrae angulum perveniris, hospitalis tibi illa qualiscumque sedes erit. Magis quis veneris quam quo interest, et ideo nulli loco addicere debemus animum. Cum hac persuasione vivamus: ‘non sum natus ut in uno angulo vivam; atria mea totus hic mundus est’. Nunc autem tu non loca peragras, sed erras ac locum ex loco mutas, cum illud quod quaeris (bene vivere) omni loco positum sit. Quid tam turbinum est quam forum? Ibi quoque, si necesse est, quiete vivere licet.
Questo non accade solo a te. Ti meravigli, come se fosse una novità, che con un così lungo viaggio e con tanta diversità di luoghi non scacciasti la tristezza e la pesantezza della mente. Bisogna cambiare l’animo non il cielo. Anche se attraverserai una grande mare, ti opprimeranno i vizi, in qualunque luogo giungerai. Una volta ad un tale ateniese che gli chiedeva la medesima cosa, Socrate disse: “ Perché ti meravigli che i viaggi non ti giovino per nulla? Ti porti in giro! Ti opprime infatti lo stesso motivo che ti spinge a viaggiare. A che cosa può giovare la novità delle terre? A che cosa la conoscenza delle città e dei luoghi? Questa agitazione è risultata vana. Forse che chiedi per quale motivo questa fuga non giova? È facile da capire: infatti fuggi con te! Bisogna abbandonare il peso dell’animo (mettere giù): prima di ciò nessun luogo ti piacerà. Tu però procedi qua e là per scacciare un grave peso che a causa di questa stessa agitazione diventa più grave e fastidioso. Qualunque cosa tu faccia, lo fai contro di te e ti danneggi con questo stesso movimento: infatti ti agiti come un uomo malato. Ma quando toglierai questo male, ogni cambiamento di luogo ti sarà piacevole. Anche se giungerai nelle terre più lontane, in qualunque angolo della terra, quel luogo, qualunque sia, ti sarà ospitale. Non è importante dove arriverai, ma lo stato d’animo con cui giungerai. Perciò non dobbiamo legarci ad un solo luogo. Viviamo con questa certezza: “ Non sono nato per vivere in un solo luogo; tutto questo mondo è la mia patria.” Ora però tu non visiti luoghi, ma cammini e cambi un luogo in un altro, poiché quello che chiedi (vivere bene) si trova in ogni luogo. Che cosa c’è di più disordinato del foro? Anche lì, se è necessario, ti sarà possibile vivere tranquillo.
Incolis multae divitiae erant, igitur multa dona praebent, in tyranni brachiis aurum et argentum ponunt, basia iactant. ... Sed tyranno magna armigerorum turba est, quae dominum custodit et defendit. Paulo post enim populis fero imperio opprimitur et vexatur.
Gli abitanti avevano molta ricchezza, allora offrono molti doni, pongono nelle braccia del tiranno oro e argento, mandano baci. Anche i contadini vengono dai campi alla città e onorano il tiranno. Il tiranno e il nuovo dominio sono lodati e celebrati anche dai poeti. Oracoli propizi sono emessi: Il tiranno a lungo regnerà e acquisterà grande gloria; molti territori saranno presi dalle milizie del tiranno, popoli e città saranno sottomessi. Anche un fanciullo desidera vedere il tiranno perché sente la sua grande fama. Ma il tiranno ha una grande folla di armati, che custodisce e difende il signore. Poco dopo, infatti, il popolo è oppresso e vessato dal crudele dominio.
Apud romanos antiquos multi clari viri, more frugi agricolarum, cum sudore glebas vertebant;agriculturae studebant non propter delicias sed propter angustiam rei familiaris. Saepe senatus hos viros ab aratro arcessebat et ad dictaturam vel ad consulatum eligebat: hi stivam relinquebant, ingentes exercitus ad victoriam ducebant,libertatem rei publicae muniebant; deinde, post magistratum, sponte scipionem eburneum deponebant et ad aratri stivam remeabant,paupertate contenti, sed divitum gloriam superabant: nam ad laudem divitias comparare necesse non est.C. Fabricius, cum medicus Pyrrhum veneno necare statuisset et ita facilem victoriam Fabricio praebere, ad regem Pyrrhum medicum transfugam remisit.Atilius Reguluss consul iuris iurandi fidem suae saluti anteposuit, cum senatum romanum coegit captivos Carthaginienses retinere, et in africam, ad crudelia supplicia, revertit: ius iurandum violare nefas putabat.
Presso gli antichi romani parecchi uomini celebri coltivavano, secondo la tradizione dei contadini, con sforzo il terreno; si occupavano all'agricoltura non per piacere bensì per i problemi familiari. Molte volte il senato prendevano dall'aratro questi uomini e li volevano per la dittatura o per il consolato : codesti abbandonavano il manico dell’aratro, portavano numerosi eserciti al trionfo, rafforvano la libertà dello stato; poi la magistratura, lasciavano il bastone d'avorio e ritornavano nuovamente al manico dell'aratro,beati da poveri, però valicavano la stima degli dei: difatti non è necessario confrontare le pecunie ai meriti. C. Fabrizio, avendo un dottore scelto di ammazzare Pirro con il veleno e di dare in questo modo una semplice trionfo a Fabrizio, lasciò il dottore disertore al re Pirro. Il console Attilio Regolo mise dinnanzi alla sua salvezza la lealtà della promessa, condusse il senato romano a conservare i prigionieri cartaginesi e li condusse in Africa, per pene atroci: reputava svantaggioso spezzare una promessa.
Cum Messana Siciliae urbs a Carthaginiensibus atque Hierone Syracusanorum tyranno obsideretur Appius Claudius consul Romanus a civibus in auxilium vocatus ad Siciliam cum exercitu descendit ut urbem liberaret. Hoc initium primi belli Punici fuit. Consul primo ut loca hostesque exploraret cum paucis militibus nave piscatoria fretum Siculum transiit. Tum obviam ei legati ab Hannone Carthaginiensium duce venerunt ut eum ad pacem impellerent. Cum consul nullas condiciones admitteret nisi Carthaginienses ab oppugnatione desisterent iratus Hanno exclamavit: "Romani ne manus quidem in Siculo mari abluent! Ego non sinam!".Tamen evenit ut A.Claudius non solum legiones suas in Siciliam traduxerit sed etiam Carthaginienses Messana expulerit. Deinde Romani apud Syracusas Hieronem vicerunt qui postea novum bellum timens cum Romanis foedus amicitiae fecit.
La città della Sicilia, Messina, venendo attaccata dai Cartaginesi e da Ierone, tiranno di Siracusa, Appio Claudio, console romano, convocato in aiuto dagli abitanti, si diresse con l'esercito in Sicilia per affrancare la città. Ciò fu l'inizio della prima guerra punica. All'inizio il console, per esplorare i posti e gli avversari, attraversò lo stretto di Sicilia con un peschereccio con pochi militari. Così i luogotenenti da Annone, generale dei Cartaginesi, gli vennero incontro per intimarli la pace. Non accettando il console nessuna condizione se i Cartaginesi non terminavano l'attacco, Annone spaventato affermò. " I Romani non si puliscano neppure le mani nel mare di Sicilia, io non lo acconsentirò!". Comunque successe che A. Claudio non solo aveva trasferito le sue truppe in Sicilia,però mandò via pure i Cartaginesi da Messina. In conclusone i Romani sconfissero Ierone presso Siracusa, che poi, avendo paura di uno nuovo scontro, stipulò un patto di alleanza con i Romani.
Anno urbis conditae sexcentesimo sexagesimo secundo primum Romae bellum civile commotum est, eodem anno etiam Mithridaticum. Causam bello civili C. Marius sexiens consul dedit. Nam Sulla consul contra Mithridatem gesturus bellum, qui Asiam et Achaiam occupaverat missus erat isque exercitum in Campania paulisper tenebat, ut belli socialis, de quo diximus, quod intra Italiam gestum erat, reliquiae tollerentur, Marius autem adfectavit, ut ipse ad bellum Mithridaticum mitteretur.Qua re Sulla commotus cum exercitu ad urbem venit. Illic contra Marium et Sulpicium dimicavit. Primusurbem Romam armatus ingressus est, Sulpicium interfecit, Marium fugavit, atque ita ordinatis consulibus in futurum annum Cn. Octavio et L. Cornelio Cinna, ad Asiam profectus es
Nell’anno 662 dalla fondazione di Roma, ebbe luogo la prima guerra civile di Roma e nello stesso tempo anche quella contro Mitridate. Caio Mario, console per sei volte, fornì il motivo della guerra civile. Infatti il console Silla, che aveva occupato l’Asia e l’Acaia, fu inviato contro Mitridate per [fare] la guerra e per un po’ di tempo tratteneva l’esercito in Campania, affinché fossero rimossi, all’interno dell’ Italia, i residui della guerra civile, a cui abbiamo accennato; Mario, però, si mosse affinché egli stesso fosse inviato in guerra contro Mitridate. Preso da agitazione per questo motivo, Silla giunse a Roma con l’esercito. Qui combatté Mario e Sulpicio. Entrò armato per primo nella città di Roma e uccise Sulpicio, fece fuggire Mario e, per questo, dopo designazione a (= aver designato) consoli, per gli anni successivi, Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna, egli partì alla volta dell’Asia.
Iam Trimalchio eadem omnia lusu intermisso poposcerat feceratque potestatem clara voce, siquis nostrum iterum vellet mulsum sumere, cum subito signum symphonia datur et gustatoria pariter a choro cantante rapiuntur. Ceterum inter tumultum cum forte paropsis excidisset et puer iacentem sustulisset, animadvertit Trimalchio colaphisque obiurgari puerum ac proicere rursus paropsidem iussit. Insecutus est supellecticarius argentumque inter reliqua purgamenta scopis coepit everrere.Subinde intraverunt duo Aethiopes capillati cum pusillis utribus, quales solent esse qui harenam in amphitheatro spargunt, vinumque dederunt in manus; aquam enim nemo porrexit.
Già Trimalcione, finito di giocare, aveva ordinato tutte le medesime, e ad alta voce, ci aveva rivolto l’invito, se qualcuno di noi ne avesse voglia, di prendere altro vino col miele, quand’ecco che all’improvviso viene dato un segnale in musica e contemporaneamente un coro di schiavi porta via cantando i vassoi degli antipasti. Nel frattempo in quella confusione essendo caduto a terra per caso un vassoio e uno schiavetto avendolo raccolto mentre era in terra, Trimalcione se ne avvide e ordinò di schiaffeggiare il ragazzo e di buttare di nuovo a terra quel vassoio. Il cameriere sopraggiunse di corsa e cominciò a spazzar via il vassoio d’argento con le altre immondizie. Subito dopo entrarono due Etiopi zazzeruti con piccoli otri, come quelli che di solito sono usati per spargere sabbia nell’anfiteatro e ci versarono del vino con le mani; nessuno infatti porse mai acqua.
Romae multae deae honorantur: Iuno, deorum regina et Iovis uxor, Diana, Minerva et Vesta. Diana silvarum et ferarum regina est et pharetra sagittisque in umbrosis silvis feras necat. Minerva, galea et hasta ornata, non solum sapientiae dea est sed etiam pugnarum. Vesta, domesticae vitae dea, honoratur rosarum et violarum coronis a matronis et puellis. Iuno, Diana, Minerva et Vesta etiam in Graecia honorantur, sed alio nomine: a Graecis enim appellantur Hera, Artemis, Athena et Hestia.Athena nomen dedit Athenis, quare Athenarum incolae deam honorant ut patronam urbis. Athenae etiam Musarum, dearum artium, patriae sunt. Poëtae a Musis inflantur et claras athletarum victorias carminibus celebrant: quare poëtae Musas amant et a Musis amantur.
A Roma si onorano molte dee: Giunone, regina degli dei e moglie di Giove, Diana, Minerva e Vesta. Diana è la regina dei boschi e delle fiere e uccide le fiere con la faretra e le frecce nelle selve ombrose. Minerva, ornata con elmo e asta, è dea non solo della sapienza ma anche delle battaglie. Vesta, dea della vita domestica, è onorata dalle matrone e dalle fanciulle con corone di rose e di viole. Giunone, Diana, Minerva e Vesta anche in Grecia erano onorate, ma con un altro nome: dai Greci infatti sono chiamate Era, Artemide, Atena e Estia. Atena diede il nome ad Atene, per questo gli abitanti di Atene onorano la dea come patrona della città. Atene è anche patria delle Muse, dee delle arti. I poeti sono ispirati dalle Muse e celebrano le famose vittorie degli atleti con canti: per questo i poeti amano le Muse e sono amati dalle Muse.
Populus est non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus. Eius autem prima causa coëundi est non tam imbecillitas quam naturalis quaedam hominum quasi congregatio. Urbis condendae originem atque causam non unam intulerunt, sed alii eos homines, qui sint ex terra primitus nati, cum per silvas et campos erraticam vitam degerent nec ullo inter se sermonis aut iuris vinculo coharerent, bestiis et fortioribus animalibus praedae fuisse commemorant.Tum eos, qui laniai effugerant aut laniari proximos viderant, admonitos periculi sui, ad alios homines decurrisse, praesidium implorasse et primo nutibus voluntatem suam significasse, deinde sermonis initia temptasse. Cum autem nec multitudinem ipsam viderent contra bestias esse tutam, oppida etiam coepisse munire. Haec aliis doctis hominibus delira visa sunt, dixeruntque non ferarum laniatus causam fuisse coëundi, sed ipsam potius humanitatem, itaque inter se congregatos, quod natura hominum solitudinis fugiens et communionis ac societatis adpetens esset.
Il popolo non è ogni raggruppamento di uomini riuniti in qualche modo ma una consociazione di una moltitudine fondata sull'osservanza del diritto e sul comune vantaggio. La prima causa di quest'unirsi è non tanto la debolezza, quanto una certa aggregazione per così dire innata negli uomini. Alcuni non hanno addotto una sola causa originaria del fondare una città, ma altri ricordano che quegli uomini che che sono nati per primi dalla terra, trascorrendo una vita errabonda per le feste e i campi e non essendo uniti fra loro da alcun legame di legge o lingua, furono prede per le bestie e per gli animali più forti. (Ricordano) che allora quelli che erano fuggiti straziati e che avevano visto i simili dilaniati, consapevoli del pericolo per loro, sono vicini agli altri uomini e hanno chiesto protezione e per la prima volta manifestarono la propria volontà con gesti, in seguito sperimentarono delle forme di linguaggio. Ma, vedendo che tuttavia una moltitudine non era protetta contro le bestie, (ricordano) che cominciarono anche a fortificare i villaggi.Queste cose sono sembrate pazzie agli altri uomini sapienti, e hanno detto che la causa di unirsi non fu lo strazio delle bestie feroci, ma piuttosto la stessa umanità, e pertanto gli uomini si riunirono fra di loro perché la natura dell'uomo è incline a evitare la solitudine e desiderosa di comunanza e di una società.
Multis et doctis hominibus verisimile videtur somnios futura praedicere. Eudemus Cyprius , familiaris Aristotelis philophi, iter in Macedoniam faciens oheras venit, quae erat urbs in Thessalia tum admodum nobilis, sed ab Alexandro tyranno crudeli dominatu tenebatur. In eo igitur in oppidum in tentum morbum Eudemus incidit ut omnes medici iam de eius salute desperarent. Cum graviter in lectulo aegrotaret, ei visus in quiete (= nel sonno) iuvenis egregia facie dicens eum perbrevi tempore ad sanitatem reducturum esse, paucisque diebus interitum esse Alexandrum tyrannum, ipsum autem Eudemum quinquennio post domum esse rediturum.Atque ita quidem prima statim consecuta sunt: et convaluit Eudemus et ab uxoris fratribus interfectus est tyrannus. Quinto anno autem exeunte, cum esset spes ex illo somnio in Cyprum illum ex Sicilia esse rediturum, proelians Eudemus ad Syracusas occidit. Ex quo ita illud somnium est interpretatum ut; cum animus Eudemi e corpore excessisset, tum domum revertisse videretur.
A molti dotti uomini sembra verosimile predire i sogni futuri. Eudemo di Cipro, familiare del filosofo Aristotele, facendo un viaggio verso la Macedonia giunse a Fere che era una città della Tessaglia molto famosa in quel tempo, ma era tenuta sotto il dominio di Alessandro. In quella città, dunque Eudemo cadde in una malattia tanto grave che tutti i medici disperavano per la sua salute. Essendo gravemente ammalato nel letto, nel sonno gli sembrò che un giovane di rara bellezza dicesse che in un breve tempo avrebbe recuperato la salute, e che in pochi anni il tiranno Alessandro sarebbe morto, e che anche lo stesso Eudemo dopo cinque anni sarebbe tornato a casa. E così senza dubbio le cose principali immediatamente furono conseguite: Eudemo guarì e il tiranno fu ucciso dai fratella della moglie. Essendo trascorso anche il quinto anno, poichè c'era la speranza da quel sogno che quello sarebbe tornato dalla Sicilia a Cipro, Eudemo morì combattendo presso Siracusa. Da ciò quel sogno fu così interpretato che, essendo uscita l'anima di Eudemo dal corpo,, sembrava che fosse ritornato a casa in quel momento.
Quondam muse terra inter leonis pedes exit: “Tu quidem, leo – inquit –me occidere potest: ego autem, si mihi vitam libertatemque reliqueris, olim fortasse tibi prodesse potero”. Beluarum rex, hoc argumento motus, parvum murem dimisit salvum. Paulo post leo in laqueos indicit, unde exire non poterat. Mus, qui leronis clamores audiverat, statim accurrit: “Ne timeas – inquit – ego te liberabo!”. Etenim multas maculas retis acutis dentibus mira celeritate rosit, atque ita leo tandem exire potuit.Beneficium prodest saepe non solum cui praestatur, sed etiam ei a quo praestatur.
Una volta, un topo usci dalla terra [finendo] tra le zampe di un leone: “Tu veramente, o leone, - disse – mi puoi uccidere; io, invece, se mi avrai lasciato la vita e la libertà, un giorno ti potrò essere utile”. Il re degli animali, convinto da questo ragionamento, lasciò libero il topolino. Poco dopo, il leone rimase impigliato nei lacci di una una trappola da cui non poteva uscire (liberarsi). Il topo che aveva udito le grida del leone, accorse subito. “Non temere - disse - io ti libererò!”. Infatti, con i [suoi] denti a punta rosicchiò molto velocemente molte maglie della rete e così il leone poté uscire. Spesso il favore giova non solo a colui a cui è rivolto, ma anche a chi lo fa.
Discordia, ad nuptias Pelei Thetidisque non invitata, utque gravem iniuriam vindicaveret convivarumque laetitiam pertubaret, pomum aureum in mensa furtim collocavit, in quo haec verba inscripsit: “Pulcherrimae convivarum hoc pomum sit!”.Tum vero magna contentio inter Iunonem, Minervam et Venerem exarsit, quarum unaquaeque omnium pulcherrima esse cupiebat. Postremo Iovem, deorum patrem, rogaverunt ut de contentione iudicaret. At Iuppiter, ne sententia sua dearum iram concitaret, haec respondit:” Ad montem Idam properate inique Paridem.Priamum filium, interrogate qui ex vobis pulcherrima sit”. Paris cetera dona ricusavit, quae Iuno et Minerva ei promiserant, et hanc sententiam sine ulla dubitatione edidit: “Venus pulcherrima omnium dearum est eique pomum donare volo”.Testo adattato da Igino
La Discordia, non essendo stata invitata alle nozze di Peleo e di Tetide, per vendicare la grave offesa e perturbare la gioia degli invitati, pose di nascosto sul tavolo un pomo d’oro sul quale incise queste parole “Che questo pomo appartenga alla più bella delle invitate”Allora, in verità, scoppiò una grande lite fra Giunone, Minerva e Venere, ciascuna delle quali desiderava essere la più bella di tutte.Finalmente pregarono Giove, padre degli dèi affinché desse un giudizio sulla controversia. Ma Giove per non suscitare, con la sua sentenza, l’ira delle dee, rispose: “ Recatevi in fretta sul monte Ida e qui interrogate Paride, figlio di Priamo e chiedetegli chi tra voi è la più bella. Paride rifiutò i doni che Giunone e Minerva gli avevano promesso e senza alcuna esitazione emise la sentenza seguente: “Venere è la più bella di tutte le dee e a lei voglio dare il pomo.”
Sabini, cum in animo haberent populo romano bellum indicere, Tito Tatio imperum detulerunt, qui contra Romam exercitum admovit. Cum vero arcem Romanam capere vi non posset, corrupit auro filiam custodis, ut portam aperiret et parvam manum Sabinorum in eam immitteret. Pollicitus est etiam id quod Sabini in brachiis sinistris gerebant. Puella, putans Sabinos sibi daturos esse armillas laevi brachii, patriam prodidit et partam hostibus aperuit. Sed hostes, ubi in arcem ingressi sunt, puellam sub scutis, quae sinistra manu gerebant, obruerunt.Cum tamen mortem effugisset, Romulus, ut ea puniret, de rupe praecipitavit, quam Tarpeiam ex eius nomine appellaverunt.
I sabini, avendo intenzione di dichiarare guerra al popolo romano, conferirono il comando a Tito Tazio, che condusse contro Roma l’esercito. Visto che di certo non potevano prendere con la forza la rocca di Roma, corruppero con l’oro la figlia del custode, affinchè aprisse la porta e lasciasse entrare una piccola schiera di Sabini. Venne promesso Inoltre ciò che i Sabini portavano sulla braccia sinistre. La ragazza, credendo che i sabini le avrebbero dato i bracciali del braccio sinistro, tradì la patria e aprì la porta ai nemici. Ma i nemici, non appena furono entrati nella città, seppellirono la ragazza sotto gli scudi, che portavano nella mano sinistra. Essendo tuttavia sfuggita alla morte, Romolo, per punirla, la buttò giù da una rupe, che chiamarono Tarpea dal suo nome.
Inde Alexander ad amnem Acesinem pergit: per hunc in Oceanum devehitur. Deinde Polyperconta cum exercitu Babylona mittit, ipse cum lectissima manu navibus conscensis Oceani litora peragrat. Cum venisset ad urbem Sambi regis, oppidani invictum ferro audientes, sagittas veneno armant atque ita plurimuus interficiunt. Expugnata deinde urbe, reversus in navem, Oceanum libamenta dedit, prosperum in patriam reditum precatus; deinde secundo aestu ostio fluminis Indi invheitur.Ibi in monumenta a se rerum gestarum urbem et arcem condidit arasque statuit, relicto ex numero amicorum litoralibus Indis praefecto. Inde iter terrestre facturus, cum arida loca medii itineris dicerentur, puteos opportunis locis fieri pracepit, quibus ingenti dulci aqua inventa, Babylonia redit.
Da quel luogo Alessandro va verso il fiume Acesime: tramite questo arrivò nel Oceano. Poi invia Poliperconte insieme all'esercito a Babilonia, lui stesso con una distintissima squadra, salito sulle navi, vaga per il litorale dell’ oceano. Essendo arrivato alla città del re Sambo gli abitanti, sentendo che era imbattibile con la spada, immergono le frecce di veleno e allora ne ammazzano moltissimi. Liberata perciò la città, risalito sulle navi, offrì offerte sacrificali all'Oceano, domandando un lieto ritorno in patria; perciò con la marea favorevole arrivò alla foce del fiume Indo. Qui in memoria del suo lavoro creò una città e una rocca e mise altari: abbandonato da un numero di amici, salpato dalle coste dell’ India. Da quel luogo in procinto di compiere un viaggio terrestre, siccome i posti a metà del percorso si dicevano deserti, ordinò che venissero fatti pozzi in posti adatti, trovata enorme quantità di acqua dolce, tornò a Babilonia.
Servo Androclo in circum introducto leo atrocissimus pepercerat; interrogatusque homo hanc rem mirificam narravit: "Ego in Africa inquis domini verberibus ad fugam coactus in arenarum solitudines concessi. Tum, dum sol flagrat, in specum remotam me penetro et recondo. Neque multo post ad specum venit hic leo, debili et cruento pede, gemitus edens et murmura dolorum vulneris significantia. Atque primo quidem conspectu advenientis leonis territus obstupui.Sed postquam leo videt me procul delitescentem, mitis et mansuetus accessit et pedem mihi ostendit ac porrexit. Ibi ego spinam ingentem, vestigio pedis haerentem, revelli, conceptamque saniem vulnere intimo expressi. Leo tunc mea opera et medela levatus, pedem in manibus meis posuit, inde recubuit et quievit; atque ex eo die triennium ego et leo in specu una viximus".
Un leone molto selvaggio aveva preservato lo schiavo Androclo entrato nel circo, domandato l'uomo raccontò codesta sublime storia: " In Africa, obbligato dai colpi del signore alla fuga, mi isolai nei deserti delle sabbie. Così, quando il sole arde, accedetti e mi occultai una grotta calata. E non parecchio tempo dopo arrivò alla spelonca codesto leone, con una zampa lesionata e grondante sangue, emettendo un lamento e importanti mormorii dei supplizi della lesione. E dinanzi al leone che arrivava mi abbassai spaventato.Però poi che il leone notò che io mi celavo, andò avanti calmo e sereno e mi esibì e diede la zampa. Qua io levai una enorme scheggia, che si era introdotta nella pianta del piede, e rimossi l'infezione che si era creata in basso alla ferita. Il leone così confortato dalla mia prestazione e dal mio aiuto, mise la zampa nelle mie mani, si distese e dormì, e da quel giorno per tre anni io e il leone vivemmo insieme nella medesima grotta."
Postquam Paris Helenam, Menelai uxorem, rapuerat, agamemnon cum Menelao fratre delectisque Asiae ducibus statuit ad Troiam urbem navigare, eam repetiturus. Agamemnon autem, dum Graecorum exercitus in Aulide manet, navem conscensurus, in venatu casu cervam Dianae sacram necavit: ergo dea, ira mota, saevam procellam suscitavit. Ita Graecam classem tempestas in Aulide retinebat. Agamemnon statim haruspices convocavit et Calchas vates, interrogatus, ei respondit: "Dianae iram placabis et classis felicem faustumque cursum habebit si tatum Iphigeniam, filiam tuam unam, deae immolaveris".Agamemnon primum turpe consilium recusavit, deinde, Ulixis impulsu, id approbavit. Ipse Ulixes missus est ad Iphigeniam virginem, pulchram Agamemnonis filiam, et eam ante aram duxit, quasi Achilli in coniugium daturus. Sed virgo, ubi ante aram patrem maestum vidit, sacerdotesque ferrum celantes omnesque cives lacrimas effundentes, gravi metu capta genibusque summissa humum procubuit. Iam sacerdotes, Agamemnonis iussu, eam immolaturi erant, cum Diana miserata est virginis: atram caliginem omnibus obiecit cervamque pro ea supposuit. Iphigenia per nubes in terram Tauricam rapta est ibique Dianae sacerdos facta est.
Dopo aver sentito la risposta, Agamennone rifiutò dapprima il turpe consiglio, infine, per impulso di Ulisse, lo approvò. Lo stesso Ulisse è stato mandato presso la fanciulla Ifigenia, bella figlia di Agamennone, e la condusse davanti all’altare come per darla in sposa ad Achille. Ma la fanciulla, quando vide il padre mesto davanti all’altare, e i sacerdoti che nascondono il ferro e tutti i cittadini che spargono lacrime, presa da un grande timore si abbassò (cadde a terra in ginocchio). Già i sacerdoti erano in procinto di sacrificarla, per ordine di Agamennone, quando Diana ebbe compassione (pietà) della fanciulla. Oppose a tutti una funesta (fitta) nebbia e sostituì una cerva al suo posto. Ifigenia fu rapita per nubi verso la terra di Taurica e lì è stata fatta sacerdotessa di Diana.
Socrates, non solum omnium consensu, verum etiam Apollinis oraculo sapientissimus hominum iudicatus, Phaenarete matre obstetrice et Sophronisco patre marmorario genitus, ad clarissimum gloriae lumen excessit. Neque immerito: nam cum eruditissimus quisque in disputationibus caecis vagaretur mensurasque solis ac lunae et ceterorum siderum loquacibus magis quam certis argumentis explicare conaretur, ille primus ab his erroribus animum suum abduxit et intima condicionis humanae scrutatus est adeo ut vitae magister optimus etiam nunc existimetur.Is autem arbitrabatur a dis immortalibus petendum esse bonum, quia ii tantum sciunt quid unicuique utile sit.
Socrate, giudicato il più sapiente degli uomini non solo dal consenso di tutti, ma anche dall'oracolo di Apollo, generato dalla madre Fenarete ostetrica e dal padre Sofronisco scultore, arrivò fino allo splendente lume della gloria. E non senza ragione: infatti, divagando ogni eruditissimo in discussioni oscure e tentando di spiegare le dimensioni del sole e della luna e delle altre stelle con argomenti più prolissi che certi, quello (Socrate) per primo allontanò il suo animo da questi errori e indagò sull'essenza della condizione umana tanto che è tuttora stimato come il miglior maestro di vita. Egli tuttavia riteneva che bisognasse chiedere agli dei immortali il bene, poiché soltanto essi sanno ciò che è utile a ognuno.
Resistendum senectuti est eiusque vitia diligentia compensanda sunt; pugnandum tamquam contra morborum vim, sic contra senectutem; habenda ratio valetudinis, utendum exercitationibus modicis. Nec vero corpori solum subveniendum est, sed menti atque animo multo magis; nam haec quoque nisi tamquam lumini oleum instilles, exstinguuntur senectute. Et corpora quidem exercitationum defatigatione ingravescunt, animi autem se exercendo levantur. Quattuor robustos filios, quinque filias, magnam domum Appius regebat et caecus et senex: intentum enim animum tamquam arcum habebat nec succumbebat senectuti.Ita enim senectus honesta est, si se ipsa defendit, si nemini emancipata est. Non modo igitur vituperatio nulla, sed etiam summa laus senectutis est, quod ea voluptates nullas magnopere desiderat.Estratti adattati da Cicerone, De senectute
Bisogna opporsi alla vecchiaia e le sue imperfezioni devono essere compensate con la diligenza. Come si deve combattere contro la forza delle malattie, nello stesso modo si deve combattere contro la vecchiaia: va mantenuto lo stato di salute e si deve praticare un moderato esercizio fisico. E non si deve provvedere solo al corpo,ma alla mente e all'anima molto di più ; infatti anche questi se, per così dire, non versi olio al lume, con la vecchiaia si estinguono. I corpi certamente si appesantiscono con la stanchezza degli esercizi, ma gli animi, se si esercitano, si fanno leggeri. Appio, vecchio e cieco, governava quattro figli, cinque figlie e una grande casa; infatti aveva lo spirito vigile come un arco e non soccombeva alla vecchiaia. In tal modo la vecchia è decorosa, se difende se stessa, e non è sottoposta a nessuno. Dunque, non soltanto non vi è nessun motivo di rimprovero nei confronti della vecchiaia, ma anche una grandissima lode per il fatto che non desidera vivamente alcun piacere.
Cum Assyrii descivissent et Babyloniam occupassent difficilisque urbis expugnatio esset, aestuante rege unus de interfectoribus magorum, Zopyrus domi se verberibus lacerari toto corpore iubet, nasum, aures et labia sibi praecidi, atque ita regi inopinanti se offert. Attonitum et quaerentem Dareum causas auctoremque tam foedae lacerationis, tacitus quo proposito fecerit edocet, formatoque in futura consilio transfugae titulo Babyloniam proficiscitur.Ibi ostendit populo laniatum corpus, dicit ut patiatur se commune bellum gerere. Constituitur ergo dux omnium suffragio, et accepta parva manu semel atque iterum secunda proelia facit. Postremo universum sibi creditum exercitum Dario prodit urbemque ipsam in potestatem eius redigit.
Dopo che gli Assiri si erano allontanati politicamente da Dario e poiché avevano occupato Babilonia e la riconquista della città era difficile, Zopiro comandò (lett.: comanda) di essere colpito con frustate su tutto il corpo mentre si trovava in casa e che gli si tagliasse naso, orecchie, labbra, e in questo stato si presentò al re(Dario) che non se l’aspettava. E (Zopiro) senza parole (a gesti) informò Dario atterrito, che chiedeva i motivi e l’autore di una così vergognosa mutilazione, con quale scopo l’avesse compiuto, e dopo aver escogitato un piano d’azione per il futuro, partì alla volta di Babilonia come se fosse un traditore. Là mostrò al popolo il (suo) corpo mutilato, e chiese che (il popolo di Babilonia) accettasse che egli potesse combattere insieme la guerra. Dunque venne eletto comandante con il voto di tutti e dopo aver ottenuto un piccolo drappello di soldati e per due volte ottenne due vittorie (lett.: due battaglie favorevoli). (Ma) alla fine consegnò a Dario tutto l’esercito che gli era stato affidato e ridusse in suo potere (in potere di Dario) la stessa capitale (Babilonia).
Nullum in illa trepidazione Antonius constantis ducis aut fortissimi militis officium omisit: occursare paventibus, retinere cedentes; ubi plurimus labor, ubi aliqua spes ibi consilio, manu, voce insignis hosti, conspicuus suis. Eo ardoris postremo provectus est ut vexilliarium fuggente hasta transverberaret: mox raptus vexillum in hostem vertit. Quo pudore haud plures quam centum equites restitere. Iuvit locus, arctiore illic via, et fracto interfluentis rivi ponte, qui incerto alveo et praecipitibus ripis fugam impediebat: ea necessitas, seu fortuna, lapsas iam partes restituit.Firmati inter se, densis ordinibus, excipiunt hostes temere effusos, atque illi consternantur. Antonius instare perculsis, sternere obvios. Simul ceteri, ut cuique ingenium erat, spoliare, capere arma equosques abripere: sic, exciti prospero clamore, qui modo per agros fuga palabantur, victoriae se miscebant.
In quello smarrimento generale Antonio non trascurò nessuno dei compiti di un generale o di un semplice valoroso soldato: farsi incontro a quelli in preda allo spavento, cercar di trattenere quelli che arretravano; dove era maggiore la fatica e dove c’era qualche prospettiva, ivi con il consiglio, con l’intervento personale, con la voce si faceva sentire dal nemico e vedere dai suoi. Alla fine giunse a tal punto di ardore che trafisse con l’asta un portabandiera in fuga, gli strappò il vessillo e lo volse contro il nemico. Punti nel loro amor proprio non più di cento cavalieri si arrestarono. Fu di vantaggio la posizione del luogo, per la strettezza del passaggio e per la rottura del ponte sul fiume che scorreva in mezzo e che con il suo alveo ben delimitato e le rive franose ostacolava la fuga: la necessità o la fortuna ridiede fiato alle parti ormai cedenti. Rincuoratisi a vicenda e rinserrate le file, affrontano i nemici che incautamente si erano sparpagliati e quelli vengono battuti. Antonio incalza quelli presi dal panico, abbatte quelli che si fanno incontro. Intanto gli altri si mettono a far bottino, a impadronirsi delle armi e a trascinar via i cavalli, ciascuno secondo i suoi gusti: così, richiamati dalle grida di esultanza, quelli che poco prima si disperdevano in fuga per i campi, ora si mescolavano ai vincitori.
Caesar castris potitus a militibus contendit, ne in praeda occupati reliqui negotii gerendi facultatem dimitterent. Qua re impetrata montem opere circummunire instituit. Pompeiani, quod is mons erat sine aqua, diffisi ei loco relicto monte universi iugis eius Larisam versus se recipere coeperunt. Qua re animadversa Caesar copias suas divisit partemque legionum in castris Pompei remanere iussit, partem in sua castra remisit, IIII secum legiones duxit commodioreque itinere Pompeianis occurrere coepit et progressus milia passuum VI aciem instruxit.Qua re animadversa Pompeiani in quodam monte constiterunt. Hunc montem flumen subluebat. Caesar milites cohortatus, etsi totius diei continenti labore erant confecti noxque iam suberat, tamen munitione flumen a monte seclusit, ne noctu aquari Pompeiani possent. Quo perfecto opere illi de deditione missis legatis agere coeperunt. Pauci ordinis senatorii, qui se cum eis coniunxerant, nocte fuga salutem petiverunt
Cesare, essersi impossessatosi degli accampamenti, disse velocemente ai soldati, che erano incuriositi a ottenere la preda di guerra,di non perdere l'opportunità per portare a compimento tutta la missione. Ricevuto questo, incominciò a compiere opere di fortificazione intorno al monte. I Pompeiani, siccome quel rilievo era senza acqua, non si fidarono a restare in quel posto e, abbandonato il rilievo, iniziarono a spingersi tramite i pennacchi di questa verso Larissa.Cesare notando questa cosa,spartì le sue truppe e comandò a una porzione delle legioni di restare nell'accampamento di Pompeo, inviò una porzione nel proprio, portò quattro legioni con sé e per un cammino più accessibile incominciò a camminare per ostacolare la via ai Pompeiani.Procedendo per seimila passi, pose le truppe a battaglia. Poiché i Pompeiani si mantennero su un’altezza, nei pressi di questo rilievo defluiva un fiume. Cesare disse parole per incoraggiarli ai militari e, nonostante fossero stremati dalla fatica incessante di tutta il giorno e malgrado la notte incombesse, fece emarginare con una mura il fiume dal monte, cosi che di notte i Pompeiani non potessero approvvigionarsi di acqua. Svolta questo ordine,inviati i delegati, incominciarono a porre la resa. Pochi appartenenti alla classe ei senatori, che si erano congiunti ai Pompeiani, di notte tentarono difesa nella ritirata.
Postero die Caesar contione advocata temeritatem cupiditatemque militum reprehendit, quod sibi ipsi iudicavissent quo procedendum aut quid agendum videretur, neque signo recipiendi dato constitissent neque ab tribunis militum legatisque retineri potuissent. Exposuit quid iniquitas loci posset, quid ipse ad Avaricum sensisset, cum sine duce et sine equitatu deprehensis hostibus exploratam victoriam dimisisset, ne parvum modo detrimentum in contentione propter iniquitatem loci accideret.Quanto opere eorum animi magnitudinem admiraretur, quos non castrorum munitiones, non altitudo montis, non murus oppidi tardare potuisset, tanto opere licentiam arrogantiamque reprehendere, quod plus se quam imperatorem de victoria atque exitu rerum sentire existimarent; nec minus se ab milite modestiam et continentiam quam virtutem atque animi magnitudinem desiderare.
Il giorno successivo Cesare convocata l’assemblea rimproverò la sconsideratezza e la cupidigia dei soldati, poiché essi stessi avevano per sé giudicato dove sembrava si dovesse procedere e che cosa si dovesse fare, e, dato il segnale di ritirata, non si erano fermati e non avevano potuto essere trattenuti dai tribuni militari e dai legati. Spiegò quale importanza avesse l’avversità del luogo, che cosa egli stesso avesse compreso ad Avarico, quando, sorpresi i nemici senza comandante e senza cavalleria, aveva rinunciato a una vittoria sicura affinché a causa dell’avversità del luogo non avvenisse nel conflitto neppure un piccolo danno. Quanto ammirava la loro abbondanza di coraggio, che né le fortificazioni dell’accampamento, né l’altitudine del monte, né il muro della città fortificata avrebbero potuto ostacolare, tanto rimproverava l’insubordinazione e la presunzione, perché reputavano che essi stessi capissero più del comandante riguardo alla vittoria e l’esito delle imprese;e dal soldato non richiedeva meno disciplina e moderazione che valore e grandezza d’animo.
Ut fit in proelio, ut ignavus miles ac timidus, simul ac viderit hostem, abiecto scuto fugiat, quantum possit, ob eamque causam pereat non numquam etiam integro corpore, cum ei qui steterit, nihil tale evenerit, sic qui doloris speciem ferre non possunt, abiiciunt se atque ita adflicti et exanimati iacent; qui autem restiterunt, discedunt saepissime superiores. Sunt enim quaedam animi similitudines cum corpore. Ut onera contentis corporibus facilius feruntur, remissis opprimunt, simillime animus intentione sua depellit pressum omnem ponderum, remissione autem sic urgetur, ut se nequeat extollere.Et, si verum quaerimus, in omnibus officiis persequendis animi est adhibenda contentio; ea est sola offici tamquam custodia. Sed hoc idem in dolore maxume est providendum, ne quid abiecte, ne quid tumide, ne quid ignave, ne quid serviliter muliebriterve faciamus.
Come accadde in battaglia che un soldato codardo e timoroso, non appena vede il nemico, gettato lo scudo fugga quanto gli sia possibile e per tale motivo muoia talvolta anche con il corpo illeso, mentre a colui che è rimasto non sia accaduto nulla di ciò, allo stesso modo coloro che non possono sopportare l’idea del dolore, si avviliscono e giacciono così abbattuti ed indeboliti; coloro che però resistono, spessissimo risultano vincitori. Ci sono infatti alcune somiglianze dell’animo con il corpo. Come i pesi sono sopportati più facilmente da corpi tesi ed opprimono più facilmente i corpi rilassati, allo stesso identico modo l’animo con un suo sforzo rimuove il peso di ogni affanno; invece con il rilassamento è così incalzato che non riesce a risollevarsi. E se ricerchiamo il vero, lo sforzo dell’animo deve essere compiuto nel cercare di raggiungere tutti i doveri, quella è la sola per così dire guardia del corpo. Ma bisogna provvedere a queste medesime cose soprattutto nel dolore per non comportarci in modo vile, per non comportarci con timore, con codardia e per non comportarci da servi o in modo effeminato.
Non in eadem intentione aequaliter retinenda mens est, sed ad iocos devocanda. Cum puerulis Socrates ludere non erubescebat, et Scipio triumphale illud ac militare corpus movebat ad numeros, non molliter, ut nunc mos est, sed ut antiqui illi viri solebant inter lusum ac festa tempora virilem in modum tripudiare. Danda est animis remissio: meliores acrioresque requieti surgent. Ut fertilibus agris non est imperandum ita animorum impetus assiduus labor franget.Nascitur ex assiduitate laborum animorum hebetatio quaedam et languor. Ergo indulgendum est animo et dandum subinde otium.
La mente non deve essere tenuta nella medesima applicazione con costanza, ma deve essere attirata verso i passatempi. Socrate non si vergognava di giocare con i ragazzi; e Scipione mosse quel suo famoso corpo degno di un trionfo e da soldato a passo di danza, non dolcemente, come ora è abitudine, ma come quegli uomini antichi erano soliti danzare in modo virile durante il gioco e i periodi di festa. Deve essere dato un po’ di svago agli animi: riposati crescono migliori e più forti. Come non si deve esigere dai terreni fertili, così una fatica continua indebolisce l’entusiasmo degli animi. Dalla fatica continua deriva come uno sfinimento della mente. Dunque bisogna essere indulgenti con l’animo e dargli spesso un momento di riposo.